Alexi Murdoch

I segreti di un tempo immobile

L'esperienza intima rivelata attraverso la serenità del ricordo e il peso della nostalgia. Una chitarra acustica, una voce profonda e poco più che soffiata, un sorriso sulle labbra. Questo è Alexi Murdoch, songwriter adottato dall'America, dalla sua tradizione folk e dalla sua sperimentazione indie. Con l'ombra pesante di un'eredità: quella di Nick Drake

di Alessio Tommasoli

Alexi Murdoch nasce e cresce in Europa, a Londra da padre greco e madre franco-scozzese, ma musicalmente si crea totalmente negli Stati Uniti, dove si trasferisce per frequentare l'università di Los Angeles. La sua musica è infatti chiaramente figlia di una tradizione americana che va dai cantautori degli anni 70 fino all'ambiente contemporaneo dell'indie. I critici tendono a comparare la musica di Alexi Murdoch a quella di Nick Drake, e sicuramente la sua voce, sussurrata e sognante, non può fare a meno di ricordarlo. I suoi testi hanno spesso la forza emotiva del grande cantautore inglese, ma, sebbene anche la struttura musicale dei suoi brani sia perlopiù sostenuta solo da una chitarra acustica, le sue armonie riescono a raggiungere solo in parte l'intelligenza e la raffinatezza di un musicista che è riuscito a costruire capolavori emozionali attraverso il semplice uso di una chitarra e della sua voce, penetrando la mente dell'ascoltatore, senza scendere al compromesso di una struttura pop forzata sulla forma strofa-ritornello-strofa.

 

Già prima di pubblicare, su cdbaby.com (un celebre negozio di musica online specializzato in autori indipendenti) nel novembre 2002, il primo Ep della sua carriera, Alexi poteva vantare la programmazione di un suo brano nella playlist della celebre radio locale KCRW: proprio questo gli valse la vetta della classifica di disco più venduto di sempre sul sito. Il brano era "All My Days" e l'Ep portava il semplice titolo Four Songs: di quelle quattro canzoni, tre andranno a comporre la spina dorsale del suo primo album, ed è caratteristico che esse subiranno una trasformazione lievissima, quasi impercettibile, nel passaggio da un'opera all'altra.

Con un solo Ep, Alexi Murdoch riesce a far divenire celebri i propri brani attraverso il mezzo cinematografico, prestando alcune sue canzoni a film ed esibendosi live nel 2003 al South by Southwest Music Conference e al Sundance Film Festival, fino all'apparizione nel 2004 all'Hollywood Reporter/Bilboard Fil & TV Music Conference. Il legame tra la musica di Alexi Murdoch e il cinema sarà costante nella sua carriera e gli frutterà una fama a livello internazionale, particolarmente attraverso le serie televisive, che partendo dagli Usa compiono il giro del mondo: "Orange Sky", "All My Days", "Home", "Blue Mind" divengono celebri all'orecchio dell'attento ascoltatore grazie a serie come "Prison Break", "The O.C.", "Scrubs", "Dawson's Creek", "Ugly Betty". Una fama tuttavia sempre "di nicchia", in quanto relegata, come detto, all'ascoltatore dall'orecchio fine in grado di cogliere la forza che i suoi brani riescono ad imprimere alle immagini cinematografiche e neppure l'affidamento, nel 2009, della colonna sonora di un film del regista Sam Mendes riuscirà a far esplodere definitivamente la stella di Alexi Murdoch.

Nel giugno 2006 Alexi Murdoch pubblica il suo primo album, Time Without Consequence, per l'etichetta Razor And Tie, il quale ottiene un grande successo di vendite online (su ITunes e Amazon).

 

Time Without Consequence è l'opera in cui Alexi Murdoch sembra finalmente riuscire a riunire in una creazione ragionata tutti i brani composti dalla pubblicazione nel 2002 dell'EP Four Songs fino al 2006. Eppure, nell'ascoltare questo disco, si ha subito l'intuizione che non si tratti di una sorta di greatest hits, nel quale brani composti singolarmente e indipendentemente l'uno dall'altro vengono riuniti in un ordine più o meno ragionato. Potremmo addirittura trovarne la conferma andando a confrontare la scaletta di "Four Songs" con quella di questo album: un brano è stato scartato, "It's Only Fear", è stato abbandonato al passato, come se non fosse idoneo all'idea che ha mosso la creazione di Time Without Consequence. Ci si rende conto immediatamente di trovarsi di fronte a una composizione armoniosa di brani, uniti l'un l'altro da un tema, musicale e concettuale, ben definito: il tempo. La sensazione è quella che ogni singolo brano di questo album sia stato composto in relazione all'altro, nel tentativo di raccontare una storia, una condizione di vita. È così che ogni pezzo si trova in un posto preciso per una ragione: non come un puzzle, ma come un tutt'uno, come una sola moltitudine che cerca di portare all'ascoltatore un significato, tra momenti di disperazione, di speranza, di felicità e di redenzione, vissuti sotto il rumore incessante di un tempo che non smette di scorrere, nell'illusione che esso non rechi alcuna conseguenza.

