Dieci Piccoli Italiani

N. 162 - Aprile 2025

di AA.VV.

01_benvenut_600BENVENUTI - MALALINGUA EP (Tape Take, 2025)
songwriter

L’Ep “Malalingua” di Davide Benvenuti comincia con l’eponima, breve “Malalingua”, già denso preludio a base di calderoni digital-vocali. “La mia qualunque età” è una rapsodia teatrante su sottofondo fibrillante, un breakbeat d’arte informale di estroflessioni melodiche acide e un caos di echi. Persino la piccola ballata apocalittica di “Sentenza” viene infine spappolata senza pietà. Altri mille echi circondano il poemetto-canzone di dolore di “Se per quest’alba”, 8 minuti: disintegrato in un cumulo di dissonanze, riacquista vigore solenne quasi emo-core, muta in marcia funebre techno, ricomincia come comizio Rino Gaetano in un paesaggio ostile cibertronico, un assolo elettrico fintamente trionfale morso e deformato dall’elettronica. Un piccolo saggio su diaspora e decostruzione. Salto quantico del giovane bolognese rispetto al nudo dimesso acustica-voce del primo Ep “Exeocoetidae” (2021), merito anche o soprattutto di un Rocco Marchi in regia particolarmente condiscendente a sbrigliatezze fantastiche. Con i contributi della compagnia Moth, di Nicolas Guandalini (sax e basso) e Matteo Poidomani (batteria), è un concept compatto da cazzotto nelle reni sulla detenzione politica, da Andras Toma a Patrick Zaki, imperniato sulla negazione della parola, sui riverberi laceranti della cella, la castrante claustrofobia. Suoni della sirena antiaerea di Kiev in “Se per quest’alba” che, di fondo, trae ispirazione da “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di E. M. Remarque (Michele Saran7/10)


neoprimitivi_coverNEOPRIMITIVI - ORGIA MISTERO (42, 2025)
psych-rock, kraut

Un progetto che si presenta come sospeso in un bozzolo spazio-temporale. Un singolo d’esordio, “Sul globo d’argento”, che è quanto di meno radiofonico oggi si possa immaginare: una suite di ventuno minuti suddivisa in cinque movimenti, pubblicata esclusivamente su audiocassetta. Provocazione da freak fuori tempo massimo? In realtà bastano pochi minuti di ascolto per decifrare tutta la sincerità – e oserei dire la modernità – insita in questa personale forma di progressive psichedelico, psicotropo, lisergico, che si distende lasciando entrare influenze motorik (evidenti omaggi al mondo kraut), garage e ambient, alternando lente evoluzioni ad arrembaggi proto-garage. Nel primo album del collettivo romano, sul Lato A è posizionato il singolo già diffuso, mentre sul Lato B si accomodano tre tracce inedite – “Artificali”, “La teiera nera” e “Natulrich” - per complessivi ulteriori ventuno minuti e spicci. E’ un ritorno verso certe atmosfere sixties-seventies, la ricerca delle origini di un modo di fare musica sempre più raro, che non vuole avere fretta, che non intende condensarsi in trenta secondi da spedire su TikTok. Il concept elaborato per “Orgia Mistero” è l’emigrazione dell’essere umano verso un altro pianeta, dove si creerebbero le condizioni per lo sviluppo di nuove forme musicali. Un neo-primitivismo (da qui il nome scelto per identificare il gruppo), un approccio fantascientifico che si materializza in jam compresse dentro un formato canzone piuttosto fluido, selezionando le parti più interessanti da lunghe improvvisazioni compiute in studio. I sani ideali della band vengono trasposti anche nella dimensione live, con una residency al trenta Formiche di Roma immaginabile come la versione attualizzata dei Pink Floyd nel londinese UFO Club ai tempi di Syd Barrett (Claudio Lancia7/10)



