It's the season of change
And if you feel strange
It's probably good
Dopo l'età dell'ansia descritta tre anni fa in "
WE", forse per gli
Arcade Fire è infine giunta l'epoca dell'
understatement, musicalmente parlando. Nei vent'anni ormai passati dal clamoroso esordio "
Funeral" a oggi, la band canadese aveva sempre - seppur con forme e modalità talvolta differenti - cavalcato quel sentimento epico che in forma naturale, quasi congenita, ne aveva attraversato le produzioni. "Pink Elephant" non è del tutto esente da tale caratteristica, ma la differenza sostanziale è che nel nuovo album - prodotto dall'inossidabile Daniel Lanois - Win Butler e soci cercano di tenerla a bada, di "normalizzarla", anziché tornare a cavalcarla.
Certo, la scenografia orchestrale di "Open Your Heart Or Die Trying" sembrerebbe smentire subito quanto premesso, ma in realtà l'andamento dell'album prende direzioni ben diverse. Sia "Pink Elephant" che "Year Of The Snake", i due singoli che hanno tirato la volata all'uscita del disco e che probabilmente ne rappresentano anche i momenti più alti, si snodano in modo ben più sornione e per certi versi essenziale rispetto a quanto non fossimo abituati a queste latitudini, pur non rinunciando a due tra i più riusciti e sinceri ritornelli mai confezionati dal combo di Montréal - notevole, nel secondo, il duetto alla voce tra il
frontman e la moglie e compagna di avventure musicali Régine Chassagne.
Che tutto questo, liriche comprese, sia anche dovuto alle vicissitudini personali dei membri della band e in particolare a quanto accaduto a Win Butler, accusato nel 2022 da diverse donne di abusi sessuali e poi piombato nel tunnel della depressione, non è dato saperlo. Di tutti i titoli (e le dichiarazioni di contorno) sibillini, non può non spiccare "Circle Of Trust", nome scelto anche per l'app ufficiale della band, sei minuti di cassa dritta che non arrivano mai a una svolta, fallendo anzi sul terreno da sempre più congeniale agli Arcade Fire: quello dell'espressività.
Il baccanale elettrico di "Alien Nation", che a tratti ricorda certe sortite dei
Kasabian, si fa senz'altro preferire, ma molto difficilmente potrebbe mai entrare a far parte di un ipotetico
best of dei canadesi. L'atmosferica "Ride Or Die" rappresenta il momento più introspettivo e per certi versi accorato, mentre tocca a "I Love Her Shadow" riuscire laddove poco prima "Circle Of Trust" aveva fallito: linee dritte, sonorità
anni Ottanta e quella sensazione di aver ritrovato il progetto che conoscevamo.
Il crescendo irrefrenabile di "Stuck In My Head" sembra rimandare direttamente agli esordi degli
Arcade Fire, salvo perdersi nell'ossessiva ripetizione del titolo, lasciando la sensazione di qualcosa che, anziché deflagrare, rimane incompiuto. Una sorta di involontaria metafora di "Pink Elephant", opera che si muove tra stilemi arcinoti e una diffusa eppure mai palese velleità di rinnovarsi. È la stagione del cambiamento: se ascoltandola vi sentite strani, potrebbe essere positivo.
09/05/2025