Il disco si apre e subito quell'arpeggio pizzicato che accompagna la voce profonda e sussurrante trasporta in uno spazio intimo ma comune all'esperienza di ognuno: la ricerca costante di qualcuno che possa salvarci dalla solitudine cui sembriamo condannati, una ricerca infinita, compiuta giorno dopo giorno ("All My Days"). E non è un caso che l'ultima frase cantata nel primo brano si riallacci perfettamente a tutto il pezzo seguente: "even breathing feels all right" ripete Alexi in "All My Days" e "don't forget to breathe" implora a se stesso nella claustrofobica "Breathe", come se la speranza che prima gli disegnava un sorriso sulle labbra, ora si sciogliesse dentro una giornata in cui il sole è stato bandito, l'illusione si dissolve nella realtà e la tentazione di un gesto estremo s'insinua nella confusione, impedito solo da questo tenace istinto di sopravvivenza, appunto quello di respirare.

Il brano che segue, "Home", è il tentativo di redimersi da questa condizione disperata, cercando di riprendere il controllo di se stessi: solo poche frasi che si ripetono all'infinito, mascherandosi sotto il suono distorto di una chitarra elettrica che arriva ad oscurare quello incessante di quella acustica, mentre la musica si fa vicina a un delirio psichedelico e la voce arriva quasi a disperdersi in una cantilena, un lamento crescente che sembra non riuscire a trovare pace, fino a che la calma di una corrente favorevole viene finalmente raggiunta ("row, row, row your boat / gently down the stream").

 

Nell'ascoltare nuovamente la voce quieta, sussurrante di Alexi, sembra possibile, chiudendo gli occhi, riuscire a vedere il sorriso sulle labbra dalle quali essa esce: in "Song For You" Alexi parla a qualcuno nel tentativo di convincerlo che non deve sentirsi solo, che se a volte prova quel bisogno di volare lontano, non deve credere che non ci sia nessuno a poterlo comprendere. Così, ancora una volta, egli ricama lo strappo tra due brani, unendoli attraverso il più profondo sogno dell'uomo, quello di volare: in "Dream About Flying" rivela all'interlocutore di "Song For You" la condanna della propria vita, cantando tra accordi che cercano di dilatarsi senza riuscirvi, come a dare l'immagine sonora di quell'impotenza, di quel tentativo ossessivo di levarsi in volo, che fallisce costantemente e che rivela al contrario la pesantezza del proprio corpo ferito, la prigione di carne nella quale è costretto il sogno, lasciando solo lacrime al risveglio ("But every now and then when I'm sleeping / I still have a dream that I'm flying / And I wake up crying").

La solita chitarra ci accompagna direttamente dentro la stanza dove Alexi è in attesa di una risposta ("Wait"), e la sua voce ci porta fin dentro il suo cuore, nell'intimità più profonda, nel luogo dove quell'attesa trova tutta la forza della speranza: è il momento in cui la sua voce si leva vicina al grido, ma è ancora una preghiera, "Please wait for me", e si ripete ossessiva, come sapesse già la risposta che sembra arrivare nell'ultimo verso, pronunciato senza più alcuna interrogazione, una semplice certezza, "Won't you wait for me".

 

"Love You More" è una dichiarazione d'amore che si dipana su un tappeto di arpeggi sostenuti dal ritmo leggero della batteria, si disperdono in un fumo di archi che ne compone la coda e la connessione, senza soluzione di continuità, con il brano seguente, "Blue Mind": la mente triste è quella che lui rivela di avere da quando è cresciuto e non ha più avuto il tempo, il tempo di vivere, così che ora è condannato ad andare lentamente alla deriva ("slowly, slowly I am drifting"), incagliato tra i battiti dei secondi che sembrano essere scanditi dal tempo stesso della canzone.

