Polvo

Polvo

Tessiture chitarristiche per kung-fu movie

Meteora underground degli anni 90, la band del North Carolina ha lasciato in eredità alle generazioni successive il suo rock disordinato, virato sul rumore e sui suoni metallici delle distorsioni chitarristiche, secondo i dogmi di maestri indie-rock come Dinosaur Jr e Sonic Youth

di Alessandro Fiore

Non è la prima volta che succede… band dell'underground statunitense, folgoranti e luminose, che come meteore incrociano e sfiorano le storie della musica rock, poi scompaiono all'improvviso e, senza che nessuno se ne accorga, nel giro di pochi anni cadono nei dimenticatoi bui degli appassionati.
I Polvo, sono una di queste formazioni, e forse una di quelle per cui il rimpianto stringe il cuore con maggior forza. Sette anni di attività, quattro album e un paio di Ep, i componenti che si perdono di vista, svaniscono nel nulla, senza che si sappia dove ritrovarne gli insegnamenti. Poi spunta un suono di chitarra familiare, magari in un pezzo sull'album di progetti come i Loose Fur - attività parallela di campioni come Jim O'Rourke e Jeff Tweedy dei Wilco - e allora pensi che forse anche loro, i Polvo, qualcosa hanno lasciato ai posteri. Parte di una scena prolifica all'inizio degli anni 90 come quella del North Carolina (Superchunk, Seam, Archers of Loaf), i Polvo nascono nel 1991 a Chapel Hill come classica band college-rock, formata da Ash Bowie e Dave Brylawski alle chitarre, e la sezione ritmica composta da Steve Popson (basso) e Eddie Watkins (batteria).

Già i primi singoli evidenziano subito le coordinate del suono a venire: rock disordinato, virato prepotentemente sul rumore e sui suoni metallici delle distorsioni chitarristiche, secondo gli insegnamenti di maestri dell'indie-rock come Dinosaur Jr e Sonic Youth. Ma la band non si adagia nella riproposizione di modelli precedenti. Gli intrecci di chitarra hanno già una loro fisionomia ben delineata, suoni stonati, fratturati e taglienti che per certi versi rinnovano l'insegnamento dei Television in ambito noise. Un certo gusto per le melodie vagamente vicine alla psichedelia e un'ossessione per immaginari da kung-fu movie anni 70 chiudono il cerchio.

L'album di debutto, Cor-Crane Secret (Merge, 1992) è una splendida raccolta di pezzi votati alla distruzione della forma-canzone. Si parte subito con la splendida "Vibracobra" (presente già nei singoli iniziali), tremolante armonia di chitarre che si perdono per essere poi investite dall'incalzante sezione ritmica, e che segna uno dei punti più alti del loro sperimentalismo rumoroso. Il disco vive della spregiudicata mania per i suoni trasandati e sporchi, "Can I Ride" fa il verso alle melodie sommerse dei Dinosaur Jr; gli strumentali "Kalgon" e "Duped", mettono in mostra la loro perizia nelle partiture eccentriche, così come il magnifico saliscendi emotivo segnato dalle ripartenze di "Bend or Break", dal gusto vagamente garage sixties. Nel complesso è un debutto folgorante, forse solo la voce paga le conseguenze di un suono chitarristico travolgente.

Ingaggiato alla produzione un maestro come Bob Weston e forti di un disco che già mette in luce il loro valore, i Polvo si ripetono e si superano ancora con Today's Active Lifestyles (Merge, 1993). Accentuando gli spigoli taglienti delle chitarre e la loro vocazione alle dilatazioni metafisiche, i Polvo trovano la propria strada distaccandosi definitivamente da ogni riferimento ingombrante. L'atonalità della chitarra che apre la prima traccia, "Thermal Treasure", è già un marchio di fabbrica. Le chitarre di Bowie e Brylawski lottano fino a collassare in un vortice di rumore, sempre sostenute magnificamente dalla batteria e dal basso. "Lazy Comet" trasfigura una melodia leggera trapanandola di sferzate metalliche; i due minuti e mezzo della strumentale chitarristica "My Kimono" segna il loro manifesto "teorico", attraverso due chitarre svagamente stonate e fuori tono che tessono una veste dorata, splendente e noise con ricami orientali da b-movie.
Il pezzo più classicamente rock, per quanto si possa parlare di suoni classici nei Polvo, "Tilebreaker" azzecca la melodia giusta e il riff trascinante. E ancora le divagazioni demenziali di "Shiska" e "Time Isn't On My Side". Ma i capolavori solo le due lunge jam e dilatazioni strumentali di "Stinger" e della finale "Gemini Cup" (entrambe sopra i sette minuti), che rinverdiscono i fasti di certa psichedelia anni 60: lunghe partiture allucinate fratturate e singhiozzanti, splendidi esempi della loro capacità di costruire trame complesse e ragionate senza mai scadere nel manierismo fine a se stesso.

