Due cyborg in mezzo a noi; creature dall'intelligenza superiore, venute da chissà quale futuro, capaci di donare a noi poveri mortali due dei dischi più sensazionali degli ultimi dieci anni (e oltre, forse). Nascosti chissà dove per quasi quattro anni, i cyborg sono tornati e lo hanno fatto in maniera trionfale ma discreta, creando attorno a sé un caso sin dal titolo scelto per questa opera terza, "Human After All" (ma a chi la vogliono dare a bere?).
Che i Daft Punk non fossero una semplice formazione dedita alla solita dance-music risultava già chiaro dalle prime note di "Homework", il loro esordio; la conferma arrivò con "Discovery", seconda prova che comprimeva le loro geniali intuizioni danzerecce in una godibilissima forma-canzone. E adesso, la prova del nove, la quadratura del cerchio: "Human After All" (nei negozi dal 14 marzo). Se "Homework" era daft-house e "Discovery" daft-pop, quest'ultimo lavoro rappresenta la loro visione del rock, visione assolutamente originale nello stile eppure completamente aderente nell'attitudine e nei contenuti alla classicità del genere: musica energetica, sanguigna, dall'appeal immediato. Proprio per questo il suono si fa più minimale e gli arrangiamenti più scarni rispetto a "Discovery", anche se si ritrovano ancora tracce di melodie che, come nel passato, strizzano l'occhio tanto alla disco made in Italy quanto ai riffoni e agli assoli più tamarri dell' hard-rock.
Fondamentalmente il disco viaggia su due coordinate: pezzi pesanti e rumorosi con battuta house (ma anche senza) e/o rivisitazioni in chiave daft punk dell'universo techno in molte delle sue sfumature, dalla magnifica ingenuità degli immancabili Kraftwerk, attraversando le sperimentazioni di Richie Hawtin, fino a toccare moderne sponde chicagoane. Della prima categoria fanno parte la splendida title track, posta in apertura, una perfetta "My Sharona" electro con campionatori e vocoder al posto delle chitarre, "Robot Rock", che esaspera il discorso reiterando lo stesso riff dall'inizio alla fine e creando così l'ibrido ideale tra il significato del rock e il significante della dance, così come l'ossessiva e ultrapesante "Brainwasher", quasi metal e quasi trance, e la più classica, ma non per questo meno incisiva, "Television Rules The Nation", giro semplice su bassa battuta, infarcito di immondizia digitale.
Ancor più interessanti, forse, i restanti episodi dove prevale la ricerca, pezzi maturi che mostrano innanzitutto la sfrenata passione del duo francese per la techno tutta e una magistrale abilità nel fare propri i canoni del genere, fondendoli di volta in volta con influenze diverse. E' il caso, ad esempio, di "Make Love", uno dei due pezzi più pop dell'album, in cui chiarissimo è l'omaggio ai Kraftwerk, ma anche ai Neu!, "The Prime Time Of Your Life", che si basa quasi interamente su campioni vocali stravolti dal vocoder e messi in loop su un ritmo hard-blues, "Steam Machine", nella quale i più avvezzi al mondo techno riconosceranno immediatamente l'impronta sperimentale di un Plastikman, la straniante "Technologic", che sembra partorita dalle più brillanti menti della techno di Chicago fuse assieme, ma soprattutto la commuovente, epica, grandiosa (e per chi scrive la vetta dell'album in assoluto) "Emotion", posta in chiusura: tripudio pop di tastiere, ultrabassi, rumori e una sezione ritmica martellante e ossessiva.
I Daft Punk si riconfermano, insomma, una delle formazioni più originali in circolazione: capaci di stupire a ogni nuovo album senza il minimo segno di cedimento o di calo creativo e, soprattutto, riconoscibili in mezzo a mille, pur proseguendo il loro percorso cambiando spesso le carte in tavola. "Human After All" è in primis una ulteriore prova della loro grandezza, ma anche, e forse soprattutto, un disco che fa comprendere come la musica, di qualunque genere sia, possieda una "magia" di fondo capace di incantare e far vivere meglio noi umani (dopo tutto).