Sparklehorse

Sparklehorse

I tumulti del solitario mr. Linkous

Mark Linkous, insieme ai suoi Sparklehorse, è riuscito a combinare la profondità dei più grandi songwriter alla dinamicità di una rock band. Il risultato è un country-folk teso, raffinato e intimista

di Antonio Ciarletta

Se è vero che gli anni 90 sono stati terreno fertile per la nascita di cantautori di valore, Mark Linkous rappresenta uno dei virgulti più aggraziati di quel periodo. Mr Sparklehorse è riuscito a combinare la profondità, il piglio intellettuale, l'attitudine intimista dei più grandi songwriter della storia (da Neil Young a Will Oldham), alla dinamicità di una rock band (un po' come hanno fatto Elliot Smith, Jeff Buckley e Jeremy Egnik); è come se Neil Young fosse a capo dei Replacements.

Il progetto Sparklehorse nasce a Richmond in Virginia intorno alla metà degli anni 90, e il talento cristallino di Linkous è subito manifestato da uno dei primi singoli, "Hammering the cramps" (parente stretta di "Wished I was a giant" dei Guided by voices), una superba melodia completamente immersa in un tripudio di chitarre distorte, con la voce di Linkous, filtrata, ma deliziosamente armoniosa.

Vivadixiesubmarinetransmissionplot è una delle opere più interessanti di una seconda metà degli anni 90 completamente abbacinata dall'elettronica e dal britpop. Una dietro l'altra si susseguono una serie di gemme melodiche, stilisticamente differenti, ma che hanno come comune denominatore la malinconia. Non siamo al cospetto della disperazione dei primi Radiohead o dell'epica rassegnazione dei Red House Painters, ma di un'emozione meno esplicita; una sofferenza esibita con discrezione, ma incredibilmente intensa. I testi sono spesso stravaganti, altrettanto spesso procedono per metafore, ma rivelano un dolore che Linkous cerca di esorcizzare armonizzando lo stesso al flusso degli eventi quotidiani.
"Homecoming Queen" è un pezzo sofferto, cantato con un filo di voce, che fa immediatamente intendere quale sarà il mood del disco. "Weird sisters" è una ballata funerea, che si riallaccia al Neil Young di "Tonight's the night", mentre la malinconica "Cow" sembra uscita da "Harvest". La psichedelica "Heart of darkness" inizia come una canzone d'amore ("she laid her head on my chest/ as the sun burned on the west"), ma termina come un incubo ("then she woke up into the fire/ and the flames kept dancing higher/satan would laugh at her screams/then she woke up from her dreams"); nel sentimentalismo di Linkous si innestano strutture narrative proprie del gotico sudista. "Saturday" e "Spirit ditch" sono ancora ballate, ma ballate emozionanti, cantate con il cuore in mano. Il disco si compone anche di ottime power pop song, come dimostra "Rainmaker". "Tears on fresh fruit" non avrebbe sfigurato su "Warehouse: songs and other stories" degli Husker Du, così come "Someday I will treat you good". Linkous pesca a piene mani dai propri modelli, ma non sbaglia una canzone; un lavoro ineccepibile.

Nel 1996, in seguito a un concerto tenuto a Londra, Linkous rischia la morte dopo aver ingerito un cocktail di farmaci. Per qualche mese sarà costretto su una sedia a rotelle.
Good Morning Spider non può non risentire di quell'esperienza. Le canzoni sono sempre tristi, ma allo stesso tempo ancora più pop. "Sick of goodbyes" (scritta a quattro mani con David Lowery e presente anche su "Kerosene hat" dei Cracker) e "Maria's little elbows" potrebbero appartenere al repertorio dei Beatles. Sembra che Linkous voglia rendere partecipe il pubblico dell'esperienza vissuta e quindi infarcisce le canzoni di melodie, per consentire una più semplice metabolizzazione delle stesse. La novità più saliente del disco è, però, l'uso e spesso l'abuso dell'elettronica. Molte canzoni sono trasfigurate da suoni sintetici e ciò nuoce alla profondità del messaggio che Linkous vorrebbe comunicare; emblematica in questo senso è "Ghost of his smile".
Anche in questo disco non mancano comunque pezzi energici, come le trascinanti "Pig" e "Chaos Of Galaxy/ Happy Man", dove, finalmente, la chitarra elettrica riacquista la sua centralità. Le buone canzoni non mancano l'ispirazione anche, ma è la forma non il contenuto a penalizzare il valore complessivo del disco.

