Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 130 - Giugno 2022

01_jalibabousJALI BABOU SAHO - TAMALLA (autoprod., 2022)
griot

Jali Babou Saho, originario del Gambia, apprende i rudimenti dei griot - antichi poeti di tradizione orale, cantori dell’Africa occidentale subsahariana - come da consuetudine dalla discendenza diretta (il padre Jali Jankuba). Nel Nord Italia avvia alcuni progetti (African Melokaan, BabuBaggia, “I Thalassa Mas” con Mascio e La Neve) prima di collaborare con Riccardo Sinigallia per il suo debutto solista, “Tamalla”. La sua bravura ai cordofoni in florilegi virtuosistici e il subliminale ritmo desertico sospingono il canto modulato e dolente in “Nkidetta/Solitudine” e “Kanno/Amore”, come pure la compassata melodia folk di “Harem Mujanni/No alla guerra”. Una dose maggiore di percussioni sostiene la danza spedita e ipnotica di “Tamalla/Viaggiatore”. Preziosamente psichedelico suona il rosario declamato e lamentevole di “Kelli Maying/No alla violenza”. Disco umile, compatto e coerente, dal tessuto armonico ossuto ma arcigno, di buona tempra poverista, quasi del tutto retto dalla sua kora con una quasi-eccezione: la chitarra elettrica atmosferica di raccordo e la sezione ritmica d’un soffice funk in “Fundinke Luu/Gioventù”, una delle più incalzanti. Sottratto qualche cedimento nostalgico, c’è pari intensità tanto nello sguardo al passato quanto in quello all’avvenire, nella tradizione quanto nel suo timido ammodernamento. Non elegia di disperazione né canto di ottimismo, piuttosto una via media, un’invocazione protesa a risuonare nella coscienza. Aiuti da Daniele Sinigallia e Maurizio Loffredo. Singolo con video: “Kanno” (Michele Saran6,5/10)


02_evocaEVOCANTE - DI QUESTI TEMPI (autoprod., 2022)
songwriter

Vicenzo Greco, Vibo Valentia, un passato multimediale e radiofonico, debutta con “Di questi tempi” con lo pseudonimo di Evocante, in compagnia di Luca Silvestri (chitarra), Barbara Vanorio (basso), e Luigi Feldmann (batteria), per un discorso di tono apocalittico giostrato su filastrocche recitate a mo’ di voce sintetica tra ritmi stentorei e squilli di fanfare elettroniche (“In piazza”), con qualche smarrimento lisergico (“Non c’è più tempo”), o in cadenze marziali (“Io contro tutti”), pure rischiando d’incartare e complicare all’eccesso la sua eloquenza (“Di questi tempi”). Greco dà sfogo ai temi contemporanei indicando senz’appello la buia venuta dell’ideologia populista, del nuovo sfruttamento capitalistico, l’individualismo liberista, la perdita dell’empatia verso il prossimo. Oltre ad ammirare il suo avvertimento verso il post-umano lo si potrebbe anche accusare - pure non senza ragione - di retorica didascalica e di orbo paternalismo da boomer d’un vieto “si stava meglio quando si stava peggio”: di qui la ballata dolente e accusatoria, dura e lirica di “Persongente”, che acquisisce via via fibra ritmica. L’elegia per armonie di tastiere cristalline di “Raccontami di te” in questo fa invece la cenerentola. Fondato sulla strumentazione rock ma rinsaldato da strati di elettronica talvolta genuinamente caotica (ma giusto in mezzo tutto implode nel tenue, sintetico e quasi religioso salterello di “Salvami”), suonato spartanamente con qualche punto di fervida sregolatezza, progettato con amatoriale ma epica esosità di suoni (i cui residui si radunano in fondo a tutto nell’inquieto strumentale “L’ascensore blu”), cantato e arrangiato secondo i dettami del tardo Battiato risentendo dell’esperienza di cover revisioniste nei Blefuscu. Unite in una strana forma di coesione, sono canzoni mutevoli, a loro modo uniche, che esortano l’ascoltatore a non abbassare la guardia, trascinano a riflettere sui gangli malfatti del presente (Michele Saran6,5/10)


