Conosco bene gli uomini
Racconto i loro demoni
Ma non riesco a vivere coi miei
(da "L'abisso")
Anni fa ebbi l'opportunità di
intervistare Francesco Bianconi, era il periodo che precedette l'inizio della scrittura del materiale che sarebbe poi confluito nel monumentale "
Fantasma". Mi ritrovai di fronte esattamente l'uomo che avevo immaginato attraverso le sue canzoni: calmo, riflessivo, con una grande capacità di analisi, il lessico ricco e sofisticato, una sterminata conoscenza musicale, oltre che dell'arte in generale, sia classica che contemporanea. Dedussi il suo sforzo di codificare un formato "alto" della forma canzone, in grado di legare assieme tutto ciò che è accaduto dal simbolismo di Debussy all'indie-rock dei
Deerhunter, inglobando tanto i
lieder e
Morricone quanto il pop più trash e la tradizione popolare. "Alto" e "basso", volgo e nobiltà.
È un po' quello che accade dentro "Forever", concepito come naturale reazione alla sbornia synth-pop dei due volumi de "
L'amore e la violenza" e rappresentante una sorta di fratello minore, meno appariscente e forse ancor più personale, proprio di quel "
Fantasma". Posti i
Baustelle in naftalina, un "fermo biologico concordato" come lui stesso lo definisce, questo esordio solista, pianificato per lo scorso marzo, poi rinviato per le note vicende legate alla pandemia, vede la luce soltanto ora, senza alcun ritocco. Ed è stata una fortuna per quello che si manifesta come un lavoro profondamente introspettivo, essenziale, solenne, colto, denso di spiritualità, romanticismo e morte. Sì, perché "Forever", studiato per avere un suono classico, fuori dal tempo, grazie alla sua architettura drammatica e al suo umore umbratile, si sposa meglio con la nostra difficile contemporaneità, piuttosto che con il sentimento di rinascita che ogni primavera porta con sé.
Un disco puro, dalla personalità ben definita, ma che difficilmente consegnerà a Francesco i favori di chi lo ha sempre detestato; inciso puntando tutto sul versante "artistico", mostrandosi oltremodo riluttante all'idea di inserire qualsiasi slancio "commerciale". Dieci tracce completamente private dell'apporto della batteria, che avrebbe potuto ammorbidire o far decollare alcuni frangenti, senza alcuna linea di basso, con la ritmica affidata ai soli movimenti degli archi del
Balanescu Quartet o alle sublimi linee di pianoforte disegnate da
Michele Fedrigotti e
Thomas Bartlett. Un album realizzato con il prezioso contributo di
Enrico Gabrielli ma senza le familiari chitarre di Claudio Brasini e persino senza l'iconica voce di
Rachele Bastreghi. Un progetto molto coraggioso, ma da perfetto "loser", che di sicuro non renderà il suo autore più ricco e famoso. Quindi un disco superfluo? Evitabile? Non necessario?
No. Fermi tutti. Tanto per iniziare, il rischio di risultare vocalmente monocorde è spazzato via dalla presenza di importanti ospiti, che Francesco conosce bene, stima, e oggi può permettersi di invitare. Ospiti che conferiscono a "Forever" un taglio internazionale:
Rufus Wainwright in "Andante",
Kazu Makino in "Go!",
Eleanor Friedberger in "The Strength", la cantante e attrice marocchina Hindi Zahra nel mantra "Fàika Llìl Wnhàr" donano una provvidenziale discontinuità al tono generale, proponendo molteplici motivi d'interesse.
Ma il nucleo portante dell'album, prodotto da Amedeo Pace dei
Blonde Redhead e registrato presso i Real World Studios di Bath, resta nelle tracce cantate da Francesco in solitudine. Anzi tutto le prime due, "Il bene", che richiama in maniera decisa "Nessuno", con pianoforte e violino a generare apoteosi emozionali, e "L'abisso", il vero colpo da maestro, con quell'enfasi orchestrale che arriva sino a strappare le lacrime. Ma la missione può dirsi compiuta anche nei sogni californiani raccontati in "Zuma Beach" e nella mezza crociata contro il sistema discografico lanciata durante lo svolgimento di "Certi uomini".
Bianconi come al solito fa convivere riferimenti aulici e volgari: Schopenhauer e i
Pixies, Babadook e il Leviatano, Casanova e Giovanna D'Arco, psicofarmaci e dottrine, il sangue e la fica, esprimendosi (caratteristica tutt'altro che comune in Italia) in un linguaggio multiforme, poliglotta, miscelando italiano, inglese e arabo. Le liriche vengono adagiate su orchestrazioni modern classical, composte con una sensibilità davvero rara, che si increspano per conferire la massima forza possibile ai finali e a quei ritornelli gloriosi, da sempre inconfondibile marchio di fabbrica dell'intero repertorio
baustelliano. Gli stessi che in tanti hanno cercato di replicare senza mai neppure riuscire ad avvicinarcisi.
I titoli di coda di questo nuovo film immaginario sono affidati alla strumentale
title track, di impronta inequivocabilmente
felliniana. Del resto le colonne sonore sono da sempre un chiodo fisso del musicista toscano.
Pur al netto di qualche ingenuità, e di qualche eccesso di verbosità (in un paio di circostanze per dire troppo si incarta con la metrica, effetto certamente voluto - stiamo parlando di un perfezionista cesellatore - ma non proprio riuscitissimo), "Forever" è il tassello che mancava per riconoscere a Bianconi, in maniera unanime e definitiva, l'elevata valenza artistica da sempre ricercata, e in qualche modo anche reclamata da lui stesso, pur se con educata discrezione. Fra i pochi della sua generazione destinati a restare, a lasciare una traccia indelebile, mostra - di nuovo - di sapersi muovere con disinvoltura su registri compositivi completamente diversi, alternando lavori "oscenamente pop" ad altri imperniati su orchestrazioni complesse e forbite. Dote rara, che lo fa ascrivere fra i migliori cantautori italiani di sempre, accanto a
De André,
Fossati,
Tenco,
Battiato e pochissimi altri. Gli stessi ai quali - per sua stessa ammissione - si è sempre ispirato.
20/10/2020