Gli Ep Celebrate The New Dark Age (Merge, 1994) e This Eclipse (Merge, 1995) continuano il discorso intrapreso e lo perfezionano, mostrando anche vicinanze con le sonorità di certo post-rock che in quegli anni muoveva i primi passi (ascoltare la strumentale "Title Track", da This Eclipse: sembra quasi di sentire i June of '44 più cerebrali).

I Polvo tornano al lungo formato con Exploded Drawing (Touch&Go, 1996) - che segna anche il passaggio a una etichetta di grande prestigio come la Touch&Go, alla regia ancora Weston - e trovano il punto di equilibrio fra i suoni fratturati e scomposti dei dischi precedenti e la melodia, anche grazie ad armonie vocali più a fuoco. Esemplare è proprio la traccia inziale, che subito scopre le carte in tavola: "Fast Canoe" è una melodia a intermittenza disegnata con cura dalle chitarre, un continuo fermarsi e ripartire, un moto ondulatorio costante e ipnotico. Subito la successiva "Bridesmaid Blues" rilancia la sfida e dopo una partenza travolgente si scioglie in una coda acida e allucinogena. E ancora la carica rock di "Feather Or Forgiveness" e "Crumbling Down", il finto pop trasfigurato di "The Purple Bear" e "Taste of Your Mind"; i riff di chitarra impazziti e inconfondibili in pezzi come "In This Life" e "Snowstorm In Iowa". Ma è tutto l'album che accresce il loro discorso, un collage originalissimo fatto di lame affilate che tagliano in due ogni materia sonora convenzionale. Tutti i brani vivono su invenzioni geniali e imprevedibili, e la chiusura affidata alla lunga (dodici minuti) "When Will You Die For The Last Time In My Dreams" è il compendio e allo stesso tempo il superamento di tutto ciò che i Polvo hanno saputo creare lungo tutta la loro carriera. La melodia stracciata della voce sofferente di Ash Bowie che urla cercando di vincere il tintinnare metallico, le ripartenze folli seguite da delicati ricami delle chitarre, fino alla sterminata divagazione strumentale finale che amplia le sfumature noise-psichedeliche del loro suono iperstrutturato.

Dopo questo disco, uno dei capolavori nascosti degli anni 90, i Polvo tornano a distanza di un anno con Shapes (Touch&Go, 1997). La band però sembra già sul punto di collassare su se stessa, con il batterista Eddy Watkins sostituito da Brian Walsby, Brylawski sempre più attirato da richiami orientaleggianti. L'album accentua verosimilmente il loro lato più psichedelico e mistico, il suono è generalmente più soffuso e levigato, meno propenso al caos, come dimostra l'iniziale "Enemy Insect"; gli inframezzi suonati con strumenti della tradizione orientale già presenti in Exploded Drawing si fanno adesso più pervasivi. I picchi sono da cercare nella splendida melodia psichedelica di "Downtown Dedication", rafforzata da una tromba in stile tex-mex; "Rock Post Rock" ed "Everything In Flames" fanno i conti con il passato della band e reggono egregiamente il confronto. Album per certi versi stupendo quando azzecca melodie e strutture acide e allucinogene (la finale "Lantern"), sembra però troppo scostante e disunito.
Certamente dimostrazione di una band unica nel sapersi sempre rinnovare e re-inventare, Shapes poteva essere il preludio a qualcosa di più compiuto, da perfezionare negli album a venire. La band si scioglierà dopo il tour di rito, senza lasciare tracce.

Quando ormai la storia dei Polvo sembrava definitivamente sepolta dal trascorrere degli anni e la loro musica rappresentava soltanto un ricordo tra i più fulgidi, ancorché a torto trascurato, del decennio d'oro del rock alternativo americano, Ash Bowie e Dave Brylowski si ritrovano in occasione del festival All Tomorrow's Parties nel 2008. A loro si unisce un nuovo batterista, Brian Quast, insieme al quale nel giro di poco tempo vengono poste le basi per un clamoroso ritorno.
Così, ben dodici anni dopo Shapes, i Polvo tornano sorprendentemente a incidere un nuovo disco: In Prism vede la luce nel corso del 2009.
Per la band di Chapel Hill il tempo sembra davvero essersi fermato, poiché è come come se il nuovo lavoro riprendesse un discorso vivo e presente, non interrotto per un così lungo periodo: in un certo senso Ash Bowie e compagni innestano la macchina del tempo, pubblicando un lavoro che avrebbe potuto tranquillamente collocarsi in diretta continuità con i precedenti.

