Senza girarci intorno: appena diciannovenne, Billie Eilish è a tutti gli effetti la popstar più importante e influente della sua giovanissima generazione. Una vera e propria stella di prima grandezza. "When We All Fall Asleep, Where Do We Go?" del 2019 convinse un po' tutti. Dai milioni di fan che si erano affezionati alla sua cantilena sedata sin dai primi video sganciati su YouTube, ai loro genitori, alla critica che ha ben accolto una proposta musicalmente moderna e peculiare, sebbene chiaramente orientata alle masse. Bassi da far tremare le pareti, tastierine sbilenche e una scrittura onesta e dolcemente weird da farci immaginare la nostra ben a suo agio in un film di Tim Burton.
Da una parte Billie sembra capitata alla ribalta per caso. A vederla coi capelli verde veleno e i tutoni di felpa, ce la immagineremmo ovunque altrove che ad agitare le folle dei vari Lollapalooza. Dall'altra la Eilish è un personaggio pubblico assolutamente contestuale alla sua epoca, attenta quanto basta a messaggi cruciali per la sua generazione. Il body shaming e il suo contrario, lo slut shaming, sono, ad esempio, perennemente presenti tra le sue liriche e nelle interviste, affrontate sempre con il giusto mix di scazzo e naturalezza. Nelle canzoni e fuori di esse, Billie Eilish è sempre lì a rivendicare la sua libertà di essere se stessa.
La corposa carrellata di singoli che ha anticipato il lancio di "Happier Than Ever" preannunciava, con la sua varietà di stili, che questo sophomore sarebbe stato un oggetto musicale estremamente diverso dal più coeso predecessore. Quasi come se la Eilish, conscia del suo crescente status di superstar internazionale, volesse approfittare di "Happier Than Ever" non solo per consacrarsi, ma anche per allargare e dare maggior profondità al suo repertorio. Anche in vista di centinaia di concerti che in un futuro, si spera vicino, necessiteranno di maggior versatilità e soluzioni.
Una grande novità del disco è la gran presenza di ballate. Sintetiche come il gustoso opener "Getting Older", acustiche come una "Your Power" cantata con la stessa svogliatezza di Lana Del Rey, ancora elettroniche da ascoltare contemplando il buio della notte estiva come "Haley's Comet". Forse alcuni di questi lenti sono un po' troppo ravvicinati, appesantendo un po' l'inizio della seconda parte del disco. A ben vedere però, prendendoli singolarmente, sarebbe difficile stabilire quale sforbiciare.
Trascinata da un giro di basso sbilenco, "Lost Cause" è una sfacciata invasione di campo nell'hip-hop più musicale; mentre "Billie Bossa Nova", ma tu guarda, rivisita il genere brasiliano al tempo di pastosi bassi garage.
Avesse qualcuno temuto il totale o sostanziale abbandono della vincente formula elettronica dell'esordio ideata dalla cantautrice con il fedele fratello e produttore Finneas, troverà sballo e ristoro nella gracchiante "Oxytocin", in "NDA", certamente il brano più vicino a quelli del disco di debutto, o ancora nel crescendo sintetico di "GOLDWING". Tutti brani che saranno remixati a valanghe con l'accento ben posto sulla loro vena electro.
Clamoroso esercizio di fantasia e versatilità, la title track cristallizza l'euforia della Eilish per il momento di grande ispirazione che sta vivendo. Si inizia infatti come un vecchio soul passato da una radiolina da negozio d'antiquariato e si finisce, in qualche modo, in uno struggente tripudio di chitarroni anni 90.
Insieme a ormoni, farmaci e tematiche di rilievo contemporaneo, il futuro è un altro indiscusso protagonista del disco, aleggia infatti come uno spettro nelle varie "my future" e "Getting Older". E come sarebbe potuto essere altrimenti, viene da pensare. Di anni avanti la piccola Billie ne ha a pacchi e con il talento che si ritrova le aspettative saranno via via più schiaccianti. Perché se il sound perfetto di questo "Happier Than Ever" può essere accreditato anche al fratello e al budget messo a disposizione da Darkroom e Interscope, invece la qualità di scrittura e la fantasia, che raramente calano per 15 canzoni e 56 minuti, sono tutti suoi.
01/08/2021