03_mizulMIZULA - MIZULA (Tazzina Dischi, 2022)
alt-pop

Le canzoni languide di Daniele Rotella, il basso sobrio di Fabrizio De Angelis, il pervicace multistrumentismo di Laura Aschieri e la rada batteria di Diego Mariani fanno il nucleo dei Mizula, da Perugia. Le loro lentissime, sonnolente e rarefatte dediche crepuscolari di “Infiniti blu” e le più jazzate “Gentile è il vento” e “Ombre”, contenute nel primo omonimo “Mizula” ne danno le coordinate artistiche. A parte delle “Due secondi” e “Si è perso il tempo” che rimangono ancorate alla musica leggera italica, compare anche una più vispa, ma non meno fosca, “Mi dirai M.M.”, un po’ alla Crime & The City Solution, comunque sempre controbilanciata dal monocorde catalettico rhythm’n’blues di “Amico”. Soprattutto è “China”, in questo senso forse la migliore, a giocare di sfumature, dolci scollamenti tra il crooning indolente della voce, i cori, le strimpellate, le tastiere e il battito oscuro. Incrociando De André, il pop d’ascendenza noir e lo slowcore, il quartetto sacrifica nelle melodie ciò che arricchisce in arrangiamenti dal gusto tutto timbrico. Esaltato anche dalla produzione di Marco Fasolo, è un disco che passeggia teneramente tra sgombri ambienti sonori retrò, quasi delle soundscape-canzoni che hanno in Aschieri, nel suo sax gentile e non conturbante più che nei suoi controcanti da serafina, il miglior completamento delle parole di Rotella. “Infiniti blu” si accompagna con un video (Emiliano Angelelli) rifatto da “Pas De Jeux” di N. McLaren (Michele Saran6,5/10)


04_marsi_600.MARSILI - OSSARIO (Viceversa, 2022)
songwriter

Passate esperienze di gruppo, specie coi FLX, e sperimentali a nome Mondo Terminal, il catanese Felice Brigulio perviene al suo alias cantautoriale Marsili. Il secondo “Ossario” sfoggia ballate vagabondanti (“Valcorrente”) e altre con passo fermo (“Campane”, “Ossario”), in entrambi casi aiutandosi nell’enfasi col classico crescendo agogico di chiusa, ma anche una serenata filosofica cullata da tastiere docili (“Mongolfiera”) e un tocco magico di produzione, una giostrina con trombe angeliche in lontananza (“Fine”). “Rena”, latamente Guccini-iana, apre un angolo di visione sulla collettività. Altro picco è lo spunto peperino sudamericano in “Alloro”. Il primo “Aut De Gamme” (2019), produzione Basile, lo presentava orante di folk-rock alieno nella vena di Barrett e Donovan, ben distaccato dalla schiera it-pop. Questo, produzione Musarra, tira fuori un introverso cantore dimesso e nostalgico, meno originale - impastato di melò e sbandante verso il britpop - ma forse più autentico. Qualche motivo d’interesse: una cantabilità non banale, costruita peraltro su testi difficilotti e concetti non lineari, un’ispirazione a getto continuo, calante solo nelle ultime tre canzoni, e bei suoni: organo e tastiere elettroniche, theremin, chitarre lamentose (Michele Saran6/10)


