Immersi in un immaginario film spaghetti-western, trascinati da eleganti sonorità e illuminati dal luccichio di una sezione archi dai tratti gentili e discreti, i Coral decidono che è tempo di liberarsi dalle passate attitudini psichedeliche per un approccio più meditato e fantasioso. Confortata dal successo di “Coral Island”, la band britannica mette ancora una volta insieme ambizione e pragmatismo.
“Sea Of Mirrors” è un abile inganno, un album che dietro limpide melodie nasconde disagi mentali, amori impossibili e storie di solitudine, tra immagini sfocate e polverose raccontate con il piglio di Sergio Leone e la magia di Ennio Morricone (“The Actor And The Cardboard Cowboy”). Inutile cercare ulteriori appigli o richiami all’iconica produzione cinematografica e musicale delle due dichiarate fonti d’ispirazione, la band inglese è ancorata saldamente a quell’onirico folk-pop leggermente surreale che le ha permesso di ritagliarsi uno spazio ben definito all’interno del fenomeno britpop.
“Sea Of Mirrors” è solo esteticamente l’album più americano del gruppo, ed è forse il migliore dai tempi del loro debutto. Non ingannino il piglio da cowboy story di “Wild Bird” o l’estatico mood cantautorale di “Child Of The Moon”: le storie di perdenti ed emarginati sono allegorie del declino della società britannica, l’abluzione d’archi e delicate arie sixties, abilmente orchestrate da un Sean O’Hagan degli High Llams in gran forma, sono semplicemente un trucco cinematografico.
I Coral volgono lo sguardo all’America con la stessa ingenua speranza della beat generation. Brani come “Faraway Worlds” raccontano il sogno della vecchia Europa in cerca di nuove terre da esplorare, mentre l’ultima traccia, "Oceans Apart", con la voce narrante di Cillian Murphy (l'attore irlandese protagonista del film “Oppenheimer”) pone più di un interrogativo sulla dicotomia della natura umana.
Ispirati e saggiamente calibrati, i Coral dispensano canzoni tanto genuine quanto mature (l’avvincente “Cycle Of The Seasons”), lanciano più di una sfida stravolgendo le regole (il surreale country-western di “North Wind”) senza rinunciare a quella naturale vena folk-pop che ne ha contraddistinto le passate gesta (la splendida “That’s Where She Belongs”).
“Sea Of Mirrors” non solo conferma la ormai consolidata qualità della produzione dei Coral, ma apre nuove prospettive future, peraltro già elaborate per un gustoso mini-album che fa da appendice, “Holy Joe’s Coral Island Medicine Show”, ma questa è un’altra storia da raccontare.
03/02/2024