E' del 2000 l'Ep Distorted Ghost con b-side e versioni live di pezzi degli album precedenti.

Con It's A Wonderful Life Sparklehorse ritorna alla forma migliore, aiutato nell'occasione da un cast d'eccezione. Al capezzale di Linkous accorrono tra gli altri Nina Persson (Cardigans), PJ Harvey e nientemeno sua maestà Tom Waits; alcune canzoni sono, inoltre, il frutto di co-produzioni Linkous-Parish Linkous-Fridmann. L'album sembra trovare, finalmente, il perfetto equilibrio tra rock ed elettronica (non invadente come nel disco precedente).
Ancora una volta le fonti di ispirazione di Linkous sono molteplici, come molteplici sono gli stili in cui vengono impacchettate le canzoni. Il disco si apre con "It's a wonderful life", una nenia sussurrata nello stile di "Homecoming Queen", mentre "Gold days" sembra fuoruscita dal drammatico "Electroshock Blues" degli Eels. Prendete una canzone di Neil Young e velocizzatela, quello che ne risulterà sarà qualcosa di simile ai Dinosaur jr; "King of nails" e "Piano fire" (qui il contributo di P.J Harvey al canto è da brividi) rispettano appieno l'assioma. Il capolavoro dell'album è forse "Apple bed", una superba ballata alla Arab Strap, dove chitarra drum machine e violino si integrano alla perfezione. Linkous lascia il timone del canto a Tom Waits in "Dog door", un pezzo sulla falsariga della "Big in Japan" di Mule variations (uno dei capolavori di Waits).
Dopo la concitata esibizione del maestro di Pomona, la calma ritorna con "More Yellow Birds", una malinconica ballata nobilitata da una magnifica melodia di violino, stile Lisa Germano. Il disco è una miniera di tesori, come la conclusiva "Babies on the sun", e Linkous si conferma come uno dei songwriter più creativi dei nostri anni, infinitamente più sincero di taluni (pseudo)cantautori post-moderni, che occupano le copertine di riviste specializzate e non.

A Camp è una trascurabile collaborazione tra Linkous e Nina Persson dei Cardigans.

Con il successivo album, Dreamt For Light Years In The Belly Of A Mountain, Mark Linkous non sposta di una virgola i tumulti della sua solitudine, solo che li umanizza, li placa e li condivide, ancor più che in passato. Asseconda tutte le parti meravigliose della vita del 2001 e, fin dal titolo, imprime il marchio delle notti oniriche e sensazionali, quelle trascorse con un occhio chiuso a fantasticare e l’altro a guardarsi attorno. Si è lontani sì dalle carambole noise del primo lavoro, ma il nuovo mondo non dimentica, a maggior ragione, l’uso infantile della voce sempre più “Harvest oriented” e lo scheletro musicale senza costole. Cambia il modo, più rilassato, di godersi l’evento mai parco di bellezze, come quelle di “Shade And Honey”, momento riboccante di attimi double face, tra finti grigiori e classiche aperture che usano come chiave l’accordo di chitarra in entrata. Non cambia l’aria, simile a ciò che si respira dai giocattolai a Natale, come ricordano le effusioni di “Getting It Wrong”, altro fazzoletto di stati febbrili e favolistici.
Sparklehorse è la denominazione che segna il passo sicuro delle marce, come esplicitano certi ritmi spesso uguali a se stessi. Un solo tempo di batteria entro cui sentirsi a proprio agio, a patto di adeguarsi alle accelerazioni. E su queste finte metamorfosi rimbalzano le molteplici melodie, dolci anche nell’aggressività, come “Ghost In The Sky”: la strimpellata è rumorosa ma non troppo e il fastidio praticamente non compare, neanche quando la fine snoda in sottofondo una “campana” industriale. Più avanti, con “It’s Not So Hard”, si ripete il fragore con addirittura maggiori frequenze disturbate. I brani diventano adorabili allorché si ricompongono sulle pennate elettriche di “Knives Of Summertime”, su quelle di “See The Light”, sebbene in forma meno a cascata, o su quelle acustiche di “Return To Me”.
Discorso a parte merita la conclusiva title track, anomala digressione ambient che pare rivolgersi ai fan di “Another Green World” (Brian Eno) e “Bad Timing” (Jim O’ Rourke), tracciando un solco seminale nella storia breve di Mark Linkous.