05_bodaBODAH - NESSUN INCUBO PER IL SOLE (Trulletto, 2022)
psych-rock

Membro di Pus e Apulian Blues Foundation, il pugliese Marco Meledandri assembla persino un nonetto (tra i membri Giovanni Todisco e Fabrizio Pastore) per varare il suo debutto a nome Bodah, “Nessun incubo per il sole”. La sua natura gotico-psichedelica è ben rappresentata fin dall’inizio, dall’incipit tribale-esoterico a base di effetti elettronici di “Gennaio”, poi gracchiante jam basata sul wah wah e un cantico Black Sabbath cadenzato e ibridato con elementi progressivi e psichedelici (specie il mellotron): una piccola suite di revival con una sua forza epica. Efficace è anche il pezzo eponimo di 10 minuti, una suspense psichedelica “desertica” condotta dall’acustica, sfumata in una fantasia di canti sperduti di tastiere e distorsori, e portata con Neil Young-iana severità. Un album discretamente diverso appare da un pugno di canzoni che, però, mantengono qualche tocco di classe: “Alligatore d’agosto” è una canzoncina folk dall’armatura Doors, “Nel giorno del sabba” quasi plagia il Morricone della “Trilogia del dollaro”, e “Filastrocca per una strega” campiona il neo-stoner di Black Mountain e Motorpsycho (ma nella sostanza è un altro vaudeville leggerino). Molte competenze a pieno regime, non ultima la sezione ritmica. Più che bilanciare l’impegno col disimpegno e il rock strumentale con quello cantato - fiacchi i testi -, questo disco scisso, e breve, sceglie la via facile di accontentare un po’ tutto e tutti. C’è comunque personalità nella modellazione di suoni vibranti e nella sicura decalcomania d’antiquariato. Disegno di copertina: Rossella Mercedes (Michele Saran6/10)


06_zanz_600ZANZU - ZANZU EP (autoprod., 2022)
songwriter

Giacomo “Zanzu” Zanzucchi, cantautore autodidatta nato e cresciuto nella periferia nord di Roma, debutta in proprio con un EP omonimo di sette pezzi. Di pari livello sono tanto le sue rivisitazioni di serenate amorose, “Tornanti”, versione debosciata di un party da spiaggia, e “Natasha” (da Carrère), filastrocca-ritratto anche più epicamente tragicomica, quanto le rielaborazioni dei maestri, “IO/OI”, trasformazione dub eterea di De André, e “Elda”, trasformazione ska sognante del Dalla di “L’ultima luna”. Se “Corto Maltese” esprime il suo lato più leggero, la scarna “Notti bianche” ne scopre uno folk-spirituale (a tratti ricalca la “New Jersey” di Kozelek). Equilibrio ed eclettismo veraci anche se senza artigli. Pregiati, ricercati quanto artigianali, i panneggi in chiaroscuro di feedback e distorsioni delle sue chitarre, plasmate in coppia con Marco Blarzino. In cassetta un bonus a sorpresa (Michele Saran6/10)


07_ro_600ROS - ALLEGRIA MALDISTRIBUITA (autoprod., 2022)
punk-pop

Semifinalisti all’undicesimo X Factor, patrocinati da Agnelli per l’Ep di debutto, “Rumore” (2018), i ROS - i toscani Camilla Giannelli (voce e chitarra), Lorenzo Peruzzi (cori e batteria) e Kevin Rossetti (basso) - varcano la soglia del disco lungo con “Allegria maldistribuita”. A suon di litanie power-pop come “NormoSuper”, “Mal di male” e la più concentrata “Hardcuore”, al trio riesce anche una quasi-hit, “Emozione in maggiore”, anche se il muro di chitarra più granitico sta in “Non m’ama”. Giannelli si adopera in un vaudeville ispirato in parti uguali da Gaetano e dall’it-pop, “Che bello”, e nell’ancor più confessionale “La ricetta” che punta alla canzone d’autore al femminile, fino alla prova canora più melodrammatica in “Divenire” e al talking-blues esagitato di “Vaffanculo”. Il suono c’è - discreti gli accordi “power” che imperversano da capo a piè -, mancherebbero una vera grinta e una vera cattiveria al di là dell’impostata ripetitività, del mandare a pappagallo un nichilismo pure credibile ma troppo allitterato, “scritto” (però qualche buon verso: “Se solo funzionassero le stelle saprei come usarle”). Per chi ha scordato i Verdena ma non vuole i Måneskin (Michele Saran5,5/10)


