Un legame profondo unisce Mari Maurice e Claire Rousay, un’amicizia nata quando entrambe vivevano in Texas muovendo i primi passi nell’ambiente musicale di San Antonio, l’una suonando folk e country, l’altra militando in formazioni noise-rock. A partire da quegli esordi, nell’arco di pochi anni entrambe hanno dato ampia dimostrazione di prediligere differenti livelli di sperimentazione sonora e. spinte da questa comunanza, a partire dal 2020, hanno più volte collaborato esplorando intersezioni tra emo pop e sound collage fino a lambire derive hyperpop (“Never Stop Texting Me”, 2022, Orange Milk).
Nonostante l’attuale distanza geografica, le due compositrici hanno trovato modo di rinnovare il loro sodalizio spingendolo oltre le vie già battute per inoltrarsi in un ambito al tempo stesso nuovo e familiare. In “No Floor” permangono la pratica del collage e l’attenzione per il sound design, ma a essere centrali sono soprattutto i suoni acustici, retaggio delle rispettive esperienze formative. A scomparire sono le parti vocali – in genere declinate rigorosamente con l’ausilio dell’autotune fino alla ridondanza – per lasciare definitivo spazio a partiture strumentali slegate da ogni possibile forma canzone.
Le cinque tracce raccolte nel lavoro sono altrettanti itinerari contemplativi guidati dai ricordi di serate trascorse insieme in bar e locali – nelle parole della Maurice, “pilastri della nostra dissolutezza” – permeati dall’atmosfera pastorale degli sconfinati paesaggi americani. I fraseggi, al tempo stesso fragili e ostinati, di chitarra della Rousay riprendono in parte lo schema proposto nel poco incisivo “Sentiment”, trovando qui completezza nel dialogo con le partiture della Maurice, il tutto amalgamato alla perfezione da suoni trovati e componenti sintetiche.
Brani quali “Hopfields” e “Limelight, Illegally”, con le trame sognanti della pedal steel in primo piano a navigare in un substrato di modulazioni rarefatte, si iscrivono perfettamente nella contemporanea ambient americana, disegnando traiettorie emozionali intense, libere di espandersi e cambiare rotta.
Quella plasmata è una navigazione scevra da schematismi rigidi, che coniuga in modo cangiante la costruzione melodica – per quanto instabile e frammentaria – con le possibilità offerte dall’innesto di risonanze ambientali e glitch, tenendo insieme la spigolosità di “Kinda Tropical” e la sinuosa diluizione di “The Applebees Outside Kalamazoo, Michigan”. Ne scaturisce un flusso di coscienza altamente evocativo, apice di una sinergia fertile che certamente offrirà in futuro nuove declinazioni.
10/04/2025