"Shine" si apre con il suono di un disco rotto che gira sulla puntina fino a suonare una chitarra malinconica e ripetitiva sulla quale la voce è più cupa e intima che mai: è ancora il tempo al centro del lamento che sembra uscire dalla coscienza stessa di questa voce, dei suoni, come archi distorti, l'accompagnano, alterando la regolarità dell'arpeggio. Alexi canta di un amore che si sta sfaldando lentamente sotto il peso della lontananza, e quello che ne resta è minacciato dallo scandire pesante del tempo che i due amanti, insieme, cercano di combattere, uniti dall'odio per lo stesso nemico, ma consapevoli entrambi dell'impossibilità di sconfiggerlo e per questo prossimi alla separazione definitiva, in uno scacco insuperabile. Ma d'un tratto ogni suono si annichilisce e la voce prende un altro tono, si fa consapevole, coraggiosa, piena di sé, e cresce trascinando la chitarra, gli archi e il pianoforte che l'accompagnano fino alla fine, fino agli ultimi risoluti versi: "you don't need strength to be strong / time to believe in what you know / time to believe before you go".

"12" è un pezzo strumentale, dai forti accenti post-rock, costruito su un esemplare intreccio di tamburi, arpeggi ripetitivi e slide di chitarre elettriche: tra esplosioni e rilassamenti continui dettati dai colpi inferti a una chitarra acustica per estrarne accordi, una batteria aumenta il ritmo del pezzo e su di essa le chitarre elettriche si distorcono, trasformano le impennate sulle loro corde in fendenti, mentre la voce si arrampica attraverso le tonalità come un lamento, ripetendo incessante quella parola rimasta incastrata tra le labbra fin qui, dal brano precedente: "Shine!".

L'ultimo brano, "Orange Sky", sembra essere la riconciliazione con tutto ciò che circonda questa voce: con il mondo, con la natura composta da questo cielo al tramonto, con se stessa, con una sorella, un fratello, forse lontani, forse perduti, e anche con il tempo, probabilmente. Una semplice chitarra dà il ritmo perfetto a questa redenzione, la voce si soffia tra gli accordi e, mentre il cielo non smette il suo colore meraviglioso, come in un sogno, tutto ciò che è stato si rimpicciolisce, perde il suo peso e si può finalmente superare, portandolo con sé come una ricchezza, come l'esperienza di un tempo trascorso, forse, senza alcuna conseguenza.

Pochi giorni dopo la pubblicazione di Time Without Consequence, ha inizio il suo primo tour di 34 date con la Coalition of Independent Music Stores. Ma soltanto tre anni dopo, nel 2009, raggiunta finalmente negli Stati Uniti la fama che glielo possa permettere, inizia il suo primo tour solista, durante il quale vende l'edizione limitata di un long Ep, ancora inedito, dal titolo Towards The Sun.

Si tratta di un'opera molto intima, familiare, composta da brani semplici costruiti su una base essenziale di chitarra acustica, su pochi accordi, su arpeggi trascinanti e ripetitivi, al di sotto dei quali si dilata il suono di qualche arco per distendere il tappeto sonoro su cui la voce di Alexi, quieta e calda più che mai, scivola sussurrata tra humming e cori.

Nella title track c'è tutta la fragilità del ricordo che la mente non vuole lasciarsi sfuggire e che viene rivelata con la forte dolcezza della voce, sempre sussurrata, quasi sognante: essa si spinge fino al limite del ricordo stesso, fino alla sua immagine, non più reale ormai, e si lascia trasportare definitivamente nel sogno, lasciando che le parole si abbandonino a un lieve lamento. "At Your Door" si apre con un giro di accordi strappato alla chitarra di Nick Drake, che s'intreccia con l'arpeggio armonico di un'altra chitarra acustica: intrappolata nella rete di questa costruzione sonora, la voce di Alexi cerca di sfuggire ancora una volta a un presente su cui incombe il peso della solitudine ("I will never let you down"). In "Someday Soon" il ritmo della chitarra conferisce al brano la direzione di una ballata country, il tempo calpestato con il piede sul pavimento e ancora il gioco doloroso della memoria ("And you know that, mother, I'd be lying / If I didn't tell you I'm afraid of dying"), la sofferenza di un padre lontano e la voglia di partire con la speranza di ritrovarlo, come se in questa ricerca fosse nascosta tutta la voglia di continuare a vivere.

"Slow Revolution" è il brano in cui, forse più che in qualsiasi altro, Alexi Murdoch dimostra la sua vena di cantautore, arrivando a ricordare quel Bob Dylan ribelle che gridava le sue accuse e le sue illusioni: si racconta la violenza, la morte e quella lenta inutile rivoluzione che impercettibilmente cresce, grazie alla forza dell'umanità, fino a riuscire a cambiare le cose: "It's a slow revolution that quietly turns / As the true word burns / And all of the people marching dancing out cross the floor / And all of this matter soon won't matter much anymore".