In Prism rappresenta infatti molto di quanto sarebbe stato ancora lecito attendersi dai Polvo (chitarre angolari, frammentazioni ritmiche, rallentamenti più o meno "post"), cui si aggiunge quella sensazione di "classico" originata non solo dal tempo trascorso ma soprattutto dall'accento adesso posto su sonorità più pulite, orientate ora in una sottile chiave psych-prog, ora intese quasi ad omaggiare i mostri sacri del rock degli anni 60 e 70.
Ne risulta un album che non suona fuori dal contesto per il solo motivo del retroterra della band, ma che comunque finisce per non graffiare più di tanto al di sotto della sua superficie. Ci sono ancora dialoghi elettrici incandescenti e affiorano in più punti del lavoro destrutturazioni claustrofobiche apprezzabili per chiunque abbia seguito con passione la stagione d'oro del rock statunitense dei nineties: mancano, tuttavia, sia la freschezza nel dotare le composizioni di strutture efficaci, sia il mordente capace di un urto invero spesso diluito attraverso una batteria monocorde e chitarre che troppe volte gemono con regolarità persino languida.

L'immutata abilità della band riesce ancora a regalare qualche sprazzo del tempo che fu, nonostante la prolissità talora eccessiva dei brani tenda a diluire oltre il necessario i superstiti accenni febbrili disseminati nel corso dell'album. Esemplificativi, a tal proposito, i quasi nove minuti di "A Link In The Chain", che chiudono il lavoro denotando un preoccupante parallelismo con gli ultimi Sonic Youth, nonché tentazioni psych e insospettabili reminiscenze prog, dalle quali nel complesso emerge una propensione dei Polvo del 2009 più verso i grandi classici del rock che non un consequenziale sviluppo della matrice artistica e culturale nella quale affondano le loro radici.

A quattro anni da In Prism (Merge, Records 2009), dopo lo scioglimento nel 1998 e la reunion nel 2008, i Polvo tornano con Siberia, mixato dalle sapienti mani di Brian Paulson (Slint, Wilco, Superchunk) e Mitch Easter (Rem, Pavement).
I produttori si dividono esattamente a metà le tracce del disco: il preludio musicale di “Total Immersion”, acido e distorto, dichiara intenti bellicosi (Paulson); mentre dal secondo brano i Polvo si distendono regalando funambolici incastri di riff e arpeggi tra la psichedelica e il math-rock con qualche eco di Oriente, forse quel luogo dove “Blues Is Loss” (Easter). Le sonorità orientali ritornano anche in “Ancient Grains” e in “Anchorless”, acustiche o sature, soprattutto nel giro finale del disco, ripetuto come un mantra ipnotico, e rotto solo dalla chiusura della batteria.
Un disco di meditazioni, molteplici ascolti assimilati e rielaborati in un rock personale e riconoscibile. Alcuni guizzi di chitarra ci riportano alle loro influenze, come i Dinosaur Jr. in “Light, Raking” (“It’s no joke when you’re chasing the bus/ growing older in a college town”) salvo poi aprirsi a divagazioni strumentali quasi accostabili ai Queen (“Clarity may come when it's too late to care/ always a light, raking through a summer sky”). Quando si pensa di ascoltare qualcosa di familiare o “già sentito”, i Polvo ti portano improvvisamente in un altro territorio, sia quello del rock americano o della psichedelia.
Dentro Siberia c’è tanta testa. La produzione a più mani è magistrale e nel complesso fin troppo eclettica. Il disco richiede più ascolti per apprezzarne a pieno la raffinatezza, ma emotivamente lascia un po’ interdetti. Ci sarebbe piaciuto qualche pezzo più debordante come “Total Immersion” a scompigliare ogni tanto un album architettato così meticolosamente.

Contributi di Raffaello Russo ("In Prism") e Maria Teresa Soldani ("Siberia")

Polvo

Discografia

Cor-Crane Secret (Merge, 1992)

Today's Active Lifestyles (Merge, 1993)
Celebrate The New Dark Age (Ep, Merge, 1994)
This Eclipse (Ep, Merge, 1995)
Exploded Drawing (Touch&Go, 1996)
Shapes (Touch&Go, 1997)
In Prism (Merge, 2009)
Siberia(Merge, 2013)
Pietra miliare
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