La batteria di Jim White (Springtime, Dirty Three) e il liuto di George Xylouris: non serve aggiungere altro per descrivere Xylouris White. Il duo si è distinto per performance dinamiche all'insegna dell'improvvisazione, cercando sempre un equilibrio tra canzone tradizionale ed espressività free-form di generi come l’experimental rock e il post-rock. Di “The Forest In Me” viene inoltre realizzata un'anteprima video il 26 maggio al Curtidas Art Space di Barcellona, grazie alle collaborazioni di lunga data con artisti quali Jem Cohen, Rebecca E. Marshall, Efthymia Zymyragaki, Anna White, Lisa Little & Dee Hannan e Apollonia Xylouris.
Nel quinto episodio della loro saga, prodotto ancora da Guy Picciotto (Fugazi, Rites of Spring), la bilancia pende decisamente a favore di un'apertura della composizione fin troppo sulfurea, in cui prendono forma lentamente (“Second Sister”) bozzetti astratti, dilatati e rarefatti (“Seeing The Everyday”, “Missing Heart”), dove a tratti spunta l’ombra dei Dirty Three (“Forest In Me”, “Underworld”).
Stavolta però mancano sia il nerbo sia l’atmosfera folklorica dei dischi precedenti, quella reminiscenza di antichi riti sociali e culturali di cui troviamo traccia in “Tails Of Time” e “Red Wing”, con cui la musica di Xylouris White, attraverso il canto e la danza, abbracciava il Mediterraneo muovendosi fino all’Oceano Indiano.
Se il precedente "The Sisypheans" (Drag City, 2019) pendeva proprio dalla parte opposta, verso la canzone, "The Forest In Me" è pieno di accenni e di soste, di infatuazioni e di finali. Forse la strada per un approdo futuro si potrebbe trovare nell’ambient-noise di “Night Club” o nella ballad “Long Doll”, che chiude l’album passando dall'incertezza obliqua delle note dissonanti alla temporanea risoluzione in un arpeggio statico che rimane sospeso.
01/06/2023