03_echoe_600ECHOES - IO (I Dischi Del Minollo, 2024)
alt-metal

Il massimo surplus del terzetto umbro post-metal degli Echoes al primo “Io” non sta tanto nell’organizzare una suite progressiva fatta di suite progressive (“Capitoli”) quanto di rimpiazzare in qualche maniera il canto con una meno ovvia elettronica rozza analogica d’annata, mai davvero industrial e mai davvero avanguardista, piuttosto un rapsodo apolide colto ad annunciare ai margini e con scherno l’avvento di una non meglio precisata catastrofe. Per esempio il primo capitolo “La città cade”, prima di darsi all’improvviso al furore stoner, inizia con una sorta di passacaglia per gargarismi ronzanti. Ugualmente ma con miglior integrazione, una “Jacintho” imperniata sul metal nordico viene spezzata da un “dungeon synth” in grado di dare un impulso di variazioni drammatiche. La prima delle due parti de “Il nomade” si basa su una lamina sci-fi screziata alla Vangelis, e qui l’integrazione diventa compenetrazione: il metal si scarnifica in cicalecci minimalisti per solo basso torrido post-Black Sabbath e battito desolato (riprende carne nella seconda parte di foga quasi thrash). L’inizio degli 8 minuti di “Astio” suona come una “Zombie Warfare” dei Chrome a un terzo della velocità (poi assume le tinte della distensione post-rock anche se è più danza ipnotica). “L’orco”, ancor più ampia, si apre con un arpeggiatore che suona un folk mediterraneo, avvia una concertazione sinistramente guardinga Pink Floyd-iana e assume i tratti di una body music cibernetica da Ministry (per un momento persino scimmiotta la drill’n’bass di Aphex Twin). La produzione di Saverio Paiella accentua asperità prog e influenze sludge ma sorvola su difetti e sdruciture: il disco fa funzionare le sue fattezze d’epica grandiosità se lo si prende nel suo insieme di multiforme monolito, sfinente maratona di arcani saliscendi, colossale meditazione oscura, pur coi suoi mezzi antidiluviani (Michele Saran6,5/10)


05_emilianodau_600EMILIANO D’AURIA - THE BAGGAGE ROOM (Via Veneto Jazz, 2024)
avant-jazz

Il pianista Emiliano D’Auria imbastisce tutta un’altra formazione rispetto al predecessore “First Rain” (2023), statunitense e non più italiana, oltre che maggiormente contenuta, per “The Baggage Room”. Allo stesso modo gli assoli dei comprimari a sax e tromba bonificano eccessi di virtuosismo con dosi di registri romantici e melanconici. Nonostante non eccellano in mordente ci sono pezzi rilevanti: l’eponima “Baggage Room” e il suo concertino danzante, “1891 Ellis Island” col miglior inciso di piano ribattuto e una rarefazione rallentata di discreta fattura, le dilatazioni di “Eye Man”, il tema noir e le nevrosi ritmiche di “The Story Of Sacco And Vanzetti”. Il momento maggiore è dato dagli 8 minuti di “Third Class”, soprattutto perché incorpora la sua maestria alla rielaborazione elettronica del componimento: un poliritmo spedito con linea melodica di svolazzi alla Ravel si sfalda in una sonata pianistica di tono pensoso. Alle prese con un concept riuscito sì e forse sui migranti italiani in terra newyorkese di fin de siecle (e rimandi, nelle intenzioni, all’attualità iperconnessa), il jazzista, bandleader e compositore di Ascoli si serve di omaggi quasi espliciti al bebop storico alternandoli fluidamente con digressioni alla tastiera intonate sul contemporaneo. Fa leva, come fossero dei talismani, sui supporti della tromba di Philip Dizack, del sax tenore di Dayna Stephens, del double bass di Rick Rosato e della batteria di Kweku Sumbry. Oltre a impersonarsi lui stesso novizio straniero nella terra dell’oro: registrato a Brooklyn (Michele Saran6/10)


06_simmcSIMMCAT - I HEARD SHE LOST YOU (We Were Never Being Boring, 2025)
songwriter

Simmcat debutta nel più completo lo-fi con il singolo “For You” (2018), l’Ep “Soy Milk” (2020) e l’appena più lungo e appena più (bizzarramente) adornato “I Thought I Was Dreaming” (2023). Primo album con vero arrangiamento, “I Heard She Lost You” apre e chiude con “Intro” e “Outro”, nenie chitarristiche tra droni sibilanti di strumenti da camera, e nel mezzo annovera una blueseggiante “Always”. Proprio questi nuovi esili strati di suono fanno alzare canzoni come “Home” con l’apatica trascendenza dei Galaxie 500 e “Sad Spring” con una non inferiore solenne vaghezza. Quando fa proprio a meno degli scriccioli refrain nasce invece il monocorde flusso di coscienza di “What Is Real”, strimpellato e sonnambulo, appena addolorato, ma pure sferzato dal vibrato del cello. Con l’analoga “I’m Sorry But” rialza la testa e tocca piccoli vertici d’estetismo psichedelico. Novella geek in quel del capitolino d’affettazione esterofila, Simona Catalani confeziona un “break-up album” di soli venti e rotti minuti. Poco male: tutte canzoni sentitamente essenziali nella loro non scoppiettante originalità. Registrato in California con Samuele Jack Palazzi, un più alla sua confezione di fibra villereccia (Michele Saran6/10)


