Il debutto su Sacred Bones dei giapponesi Boris è allineato con il catalogo prevalentemente atmosferico della nuova label, ma rimane in contatto con il resto della loro sconfinata, eterogenea e spesso assordante discografia senza disconoscere completamente la passione per un sound temibile. In contrapposizione con il precedente "NO" (2020), che stordiva con volumi devastanti e sludge-doom colossali, i nove brani di "W" ritornano in lidi post-rock visitati a più riprese nei decenni precedenti ma qui curvati maggiormente verso il dream-pop e lo shoegaze.
La voce della waifu Wata si muove sensuale e ombrosa, fungendo da guida per composizioni in forma libera come "I Want To Go To The Side Where You Can Touch…", una culla di echi e rintocchi annerita da un drone e rischiarata da bave melodiche di chitarra, o la lunga "You Will Know (Ohayo Version)", che nei suoi nove minuti abbondanti trova il tempo di svilupparsi come in stato di trance, un oscuro rituale dove tele di feedback s’irradiano in un paesaggio notturno.
La sognante "Icelina" aggiunge un battito elettronico, a ricordare alcune deviazioni della carriera, mentre "Drowning By Numbers" deforma un motivetto synth-pop con dosi sempre maggiori di fischi e glitch, spingendo sulla vena più sperimentale e astratta della formazione.
Sono variazioni che stupiscono solo se si è dimenticato il multiforme svolgimento della loro carriera, che non è stato solo di quel drone-doom-metal che qui torna soprattutto in "The Fallen": in quest’ultimo campo, è chiaro che siano dei maestri ma non importa ribadirlo ancora una volta.
Il seguito onirico di “NO”, che unito a questo “W” forma non casualmente la parola “NOW”, cioè “ora” in inglese, è quindi un’avventura da ascoltare in tandem con l’album precedente in una logica di distruzione e rigenerazione, uno yin e yang che racconta un periodo difficile per la formazione, costretta a fermare la vitale attività live, e per l’umanità tutta, alle prese con la pandemia più grave dell’ultimo secolo.
L’opera dei Boris ha dovuto ritornare al suo passato e ai modelli conosciuti per annientarsi e farsi eterea e astratta, ma la speranza è che ora prenda una nuova forma compiuta, all’insegna della loro eccezionale capacità di fondere elementi opposti e apparentemente incompatibili. Su “W”, invece, manca la tensione tipica dei loro classici e troppi brani vagano senza giungere a compimento, tanto che il termine di paragone più immediato è probabilmente la loro “Soundtrack From The Film Mabuta No Ura” (2005), scritta per un film immaginario.
28/01/2022