 

La voce si dilata dando una forza eterea alle cinque semplici note di chitarra su cui è costruita la base di "Through The Dark", ha una profondità paragonabile solo a quella di alcuni brani di Time Without Consequence e rivela tutto il proprio amore in un tono inedito, mai tanto vicino al pianto come in questo caso in cui si ha quasi l'impressione di riuscirlo a percepire nell'humming finale. In "Her Hands Were Leaves" si è certi che quel pianto è arrivato, alla fine, anche se non sullo stesso volto dal quale escono le parole: le lacrime rigano la pelle della madre, mentre la voce si distende su un arpeggio di poche note e canta l'illusione di una libertà nella quale anche la pesantezza del corpo si fa luce riuscendo a volare ("Now my momma she is crying on the stair / Her hands are leaves, the light is in her hair / As she prays she thinks that no one heard / Mother you are a bird / And all around the light").

Il suono pizzicato di un banjo accompagna ancora la voce attraverso il ricordo, ma stavolta il trascorrere del tempo è affrontato con il tono innocente della felicità, in una rassegnazione calma alla condanna della propria solitudine ("the night is close and you must leave me / and empty all the places where we used to go"), nella quale anche le note sembrano scivolare come una pioggia attraverso i raggi del sole, come lacrime attraverso un sorriso: "Crinan Wood" sembra trasportare l'ascoltatore fino a quel bosco di Honk Kong dove il protagonista di "In The Mood For Love" nasconde la voce del suo amore segreto nel buco di un albero e nel porgere il nostro orecchio al foro della corteccia, ci sembra di sentire questa canzone.

Rispetto all'album Time Without Consequence, in questo Ep è evidente la mancanza di un forte filo conduttore che riesca a legare i brani l'uno all'altro. Questo è forse il fattore più evidente che ci porta a distinguere le due opere di Alexi Murdoch, dando l'idea di trovarci, con Towards The Sun, di fronte a un lavoro preparatorio per qualcosa di più complesso, elaborato e ricco, qualcosa come un secondo album.

Tuttavia, ascoltando con attenzione questo Ep, ci si accorge come, anche in questo caso, traspaia particolarmente dai testi un tema ricorrente, ripetuto dall'artista come un topos ossessivo, quello della memoria. Non è necessario evidenziare il fatto di trovarsi di fronte a brani poco elaborati, propri di una produzione povera come può esserlo quella di un Ep, per essere certi che questo tema abbia un valore del tutto spontaneo. Il passato, la nostalgia e soprattutto il tempo, sono in questo lavoro la vera scintilla che muove l'espressione artistica di Alexi Murdoch, poiché è qui, molto più che in Time Without Consequence, che il tempo si rende protagonista, facendo breccia nella mente dell'artista per evocare in lui la memoria, far muovere le sue labbra e dar suono alla sua voce che accompagna il gesto della mano sulla chitarra e sembra riuscire a trovare l'espressione della nostalgia negli humming cui spesso Alexi Murdoch si abbandona. Se in Time Without Consequence il tempo passato era una presenza che non arrivava ad avere conseguenze sul presente e si poneva soltanto come la base per un futuro da costruire, in Towards The Sun il tempo passato è immobile e si spande sopra ogni emozione, invade lo spazio stesso, si fa presente e futuro come se aprisse una ferita che ha ancora tanto sangue da versare. E questo sangue non bagna i brani di Towards The Sun, ma li crea, in un modo che, forse, quando Murdoch ne rielaborerà alcuni per inserirli in un futuro album, sarà impossibile riuscire a sentirne il sapore acre che sono riusciti a trasmettere in questa veste scarna, essenziale, intima, di chitarra, voce e poco altro.

