Di certo, in un viaggio così lungo la gestione dei tempi e il senso della variazione si fanno fondamentali, pena l'esasperazione di un concetto che più che incantare finirebbe con l'infastidire. Con un tocco espressivo che si posiziona tra la maestria in decomposizione di William Basinski, l'evanescenza assonnata degli Stars Of The Lid e le camere degli spettri di Caretaker, i nastri imperfetti di Black Swan esplorano un suono imponente, eppure tenue, meditativo, che anche nel minutaggio contenuto dei suoi movimenti premia sempre una studiata lentezza. Nebbiosi commenti di pianoforte, tessiture albeggiate, vibranti crescendo d'archi: le registrazioni catturate dal musicista abbracciano un virtuoso spettro di possibilità, talmente ben congegnato nella sua visione d'insieme che la suddivisione in pezzi appare giustificata soltanto in virtù di una migliore fruizione.
Abissi e galassie, dramma e torpore: con una chiarezza da suite progressiva i vari movimenti inanellano un percorso dall'indefinita, e comunque tangibile consistenza narrativa, che premia il fascinoso lavoro sui loop donando loro uno spessore quasi melodico. È del tutto inutile operare quindi una selezione di passaggi salienti, di segmenti che esprimano significanti particolari. È nel senso dell'interazione, nel giustapporsi delle “vignette” che l'opera trae forza, e il percorso acquisisce rilievo.
Tutt'altro che statica, l'avventura di questi inni alla ripetizione ha semmai rinvenuto una dimensione insolita del concetto, che epopee in così ampia scala sanno celebrare. A sette anni da quel “Tone Poetry” che pose Black Swan sotto i riflettori degli appassionati, i suoi monumenti drone sono più essenziali che mai.
(12/05/2021)