È un po' un ritorno a casa, quello fissato dai Queens Of The Stone Age attraverso la costruzione delle architetture sonore che danno vita al loro ottavo album in studio ("Desert Sessions" escluse), un lavoro che abbandona le derive "ballabili" di "Villains" (son passati ben sei anni...) per tornare a un più solido fuzz-garage-rock dall'aroma desertico. Le chitarre di Josh Homme - incrociate ad arte con le altre in dotazione al gruppo - sono un trademark super-riconoscibile, e sono proprio loro a inaugurare "Obscenery", la traccia d'apertura di "In Times New Roman...". Un buon disco, diciamolo subito, che giunge dopo il periodo più complicato mai attraversato dalla band americana, fra pandemia, battaglie vinte contro brutti mali (sono recentissime le dichiarazioni di Josh Homme) e più di qualche amico fraterno che non c'è più (Mark Lanegan proprio nei QOTSA trovò la strada per riemergere dal buio post Screaming Trees e intraprendere la costruzione di un'onorevole carriera solista).
"In Times New Roman..." è un album che quindi inevitabilmente offre pieghe umbratili ("Carnavoyeur") e il desiderio di elaborare mood alternativi ("Time & Place"), ma anche momenti nei quali l'energia gira brutalmente a mille ("What The Peephole Say", "Emotion Sickness") oppure vengono messi a fuoco efficaci ritornelli killer ("Negative Space"). Un progetto all'interno del quale le dinamiche divengono necessarie e le atmosfere mutano in continuazione, ospitando tanto la grandeur di "Sicily", che conduce la band verso territori inusuali, seppur contigui alla propria comfort zone, sia al suono aggressivo e super-spedito che caratterizza tracce come "Paper Machete", pensate per riabbracciare con forza quel sound graniticamente rotondo che caratterizzò i loro primi tre leggendari lavori. L'orgia chitarristica finale impressa in "Straight Jacket Fitting" rappresenta l'ideale conclusione, con la seconda parte elaborata su un'atmosfera che diviene placidamente acustica.
Il groove resta l'ingrediente essenziale, ma stavolta al centro torna quel robusto alt-rock direttamente figlio dell'uragano stoner che Josh Homme in persona contribuì a plasmare negli anni Novanta con i Kyuss (chi lo avrebbe detto all'epoca che quel tizio alla chitarra sarebbe diventato il leader di una delle più solide stadium rock band al mondo?).
Autoprodotto e senza ospiti piazzati là giusto per attirare l’attenzione, "In Times New Roman..." conferma l'autorevole status dei Queens Of The Stone Age, anche se - come la maggior parte delle band della loro generazione (in quell'orizzonte temporale che va dai Pearl Jam ai Muse) che continuano a sfornare album rispettabili - è difficile trovare fra le nuove composizioni momenti che ci sentiremmo di inserire in un ipotetico greatest hits. Possiamo accontentarci del fatto che siano ancora qui, nonostante scazzi e stravizi assortiti: per intercettare l'hype o la new sensation di turno, beh, credo proprio che potremmo tranquillamente accomodarci altrove.
17/06/2023