07_matteocim_600MATTEO CIMINARI - MENTALCOREDRILLINGS (FMR, 2025)
jazz-rock

La collaborazione già nei I’m Anita tra il chitarrista Matteo Ciminari e il batterista Luca Orselli continua nel lavoro del solo Ciminari, nel primo “Fried Hippocampus” (2020) e nel seguito “Mentalcoredrillings”, che però si fregia anche delle tastiere di Simone Maggio, del double bass di Mattia Borraccetti e dei fiati di Maurizio Moscatelli. L’ensemble disegna “Atom Sluing Zooid” e si sfida a “triello” per “Doubledream”, samba circensi compresse e fratturate. Forse più riuscite sono quelle meno aderenti a pose e schemi, come “Babydonnol”, bozzetto informale elettronico a corrente Zeppelin-iana, e la melodia folk filastroccante degna di Canterbury funestata da colpi isterici free-jazz di “Attitude Reduction” (ma anche la jam di batteria e sax Ayler-iano in “Zazzà”). La tecnica di composizione del leader, imprevedibile così cosà, emerge dapprima in “Shoesoup” (assolo pensoso del basso, tema anemico, momentanea convulsa concertazione, ultimo motivo swing), poi in una “Fried Ouroboroi” svolta interamente all’unisono sull’assoleggiare acido dell’elettrica, ma soprattutto nell’estesa “Tanghero”, una piccola maratona forte del miglior assolo ipnotico di piano elettrico completato in scia dal sopranino. Opera seconda di nuovo un tot raccogliticcia, e divertita ma non così divertente, quella dello strumentista marchigiano. Vena estrosa a macchia: quando c’è funziona. Registrazione splendida (Michele Saran6/10)


08_holysimil_600HOLY SIMILAUN - TO SEE FOREVER (Hide, 2025)
post-electro

Dopo aver dato vita alla label Prehistoric Silence, Alberto Bertelli si ribattezza Holy Similaun per dare corpo alla sua creatività ai dispositivi digitali: “En To Pan” (2018), la cassetta “Ansatz” (2021), e due collaborazioni con la vocalist Micol Belletti, “Arcaskathel” (2022) e il mini “Radicor Al Flort” (2023) i suoi parti. Il successivo “To See Forever” annovera ancora qua e là Belletti ma più che altro cerca di ipotizzare nuove vie dopo quanto esplorato finora. La prima è il naturalismo: “For A #?$@*!” suona come una “pastorale” triturata a mo’ di martello pneumatico; “Rain After Running Away” dà appunto un descrittivismo glitch di scrosci e tuoni. Qualche volta invece scodella brani venati d’inquietudine, come “Ok And”, uno studio sulla respirazione, e frenesia isterica, come “Re-Action”, o ambedue, come “For A €#%+!”. Terza ipotetica strada si apre nella seconda metà di “Not That Safe” (non più di un minuto e mezzo), uno scorcio d’innodia tra new age e musica barocca. L’idea più fantasiosa sta alla fine, nell’“Outro”, due parlanti maschile/femminile in dialogo come in una piece teatrale, i cui interventi sono separati da detonazioni distorte. Trevigiano producer già forte di diversi progetti da solo (Paradoxes, xpedient) e in coppia (Aeon Gate con Giulio “Coeden” Spampinato e Exotic Cipher con Gianmaria Schinezos) Bertelli non vantando brani maiuscoli d’aggancio fatica a spostare la sua estetica. Peggio, troppi momenti senza grande senso tolgono solidità. Anche qui, però, torreggia la sua tecnica mista e la destrezza di stilista del suono, oltre a cenni d’improvvisazione virtuosistica (sentire l’eponima “To See Forever”) (Michele Saran5,5/10)


09_tommasot_600TOMMASO TALARICO - CANZONI D’AMORE PER UN PAESE IN GUERRA (Radici Music, 2024)
songwriter

Il grosso di “Canzoni d’amore per un paese in guerra” di Tommaso Talarico (Firenze) lo dà una frotta di ballate leggere in tempo comodo. “Previsioni del tempo” muove però da un incipit interessante: l’“Inno alla gioia” (dell’Unione Europea, ndr) suonato al piano e via via stravolto man mano che si sovrappongono caoticamente reportage di Tg. Le sue incazzature vanno sopra le righe un paio di volte, sostanziandosi di hard-rock in “Respira” e di patchanka nel singolo “La tua paura” (2019). Su tutto si staglia una meditazione pianistica in tono paradossalmente minore, “Il giorno prima di partire”, che si scopre evolversi in duetto con la seconda voce di Marilena Catapano, che a sua volta si scopre sublimarsi in cavalcata epica Springsteen-iana. Seguito dell’analogo “Viandanti” (2018), è un commentario antimilitarista di convenzionale svolgersi - ultimo rampollo de “Il vecchio e il bambino” di Guccini - ma in compenso zuppo di testi d’appassionata condotta (ossigeno, peraltro, di questi tempi). Co-prodotto con Gianfilippo Boni (Michele Saran5,5/10)


