La “Dissolution Wave” – ci fanno sapere i Cloakroom e il minatore di asteroidi protagonista di questo loro così intitolato terzo disco - è un fenomeno fisico che ha cancellato tutta l’arte esistente e il pensiero astratto dell’umanità. Questo concept space western ci racconta dunque di quella che potremmo definire un’apocalisse culturale, avvalendosi di un impianto sonoro imponente e tridimensionale, che assembla stoner, shoegaze ed emo. Un amalgama slabbrato, pieno di riverberi, che emoziona davvero. Ci troviamo quindi di fronte a premesse insieme stravaganti e ambiziose, che ricordano più Douglas Adams che altri progetti musicali e che la band corona appieno, rilasciando quello che ad oggi è sicuramente il suo miglior disco.
Tra fuzz e distorsioni violente, allunghi spaziali e il cantato indolente di Doyle Martin, una specie di Andy Bell con l’accento del Nord-Est americano, “Lost Meaning” apre il disco sintetizzando al meglio tutti i suoi fragorosi riferimenti sonici. Altri brani indugiano invece maggiormente verso un’istanza o l’altra: “Dissolution Wave” è smaccatamente shoegaze e sembra smagliarsi come un universo in disfacimento; mentre “Doubts” e la più dolce “Lambspring”, al netto di qualche feedback lancinante, lasciano prevalere il lato emo della band; il riff di “Fear Of Being Fixed”, infine, ha invece un marcato passo stoner – almeno finché non lascia irrompere una melodia struggente ed epica di chitarra elettrica.
Il disco è ancora più speciale quando la band lascia emergere la sua voglia di sorprendere, come in “A Force At Play”, dove ascoltiamo un’appiccicosa melodia di tastiera orientale sfilare tra chitarre elettriche tortuose e feedback assordanti.
La tonante “Dissembler” e la sua pioggia cosmica al tremolo chiudono un disco che oltre a impressionare per il suo impatto sonoro è lungo il giusto e farà conquistare ai Cloackroom nuovi ascoltatori e supporter – per i fan di band come Nothing e DIIV questo album è praticamente un invito a nozze.
22/02/2022