08_autun_600AUTUNE - KOMOREBI (Trulletto, 2022)
ambient-pop

Autune è la creatura artistica di Davi Vale, d’origine pugliese ma trasferito in Svizzera, il cui “Komorebi” mostra un autore che ragiona per frammenti ancora acerbi e intuizioni raccogliticce: il pizzicato orchestrale di “Apple”, i carillon fatati in sottofondo a “No Plastic In Paper” e “A Sunset In Greece”, l’ambience francesizzante di “Pedro From The Hill”. Sono tutte mezze-canzoni invocanti, al meglio esemplificate da “Lemon Balm Tea”, alla Clue To Kalo, e “Story Of A Bee, A Drop And A Tree”, alla Caribou, fondata su un atmosferico riff acustico. Due schizzi strumentali da un minuto, il preludietto post-organistico di “Komorebi” e la scricciola sonatina pianistica di “Bird Watching”, cercano di dare un senso a questo smilzo, obliquo e svanito tentativo di annodare il soul-hop cubista ai recitativi d’operetta e al sinfonismo asettico. A farsi notare più di tutto è la sensazione d’incompiutezza. Seguito dei singoli “The Orange Peak” (2019), “Detachement” (2019), “A Dry Paper Leaf” (2019) e dell’Ep “Autunes” (2020), ancor più formativi. Collaboratori: Ylenia Ancona, Angelo Bosato Fanelli, Carlo Elias Gonnella, Marco Minoia (Michele Saran5,5/10)


09_martaten_600MARTA TENAGLIA - GUARDA DOVE VAI (Costello’s, 2022)
songwriter

Caso raro ma non troppo: dal debutto di Marta Tenaglia (Milano), “Guarda dove vai”, emergono maggiormente i non-singoli. A parte “Ventilatore” (2021), una ballata lenta e sovrapprodotta, sono da segnalare un dance-pop sofisticato, “Ikea” (che poi l’autrice replica altre tre o quattro volte, da “Alda Merini centravanti” a “Osmanto”), e una fatata canzoncina lo-fi, “Sono oceano”. Prodotto da esportazione macina-like, click Spotify e visualizzazioni YouTube, con un certo decoro. Tenaglia sa poetare e F. Carillo (produzione) sa edulcorare. Protagonisti sono i beat gustosamente naïf in alternanza - intuitivamente strategica - con boccate d’ossigeno di suonini di chitarra acustica (Michele Saran5/10)


10_materialfMATERIAL FIELDS - MATERIAL FIELDS (autoprod., 2022)
alt-rock

Dietro alla sigla Material Fields e al primo disco omonimo si celano Lorenzo Pasini, anche chitarrista dei Pinguini Tattici Nucleari, e un complesso con chitarre, sintetizzatore, pianoforte, sezione ritmica e un sax, preannunziato dal singolo “Low Lights” (2022) ma piuttosto messo in luce dal ritornello melodrammatico-elettronico di “Empty Spaces”, oltre che da una specie di parodia dei NIN, “Someone To Blame”. Col lanternino si trovano qualche fugace momento accettabile come pure alcune scelte d’arrangiamento al limite dello strampalato (il tex-mex in “Under Crystal Domes”). Insincero conglomerato di arena-rock vecchia-ma-nuova maniera. Esiti grezzamente esteriori (Michele Saran4/10)

Discografia

JALI BABOU SAHO - TAMALLA(autoprod., 2022)
EVOCANTE - DI QUESTI TEMPI(autoprod., 2022)
MIZULA - MIZULA(Tazzina Dischi, 2022)
MARSILI - OSSARIO(Viceversa, 2022)
BODAH - NESSUN INCUBO PER IL SOLE(Trulletto, 2022)
ZANZU - ZANZU EP(autoprod., 2022)
ROS - ALLEGRIA MALDISTRIBUITA(autoprod., 2022)
AUTUNE - KOMOREBI(Trulletto, 2022)
MARTA TENAGLIA - GUARDA DOVE VAI(Costello’s, 2022)
MATERIAL FIELDS - MATERIAL FIELDS(autoprod., 2022)
Pietra miliare
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