A due anni dal vulcanico "100% Yes", i londinesi Melt Yourself Down rispolverano il loro ricettario dance-punk/afrobeat. Lo fanno, in primo luogo, tornando a esibirsi dal vivo: 2020 e 2021 non hanno portato che una manciata di concerti, ma una raffica di live a marzo in Gran Bretagna li ha rimessi in pista. In scaletta, pezzi dai loro primi tre fulminanti dischi, ma anche dal nuovo "Pray For Me I Don't Fit In", uscito il 25 febbraio per la celebre label Decca.
La formazione, alla sua essenza, è la stessa del precedente ellepì: i due fondatori Kushal Gaya e Pete Wareham (chitarra+voce e fiati+tastiere, rispettivamente), il batterista Adam Betts (Three Trapped Tigers, Shobaleader One), il sassofonista George Crowley, la bassista Ruth Goller. La musica, però, è cambiata. Se "100% Yes" colpiva con la sua esplosività, il nuovo album è più notturno. La prima reazione può essere di perplessità: abituati un afro-synth-punk dirompente, urbano e cosmopolita, può sembrare che le nuove tracce siano semplicemente deboli. Non è così. Sbalordiscono meno, è vero, ma premiano i riascolti.
La title track, a dirla tutta, non fa pensare a chissà quale cambio di rotta. Posta in apertura del disco, è anche il singolo di lancio e - fin dagli strepiti mondialisti in castigliano - rimanda al mood febbrile consueto per la band. La vena contestataria, in effetti, è rimasta una costante: è ben evidente anche in "Nightsiren", invettiva antifascista nella quale emerge anche l'umore claustrofobico presente pure in altri brani. In qualche episodio, l'inquietudine prende una piega grandiosa e un po' radioheadiana: saranno le armonie ambigue, ma sia le voci di sfondo di "Ghosts On The Run" che le stagnazioni elettroniche di "For Real" hanno l'aria enigmatica e avvolgente che da "Kid A" in poi ha marcato lo stile di Yorke & soci. Altrove, è invece l'elemento ossessivo a prevalere. Si vedano la nenia stordente "Ghosts On The Run" o il del tutto imprevisto boogie-kraut (!) di "Sunset Flip".
Su disco, i nuovi pezzi si svelano man mano e seducono con le loro atmosfere ombrose. Dal vivo, c'è però da scommettere che molti di loro si reinventino in una chiave diretta, investendo su groove e melodie e trasformandosi in efficacissimi schiacciasassi. Il drumming di Betts sa unire magistralmente convulsione e four-to-the-floor, e tra synth profondi e sassofoni baritoni la selva di sub-bass può facilmente farsi fitta e ipnotizzante. C’è solo da augurarsi di poterlo verificare a breve.
05/04/2022