 

A questo punto il passo successivo nella carriera di Alexi Murdoch, e forse definitivo per la sua fama, sembra essere rappresentato dall'opportunità che il regista Sam Mendes gli offre: usare suoi brani, e sceglierne di altri autori, per comporre la colonna sonora del suo film "Away We Go". Si tratta di un road movie attraverso gli Stati Uniti, che racconta la difficile scelta di una coppia riguardo il luogo in cui crescere il proprio futuro figlio. La maggior parte della colonna sonora è composta da brani tratti dall'album Time Without Consequence, che nel frattempo viene ristampato per poter raggiungere una più vasta diffusione: "All My Days", "Blue Mind", "Song For You"; "Breathe", "Wait" e "Orange Sky". Sono due i brani che Alexi Murdoch sceglie del suo ultimo Ep: "Towards The Sun" e "Crinan Wood". Murdoch inserisce anche un proprio brano inedito dal titolo "The Ragged Sea", inedito anche per lo stile: la voce di Murdoch sembra affannata, non è l'abituale quieto sussurro, ma rincorre le note in un tono elevato e rapido, quasi a evocare nella forma stessa le onde di quel mare frastagliato di cui canta. La scelta degli altri brani, composti e interpretati da autori differenti tra loro e rispetto a Murdoch, lascia trasparire, in modi mai totalmente certi, il bagaglio musicale di questo artista: è evidente il debito che Murdoch possiede nei confronti di un autore come Bob Dylan, proposto in questa colonna sonora però con un brano particolare, "Meet Me In The Morning" (dall'album del 1975 "Blood On The Tracks"), un blues lontano dal folk cui apparentemente Murdoch sembra ispirarsi; importante è anche la scelta di un brano di George Harrison, "What Is Life" (1970 "All Things Must Pass"), che nella sua avventura solista ha sicuramente arricchito l'esperienza musicale di Murdoch; il particolarissimo brano "Golden Brown", degli storici Stranglers, sembra avere per Murdoch il valore di un legame con una produzione ante litteram di indie; infine "Oh! Sweet Nuthin'", brano tratto dall'ultimo album, prima dell'abbandono di Lou Reed, dei Velvet Underground, "Loaded", di chiara matrice commerciale, ma in grado di rivelare tutta la vena cantautorale che Reed dimostrerà nella sua carriera solista.

 

Tuttavia il film non riscuote un grande successo, in Europa non trova alcuna casa produttrice che riesca a inserirlo nel circuito cinematografico, uscendo soltanto in versione Dvd. Ancora una volta sembra che la musica di Alexi Murdoch sia condannata a restare proprietà privata dell'attento ascoltatore, dell'accanito ricercatore di nuovi artisti, di un pubblico, a livello internazionale, "di nicchia", così che le sue sporadiche apparizioni in Europa (l'ultimo concerto nel marzo 2010 a Berlino) siano degli incontri di pochi appassionati riuniti in locali specializzati nell'indie. Il carattere intimo di questi concerti rispecchia quello della sua musica: tutto questo sembra preservarla da una possibile infezione commerciale, rimanendo pura, indipendente, appunto, dal calderone consumistico delle major, in modo che Alexi Murdoch non subisca alcuna pressione dal punto di vista della produzione (soltanto due Ep e un album in sette anni di carriera) e abbia la possibilità di esercitare tutto il tempo di cui ha bisogno per elaborarla nel modo migliore possibile. 

Comparando il primo Ep, Four Songs, e l'album Time Without Consequence, ci si accorge che i brani riportati dal primo, seppure formando l'ossatura basilare del secondo, sono quelli che più si affidano alla struttura pop, e che vengono esaltati dagli altri brani, più sperimentali tra dilatazioni post-rock e psichedeliche, che Murdoch vi costruisce intorno. È grazie a tale comparazione che la qualità artistica di questo musicista si riesce a toccare con mano e si coglie, oltre l'apparenza, la distinzione tra la sua musica e quella di Nick Drake: mentre quest'ultimo sembra fondare la sua produzione sull'intimità, esaltando la sua musica in una catartica rivelazione confidenziale, Alexi Murdoch parte dal tentativo di un'analoga rivelazione per sperimentare, cercando di muoversi attraverso un ambito esteso, che può essere quello del folk, del post-rock, della psichedelia, e più genericamente quello dell'indie. È allora più leggero il fardello che questo giovane cantautore deve portarsi sulle spalle, se più che al nome di un grandissimo come Nick Drake, viene associato a quello di artisti a lui più vicini, per età e per produzione, come Eliott Smith, Badly Drawn Boy, Kings Of Convenience, Sophia, Mojave 3, artisti che riprendono, chi più chi meno, il discorso di un genere cantautorale acustico, come quello di Nick Drake, per svilupparlo in una direzione nuova e sperimentale.


 

  

 


 

Alexi Murdoch

Discografia

Four Songs Ep (2002)
Time Without Consequence(Zero Summer, 2006)

7,5

Towards The Sun Ep(2009)

6

Away We Go(soundtrack, 2009)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Alexi Murdoch su OndaRock

Alexi Murdoch sul web

Sito ufficiale
Myspace