A un certo punto, qualcuno lo avrebbe forse scommesso: finalmente, l’incubo è finito. Quello smooth jazz iperlevigato, quella fusion stellare che per più di un decennio avevano imperversato fra gli amanti del “bel suonare”, a metà anni Novanta potevano legittimamente apparire come un lontano ricordo. Sì, c’era l’acid jazz, c’erano tutti gli imborghesimenti da cocktail della downtempo, ma i postumi di quella interminabile sbornia di assoli e cattivo gusto sembravano terminati una volta per tutte. Basta col funky imbolsito e imborghesito. Niente più accordi dai nomi impronunciabili infilati nei più ruffiani pezzi pop.
Fast-forward: trent’anni dopo, quel sound è ovunque. Insieme a molto altro, sia chiaro - al punto tale che qualcuno potrebbe non essersene proprio accorto. Ma è nel math-prog-metal di Plini e dei visualizzatissimi Polyphia e nelle strumentali su base hip-hop di Kamaal Williams e Anomalie. L’universo vapor ha costruito la sua fama sul saccheggio della muzak anni Ottanta e gli accordi impronunciabili (Si♭7+/9, Sol#7♭13, Dom7/5♭) sono al cuore degli ultimi album di Harry Styles e della celebrità nipponica Fujii Kaze. Pure in Italia la funambolica fusion big band degli Snarky Puppy fa il pienone ai concerti e il revival del funky partenopeo condotto dai Nu Genea va in tutto esaurito.
Questa playlist è un fritto misto. Non ha lo scopo di introdurre a un qualche genere in modo metodico, ma di mostrare quanto un certo sound - accordi estesi, vamping chitarristico, sbruffonate virtuosistiche, groove contagioso e impeccabile - sia ormai diffuso trasversalmente fra gli ambiti musicali. Il titolo "hyper fusion" vuol essere un semplice calco di "hyperpop", che sottolinei il carattere eterogeneo, postmoderno e talvolta un poco kitsch delle musiche proposte. È improbabile che ogni singolo terreno toccato nella compilation rappresenti la cup of tea di chi vorrà ascoltarla: si va dal metal al pop da classifica, dal jazz per big band ai suoni ultraelettronici del synth-funk, includendo tanto artisti di nicchia quanto YouTuber campioni di clic.
Anche in fatto di influssi lo spettro è vario: fra echi fusion, ricordi funky e nu-disco, citazioni city pop, yacht rock o sophisti-pop, il vero e forse unico filo conduttore è proprio la ripresa dei suoni jazz o jazzy post-settantiani più prossimi a radio e piste da ballo. Con ampi (ma non obbligatori) sconfinamenti nei funambolismi da guitar hero o in sonorità liquide in odore di new age, e senza disdegnare l’indubbia patina corporate che la memoria collettiva ha legato a quegli stili.
Nel pratico. Scorrendo la playlist, si incontreranno: tanti giapponesi - d’altra parte il Giappone è la terra dove prog, fusion e virtuosismi vari non sono mai davvero passati di moda - tante incursioni vapor (non sono stati gli artisti senza volto dai bizzarri nomi in katakana a riaccendere l’interesse internettiano per il city pop?), un discreto numero di jazzisti propriamente detti fra i quali domina il giro dei già citati Snarky Puppy.
Altri due trend in vista che hanno rinnovato la demografia del pubblico jazz, afrobeat e nu jazz, sono stati trattati in passato e non sono stati posti al centro della selezione. Qualche intersezione è stata comunque inevitabile, soprattutto col nu jazz, e nella parte finale della compilation qualche nome a cavallo lo si incontra. Ci sarebbe molto altro da approfondire, mettere in discussione, smontare, ma lo scopo dei cinquanta brani e di queste poche righe è solo indicare direzioni. A ciascuno di esplorare quelle ritenute più stimolanti.