Dal nome del genere non si direbbe, ma il presente - se non il futuro - del rock pare passare dal bedroom pop. Già artisti come Beabadoobee, Girl In Red e Soccer Mommy hanno dimostrato come il filone possa unire produzioni lo-fi a un sound chitarristico vicino all'indie-rock, ottenendo anche un notevole successo di pubblico. Con progetti come Yot Club, però, da questa formula sbocciano contrasti inaspettati, e ruvidità garage-rock incontrano una cura armonica quasi sophisti-pop allargando notevolmente il campo di gioco.
Dietro Yot Club si cela John Ryan Kaiser, cantautore e produttore originario del Mississippi, ora di base a Nashville. Kaiser si è fatto conoscere grazie al successo virale del singolo "YKWIM?", diventato platino nel 2022 e tratto dall’Ep "Bipolar" del 2019. Quello che era nato come un progetto amatoriale si è trasformato in una carriera da oltre sei milioni di ascoltatori mensili su Spotify, cifra che “Rufus”, secondo album dell’artista, consolida ulteriormente.
L'ambivalenza fra levigatezza e ardore è subito evidente in "Nostalgia", una four-chord-wonder che intreccia synth casalinghi e momenti pacati con una robusta anima indie-rock, giungendo nel ritornello a una miscela che evoca in modo esplosivo il sentimento espresso dal titolo. Il dualismo riemerge anche in "2084", dove ritmi schematici, elettronica dal suono casereccio e un mix ineffabile di irruenza, speranza e disillusione catturano un umore che richiama - si perdoni l'accostamento azzardato - quella eco di cazzimma post-adolescenziale che aveva reso speciale, ormai più di un decennio fa, "Il sorprendente album d'esordio de I Cani".
Ma gli innesti inattesi non si limitano a un paio di tracce. Gli amanti del post-punk e delle sue molteplici reiterazioni saranno lieti di incontrare in "Fool" un bell'attacco con chitarra in staccato, basso in primo piano e batteria asciutta - chi invece apprezza le qualità sorprendenti delle armonie power-pop dovrà solo attendere la cadenza piccarda in coda alla strofa.
L'energia dei teenage years, sgangherata e vibrante, alimenta - in forma di ricordo - anche l'ancor più carica "Drowning", che azzecca la perfetta combo di strofa e ritornello, efficacemente alternativi nel suono e nel mood, adorabilmente pop negli esiti. Uno spirito simile anima "New Day", il cui piglio radioso e malinconico si riallaccia quasi ai primi brani dei Tribes, mentre "Poison Your Mind" incanala il tutto in un'atmosfera più dolce e meditativa, lasciando che lunghi raggi di luce filtrino attraverso i suoi toni ombrosi.
La componente ricercata trova un apice in "Human Nature", le cui armonie dinoccolate sembrano puntare dritte allo yacht rock. Chissà se è un caso che il moniker del progetto paia richiamare proprio quest'etichetta: più che a un passato settantiano ormai remoto, i colori jazzistici di questo e altri pezzi sembrano in effetti allineare lo stile a quello di altri camerettari come Men I Trust e Mild High Club, o addirittura alle nuance sofisticate del recente Harry Styles.
Il protagonismo della chitarra è evidente anche nelle ultime tracce: se "Too Far Gone", sostanzialmente l'unico brano debole del disco, fa pensare una riedizione stanca degli Strokes, le successive "Pixel" e "Other World" ricordano invece quanto - pure in un'epoca in apparenza poco rockettara come la nostra - un riff azzeccato possa ancora far svoltare l’umore di un brano.
25/11/2024