Fine dell'estate della nostra vita
Sembrano rimaste solo sigarette spente
E un gigantesco niente
(da "La nostra vita")
Troppo timidi e introversi per poter impersonare il ruolo di "rockstar", troppo "alternativi" per piacere a tutti, i Baustelle non sono mai riusciti a raccogliere il successo di massa che avrebbero meritato. Ben noti a tutto il circondario indipendente, da molti ritenuti fra i più autorevoli pionieri del cosiddetto it-pop, restano quasi sconosciuti al resto dell'universo, nonostante una sequenza di lavori che in rarissimi casi non si sono rivelati all'altezza delle aspettative. Oggi ci si approccia a un nuovo album dei Baustelle con la consapevolezza che il loro meglio lo abbiano già consegnato al mercato nei primi vent'anni di carriera.
Al concepimento di "Elvis", il nono lavoro in studio, denso come al solito di storie e personaggi, il trio di Montepulciano è arrivato con le ossa rotte, a due passi dallo scioglimento, una band svuotata dopo la sbornia synth-pop dei due volumi de "L'amore e la violenza". Francesco Bianconi, da sempre mente e guida del progetto, ha preferito quindi optare per un periodo di pausa, individuando così lo spazio per realizzare discontinue prove soliste, strada seguita anche dall'altra voce del gruppo, Rachele Bastreghi. Per trovare nuovo ardore, i Baustelle hanno poi deciso di modificare in maniera radicale la line-up della propria backing band: al posto dei rodati musicisti che li accompagnavano da tempo, sono entrati in campo Lorenzo Fornabaio (chitarre), Milo Scaglioni (basso), Alberto Bazzoli (tastiere), Giulia "Julie Ant" Formica (Batteria), più i fiati di Pietro Lupo Selvini, Giovanni Sgorbati e Alessandro Marzetti.
La nuova formazione ha impresso un taglio decisamente più "rock" al sound, tanto che non si fatica a definire "Elvis" come il disco con più chitarre mai realizzato nella storia dei Baustelle. Del resto, optando per un titolo come questo, la band mostra l'intento di etichettare il proprio lavoro come rock'n'roll-oriented. Prendete una traccia come "Betabloccanti Cimiteriali Blues" e vi stupirete di ascoltare un suono davvero rinnovato: una trascinante blues song, con fiati e chitarra pronti a rincorrersi nel solo finale. Un album - ma parliamo pur sempre di purissimo pop, sia chiaro - che si inserisce con grande tempismo nell'attuale riflusso sixties/seventies, riflusso protagonista non soltanto in campo musicale, ma anche in quello dell'abbigliamento o del cinema (qualcuno ha detto "Daisy Jones & The Six"?). Zero elettronica, tutto suonato come una vera rock band, come i Baustelle non facevano dai tempi di "Amen".
Proprio "Amen" appare il punto di riferimento più evidente: "Contro il mondo" è la nuova "Charlie fa surf", "Los Angeles" in qualche modo richiama alla mente "Colombo", anche se questa volta il brano che farà drizzare le orecchie a tutti i fan è "La nostra vita", forte di uno di quei ritornelli killer che hanno contribuito a costruire un imitatissimo stile noto con il nome di "baustellismo". Dentro "Elvis" c'è poi un nuovo omaggio a Milano, la città che li ha adottati, sempre così presente nelle loro canzoni, che stavolta diviene la "metafora dell'amore". Nella scrittura di "Elvis" trovano spazio temi che puntualmente ritornano nella poetica di Bianconi, quali la giovinezza, la guerra, le diversità e il misticismo, quest'ultimo ricorrente in quasi tutti i testi e in un paio di passaggi strumentali, dall'accenno "natalizio" che governa l'incipit di "Andiamo ai rave" alla seconda parte de "Il regno dei cieli".
Distante tanto dalle orchestrazioni di "Fantasma", quanto dallo "sfacciato pop" dei lavori più recenti, "Elvis" rappresenta un'opera di transizione, che indica la via verso un nuovo capitolo nella storia dei Baustelle, sempre determinati a non restare fermi sulle proprie posizioni.
17/04/2023