Nel 2009, intanto, Linkous partecipa al bizzarro progetto di Danger Mouse Dark Night Of The Soul.

La vicenda degli Sparklehorse si conclude tragicamente il 6 marzo 2010, gettando nello sconforto amici e fan. Mark Linkous, per anni in lotta con la depressione, si uccide, sparandosi un colpo al cuore davanti alla casa di un amico, a Knoxville, nel Tennessee. La famiglia lo ricorderà con un toccante epitaffio: "E' con grande tristezza che condividiamo la notizia che il nostro caro amico e congiunto si è tolto la vita. Gli siamo grati per il tempo che ha speso con noi e lo terremo sempre nei nostri cuori. Che il suo viaggio possa essere pacifico, felice e libero. C'è un paradiso e c'è una stella per te".

Quando ciò accade c’è in lavorazione un nuovo disco, titolo e scaletta già decisi e gran parte del materiale a buon punto. Ovviamente tutto si interrompe e rimane in sospeso, almeno fino all’otto settembre di quest’anno, esattamente ad un giorno da quello che sarebbe stato il suo sessantunesimo compleanno.
Dopo tredici anni Bird Machine (2023) è pronto per essere dato alle stampe, per far rivivere un’ultima volta l’incanto in chiaroscuro profuso dal musicista americano. Sono sufficienti pochi secondi dell’iniziale “It Will Never Stop” per ritrovarlo, per tornare all’elettricità distorta di “Pig” e al power pop di “Rainmaker”, per affondare nuovamente in un universo sonoro fatto di melodie trascinanti, attitudine lo-fi costruita con maniacale precisione e parole di sofferenza e nostalgia offerte con sincerità disarmante. Proseguendo l’ascolto a tratti è sconcertante quanto il lavoro di rifinitura curato dal fratello Matt insieme alla moglie Melissa - con la collaborazione di Alan Weatherhead, Joel Hamilton e Greg Calbi – sia riuscito a produrre un album privo di sbavature stilistiche, perfettamente coerente con quel processo creativo che dalla ruvidezza impareggiabile di Vivadixiesubmarine transmissionplot aveva portato all’orientamento pop di Dreamt For Light Years In The Belly Of A Mountain.
Quello che ci ritroviamo ad ascoltare è a tutti gli effetti un disco concluso e attentamente rifinito, distante da produzioni simili impostate diversamente, basti pensare - a proposito di dischi postumi e cantautori ad alto tasso emozionale – ai bozzetti scarni di “Eight Gates” di Jason Molina.
Non potremo mai sapere se nelle mani di Linkous sarebbe stata questa la sua forma definitiva, ma “Evening Star Supercharger” e “Everybody’s Gone To Sleep” hanno la cifra e lo spessore delle migliori ballate targate Sparklehorse, così come l’elegia trasognata di “Falling Down”, di “The Skull Of Lucia” sa spaccare il cuore quanto una nuova “Saturday”. Ogni ragionevole dubbio che accompagna una simile operazione viene comunque spazzato via dalla gioia incontenibile per un regalo bello quanto inatteso, ennesimo scrigno di canzoni preziose concepite – e su questo non ci piove - da un autore incapace di compromessi (“Well I coulda been a rock and roll star/ But I fucked it up real good”, canta in “I Fucked It Up”) che ci lascia in balia di un barlume di speranza che non è servito a salvarlo.

Contributi di Angelo Franzese ("Dreamt For Light Years In The Belly Of A Mountain") e Peppe Trotta ("Bird Machine")

Sparklehorse

Discografia

Vivadixiesubmarine-
transmissionplot
(Capitol, 1995)

8

Good Morning Spider (Capitol, 1998)

6.5

Distorted Ghost EP (Odeon, 2000)

7

It's A Wonderful Life (Emi, 2001)

7

A Camp Ep (Umvd Import, 2001)

5

Dreamt For Light Years In The Belly Of A Mountain (Astralwerks, 2006)

7

Danger Mouse & Sparklehorse - Dark Night Of The Soul (Self-released, 2009)6.5
Bird Machine(Anti, 2023)7,5
Pietra miliare
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