Sette anni di gestazione, ma finalmente i brasiliani Papangu giungono al loro esordio, "Holoceno". Questo eccentrico concept-album, cantato interamente in portoghese, racconta la storia di un cangaceiro che ha una visione del proprio futuro e, pur di cambiarlo, ricorre a un sacrificio. Le cose non vanno per il verso giusto, si prospetta la terribile conseguenza di un disastro ambientale e, pur di scongiurarlo, il protagonista tenta un patto con il demonio. Facile leggere sottotesti politici e ambientalisti in questo racconto faustiano, dai tratti quasi allegorici. Il mezzo musicale, stravagante almeno quanto la trama, è un prog-rock con importanti innesti psichedelici e chiare citazioni di Magma e dei King Crimson più fusion, ma irrobustito da portentose esplosioni sludge-metal e variegato da percussioni del Brasile nordorientale. Descrivere l'album è un compito fra i più ardui, ma vale la pena tentare perché è di quelli che rischiano di passare inosservati, nonostante si tratti di un risultato eccezionale.
"Ave-Bala" subito si contorce in un jazz-rock spettacolare, a velocità variabile, che trasporta i Mastodon o i Baroness in un febbricitante strumentale dai riflessi free. "Água Branca" vede comparire la voce, distante e filtrata, ma si ricorda soprattutto per un innesto di synth che cita i virtuosismi della scuola inglese, pur ricontestualizzati in un furioso arrangiamento che potrebbe appartenere ai Neurosis. "São Francisco" aumenta ancora la complessità, facendo coesistere brutalità metal con acrobazie progressive e usando una filastrocca come improbabile collante.
La ricchezza entusiasmante di questo esordio, scisso fra eleganza e violenza, trova piena rappresentazione nei tre brani estesi finali. Per primo arriva "Terra Arasada", che scopre un'anima black-metal da stendere su uno sludge-metal atmosferico, per ricomporsi infine in una danza sinfonica e allucinogena. A seguire, "Lobisomem" svela malinconie da Pink Floyd e dissonanze post-metal per chiudersi con un vorticante assolo di ottoni. La conclusione è affidata a "Holoceno", che spunta dalle nebbie di una visione cosmica da Tangerine Dream per intessere un canto trasognato che ondeggia fino a schiantarsi con un meccanismo jazz-rock lanciato verso un climax spaventoso, con graffi free-jazz, stratificazioni psichedeliche e bombardamenti metal.
"Holoceno" si inserisce in una terra di nessuno abitata da altri grandi esempi di un nuovo modo di intendere l'heavy-metal più sperimentale, che non fatica a confondersi con il jazz e il prog-rock per esprimere al meglio la propria creatività. Opere monumentali, come "Éons" dei Neptunian Maximalism o "Alphaville" degli Imperial Triumphant, per i quali "Triangle" degli Schammasch rappresenta un nobile predecessore, stanno riconfigurando l'avanguardia metal per costruire un catalogo di album elaborati e ambiziosi, capaci d'intrigare un pubblico trasversale ed eterogeneo, abituato ad ascolti impegnativi ma che regalano grande soddisfazione. Facendo incontrare varie espressioni della ricerca rock e metal dagli anni Settanta a fine Novanta, i brasiliani Papangu si uniscono a questo ristretto e prestigioso gruppo di innovatori, grazie a un esordio maturo e originale come questo "Holoceno".
05/09/2021