Solo due singoli di successo e una violenta scissione, avvenuta durante il tour in supporto ai Colourfield: la storia dei Loft è racchiusa in questi pochi passi e in una raccolta ufficiale per la Creation Records, “1982-1985 Once Round The Fair”.
In seguito, Pete Astor e Dave Morgan hanno dato inizio a un’altra eccitante avventura sotto il nome di Weather Prophets, mentre Bill Prince e Andy Strickland hanno alternato alla carriera musicale quella di giornalisti: il primo ha fatto parte dei Wishing Stones ed è stato redattore per Sounds, mentre il secondo si è diviso tra il ruolo di cronista musicale e sportivo e alcune incursioni nel mondo indie con The Chesterfields e The Caretaker Race.
Il nome The Loft è ricomparso per una breve riunione nel 2006, poi negli anni successivi per ricorrenze, decennali e altre commemorazioni, mentre Astor è riemerso come solista con una serie di altalenanti prove discografiche.
“Everything Changes Everything Stays The Same” è dunque il primo vero album della band inglese, alla quale spetta un’ulteriore menzione d’onore per aver fatto parte del primo nucleo di artisti della Creation Records. Con queste premesse dove nostalgia, aneddoti e deja-vu la fanno da padrone, il rischio di un’ordinaria operazione sentimentale era dietro l’angolo, anche se la produzione solista di Astor, soprattutto l’ottimo “Songbox” del 2011, faceva ben sperare.
Ma l’album dei Loft va oltre le più rosee previsioni. L’affiatamento tra i quattro musicisti è notevole, la scrittura di Astor si è evoluta da una disinvoltura adolescenziale a una matura consapevolezza, non priva di quell’humour che ne ha sempre caratterizzato lo stile.
“Everything Changes Everything Stays The Same” rispolvera quel suono a metà strada tra Bob Dylan e Tom Verlaine che prima i Loft e poi i Weather Prophets hanno lasciato in eredità alla musica indie-rock. Le dieci tracce brillano di luce propria: Andy Strickland sfodera un buon numero di intuizioni chitarristiche, la voce di Pete Astor è in equilibrio tra vigore giovanile e dotta ponderazione emotiva, la sezione ritmica incastra il tutto con una scioltezza che rende omogenee le pur tante variabili del disco.
Già solo con due instant classic in bella evidenza - la cascata di accordi jangle-pop e psych-pop di “Dr Clarke” e la grazia senza tempo della ballata “Greensward Days” - l’album dei Loft si candida tra le migliori uscite dell’anno in corso. Ma non sono gli unici punti di forza di un disco compatto e ispirato. L’elegante intreccio chitarristico in chiave Velvet Underground/Television di “Storytime” e l’epico graffio sonoro adagiato su un ipnotico groove psych-rock-blues di “This Machine” sono due brani che molte band indie-rock bramerebbero avere nel proprio repertorio.
Per i Loft è insomma arrivato il momento di capitalizzare quanto seminato in quarant’anni di intensi legami con la scena musicale indie: anche Oasis, Coral e La’s devono qualcosa ad Astor e soci. Dietro la scelta del titolo, “Everything Changes Everything Stays The Same”, c’è la profonda consapevolezza dell’influenza che i Loft hanno esercitato sulle generazioni successive. Quel che è impressionante è la qualità di queste dieci canzoni, che trasudano di venerazione per i primi vagiti del rock’n’roll in “Do The Shut Up” e per autorevoli band americane (Love, Fleetwood Mac, Modern Lovers), i cui echi sono celati abilmente tra i riverberi chitarristici di “Ten Years”, “Killer” e “The Elephant”.
E’ dunque un trionfale rientro discografico quello dei Loft (palese già dalle prime note di “Feel Good Now”), la band inglese canta ancora di pioggia e giornate uggiose (“Somersaults”) conservando un candore che eccita e conforta.
12/04/2025