10_jacopofJACOPO FERRAZZA - PROMETHEUS (Teal Dreamers Factory, 2025)
jazz opera

Il contrabbassista romano Jacopo Ferrazza dà una naturale conseguenza al suo primo a proprio nome “Fantàsia” (2022) con l’operetta “Prometheus” per voce femminile e quartetto (con violoncello). Numeri come “The Cave” e il più esteso “I Am Everywhere” incrociano in maniera vagamente dissonante il lied da camera con i modi canori del musical per alzarsi in scroscianti sudamericane improvvisazioni pianistiche. Il pezzo eponimo riceve una spinta ipersincopata. “Rediscovery Of Fire” ha un buon inizio di sabba tribale purtroppo non proseguito, e quello che dovrebbe rappresentare un brano maggiore suona invece triviale (la parte più interessante è la più dimessa: un’estasi di cello e contrabbasso con archetto). L’episodio pacato del caso, “Pillory”, può vantare al massimo un assolo romantico del contrabbasso del leader. Finalmente un momento di fusion demonica compare in “Titan Rises” (cui compartecipa attivamente anche il canto). Arcinoto mito greco sul fuoco riletto con cristallino, stucchevole ordine e poco fuoco: la continua impostazione per arie piano-voce. Ripetitivo e quasi prevedibile, affabile, non innovativo. Troppo testo, troppo “libretto”. La voce narrante di Alessandra Diodati va scoperta nella mezz’ora della serie “Per Dei Suoni” (2023), il cello di Livia De Romanis nella “Chamber Music” (2024) di Louise Farrenc (Michele Saran5/10)


tacettaTACET TACET TACET - FICKLE (Bloody Sound Fucktory, 2025)
glitch

Messa a segno anche la parentesi semi-ridanciana a nome Alaskan Pipeline, Francesco Zedde ritorna alla modalità seria come Tacet Tacet Tacet, il cui ultimo “Fickle” raccoglie creazioni appuntate lungo gli anni. “Dissimulation” e “Pertinence” hanno la stessa ispirazione, ma mentre la prima germina la sua lamentazione maghrebina da una trance di campanelli e poi si riduce a sciapo remix Idm, la seconda fa l’opposto: da un flipper digital-mediorientale a una vaga trance. Di quel tanto rilevanti sono quei brani - composti con Jacopo “52 Hearts Whale” Mittino - che accoppiano registri informi e barbarici a regolari e asettici, soprattutto “Gamble” (rado percuotere pseudo-jazz, sentore elettrodub, ticchettio stroboscopico del synth). Gli 8 minuti di “Recurrence” si fondano su un lento scampanio post-pianistico, in cui una serie di disturbi e un beat dimesso lo liquefano per qualche istante. Con i 24 minuti d’epico affresco ambient “Perpetual” (2017) condivide il nome (preso dai tre movimenti di “4’33”” di J. Cage), ma il disco è più che altro uno sfocato e incerto succedaneo della sua esperienza Tonto di folle percussionista totale, oltre che di avvento e boom della synthwave. Di tanto in tanto un occhio all’indietro all’era drum’n’bass. Uscito su Cd-r in tiratura limitata e all’estero su cassetta per Attenuation Circuit (Michele Saran, 5/10)

13/04/2025

Discografia

BENVENUTI - MALALINGUA EP(Tape Take, 2025)
NEOPRIMITIVI - ORGIA MISTERO (42, 2025)
ECHOES - IO(I Dischi Del Minollo, 2024)
EMILIANO D’AURIA - THE BAGGAGE ROOM(Via Veneto Jazz, 2024)
SIMMCAT - I HEARD SHE LOST YOU(We Were Never Being Boring, 2025)
MATTEO CIMINARI - MENTALCOREDRILLINGS(FMR, 2025)
HOLY SIMILAUN - TO SEE FOREVER(Hide, 2025)
TOMMASO TALARICO - CANZONI D’AMORE PER UN PAESE IN GUERRA(Radici Music, 2024)
JACOPO FERRAZZA - PROMETHEUS(Teal Dreamers Factory, 2025)
TACET TACET TACET - FICKLE (Bloody Sound Fucktory, 2025)
Pietra miliare
Consigliato da OR