Micah P. Hinson

Presents The Holy Strangers

2017 (Full Time Hobby)
songwriter, alt-folk

È crudo e appassionato, il Libro di Micah. Un apocrifo texano nella grande Bibbia dell'America. Ha la voce di un vecchio profeta, o forse di un vagabondo in cerca della strada di casa. A Micah P. Hinson sono serviti due anni per scriverlo. Niente più figure femminili in bianco e nero, niente più intestazioni collettive: in copertina stavolta c'è solo il suo ritratto, con quell'inconfondibile aria da Woody Allen démodé. "Una moderna opera folk", la definisce. L'opera che inseguiva da molto tempo.
"The Holy Strangers" non è solo una raccolta di canzoni. È la colonna sonora di un vero e proprio romanzo, che accompagna in tiratura limitata le prime copie del disco. E, come in ogni colonna sonora che si rispetti, i brani strumentali si dividono il campo più o meno equamente con quelli cantati, offrendo alla musica di Hinson un respiro più evocativo che mai. La strumentazione è rigorosamente analogica, l'approccio intimamente personale. Meno appariscente che in passato, forse, ma proprio per questo capace di immergersi più a fondo in un percorso dagli intenti così ambiziosi.

Comincia con un prologo sinuoso e carico di attesa, "The Holy Strangers". Echi di chitarra a galleggiare sulla coltre soffusa di "The Temptation", il chiarore di un'alba che si fa lentamente strada. Poi, "The Great Void" introduce il racconto su uno di quei classici carillon agrodolci fatti apposta per cullare il baritono scavato di Hinson: il pianto di due bambini che vengono al mondo, l'affacciarsi di due esistenze destinate a rimanere intrecciate. Il loro primo incontro, il loro primo sospiro d'amore prende il passo da ruspante serenata country di "Lover's Lane", omaggio sfacciato al romanticismo dell'Uomo in Nero.
"The Years Tire On", annuncia il primo intermezzo strumentale del disco, conferendo al trascorrere del tempo un senso incombente di fatalità, sottolineato dai risvolti cupi del violoncello. L'attesa è lunga, ma alla fine ecco i figli: Hinson imbraccia la chitarra e intona una ninnananna sbilenca per piccoli alieni ("Oh, Spaceman"), in cui fanno capolino anche i vagiti del suo primogenito Wiley T.

Ma quella di "The Holy Strangers", casomai ci fossero dubbi, non è la storia di un idillio familiare. L'ombra della guerra, sulle note polverose di una spinetta, si proietta minacciosa sulla title track, strappando il marito dalle mura di casa per abbandonarlo alla violenza del fronte. Nulla sarà più come prima. "Il marito trova una Bibbia, la apre e legge parole che riempiono il suo animo di ira e sdegno", spiega Hinson. Così, nel lungo spoken word di "Micah Book One", lo troviamo alle prese con la lettura del Vecchio Testamento (il libro del profeta Michea, ovviamente...), mentre declama visioni di peccato e castigo su una base ipnotica, con il timbro implacabile di qualche personaggio di Flannery O'Connor.
Il secondo atto della storia si apre su una nota ostinata di piano, con gli archi di Andrea Ruggiero e Ambra Chiara Michelangeli a conferire un'aura cameristica a "The War". "All is lost/ The words we hold onto/ The things that defeat us", mormora Hinson in duetto con la moglie Ashley in "The Darling I Fear", scarna e dolente come una litania dei Black Heart Procession. Il sangue chiama altro sangue, le mani del reduce si macchiano di un crimine efferato. Si sente la voce di un predicatore, mellotron e cori assumono un tono insolitamente eelsiano per accompagnare "The Awakening". Ma alla moglie basta uno sguardo per comprendere: "When you fell out of the forest with the blood on your hands/ I felt alone, I am alone".

Lo scenario è pronto per il compiersi del dramma. Resta solo il tempo di un ultimo addio tra le tastiere di "The Last Song", prima che le fiamme divorino ogni cosa. Dalle ceneri di "The Memorial Day Massacre" riemerge solo una figura: la moglie, la madre, l'unica sopravvissuta della famiglia, disperata Medea americana. Non le basta saltare su un treno per sfuggire alla maledizione della colpa. Hinson prende in prestito un valzer dalla Carter Family, con uno di quei furti folk tanto cari al vate Dylan (che per "Tempest" ha attinto non a caso alla stessa fonte); e l'eco di uno sparo resta sospeso a mezz'aria in "The Lady From Abilene": "She took the shiny sixer/ She'd cleaned it again and again/ Put the gun to her temple and now she too was dead".
Non è questa, però, l'ultima parola. Come il coro di una tragedia, l'epilogo di "Come By Here" trasforma l'arcinoto spiritual "Kumbaya" in una rarefatta preghiera funebre, con la melodia a dipanarsi al rallentatore su uno sfondo sgranato. "Someone's screaming, Lord, come by here". Nella lotta, nella sofferenza, nella morte è il grido che il grande mistero si faccia presente. Ogni fiume corre verso il mare, recita la citazione dell'Ecclesiaste posta da Hinson a chiusura dell'album, eppure il mare non è mai pieno: è quell'incompiutezza a renderci davvero uomini, santi stranieri accomunati dallo stesso destino, non più estranei gli uni per gli altri.

22/09/2017

Tracklist

  1. The Temptation
  2. The Great Void
  3. Lover's Lane
  4. The Years Tire On
  5. Oh, Spaceman
  6. The Holy Strangers
  7. Micah Book One
  8. The War
  9. The Darling I Fear
  10. The Awakening
  11. The Last Song
  12. The Memorial Day Massacre
  13. The Lady From Abilene
  14. Come By Here


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