È su base letteraria che si innesta la prima collaborazione tra Francesco Giannico e Anacleto Vitolo, rappresentati di spicco di quella florida nicchia nostrana afferente alle cosiddette musiche altre. Kafka innanzitutto, un cui estratto degli “Aforismi di Zürau” dà titolo al lavoro, e David Foster Wallace, le cui parole, riprese da un’intervista con David Lipsky, vengono spalmate a nominare le differenti tracce.
Una scelta coerente con il contenuto sonoro e con la struttura dell’album, fondamentalmente un unico flusso intimista – anche se costituito da brani singoli - che giustappone la ricerca melodica di Giannico e l’attitudine rumorista di Vitolo. Due istanze mantenute distintamente nitide, inseguendo incastri tutt’altro che accomodanti, modalità già nota a entrambi e corroborata da una complicità artistica alimentata dalla comune appartenenza al collettivo Zeugma.
Il pianismo del musicista pugliese, tra partiture modern classical e fraseggi minimalisti, segna la rotta, offrendosi quale trama malinconica intaccata dalle interferenze elettroniche e dalle screziature di suoni trovati gestiti in modo inappuntabile dal sound artist campano. Tale pratica mantiene preminenti le trame melodiche e ne espande il portato emozionale attraverso un loro graduale sfaldamento, attivato dall’azione di screziature minime iniettate in filigrana (“The Parts”) e frequenze noise in crescendo (“That Used”, “Almost Made Me Die”). Ne scaturisce un ambiente elettroacustico introverso e dalle tinte crepuscolari, che privilegia chiaroscuri netti, a tratti taglienti – perfettamente visualizzati dalle foto di Giannico presenti nell’artwork del disco - per raccontare l’inquietudine di un’anima che si confronta con il proprio passato.
13/01/2025