Daniela Pes - Il suono delle parole

intervista di Cristiano Orlando

Buongiorno Daniela, anzitutto complimenti da parte della redazione di OndaRock: tenevamo molto a scambiare qualche parola con te, in seguito al tuo eccellente esordio discografico “Spira” (Tanca Records, 2023), che ha suscitato tanti consensi entusiastici nel nostro gruppo.
Vi ringrazio tanto. Mi fa molto piacere. Il vostro giudizio mi ha davvero impressionata, anche perché, ho notato, non siete soliti elargire lodi sperticate con facilità.

 

Sei sorpresa del grande riscontro che ha ottenuto, da subito, il tuo lavoro? Durante la costruzione dell’album hai iniziato a presagire che stavi creando un prodotto artistico nettamente superiore alla media?
Sono molto sorpresa del riscontro. Non mi aspettavo fosse un disco così accessibile da essere ben assimilato da appassionati di varie fasce d’età, provenienti da culture musicali diverse e da linguaggi differenti. Quello che sto percependo è che il disco è apprezzato non solo da cultori raffinati di musica, con un certo tipo di background, ma anche da chi è solitamente indirizzato verso altri generi, distanti da quello che potevo immaginare come mio target iniziale. Mi sorprende constatare anche l’alto numero di persone che mi seguono. Fare 200.000 ascolti Spotify in un mese, fare le prime date sold-out, sinceramente non me l’aspettavo, soprattutto per un disco di questo tipo.
Durante la stesura del lavoro, avevo la sensazione, senza dubbio, di essere protagonista di qualcosa di prezioso, a prescindere dal risultato, soprattutto per me. Sapevo di avere in mano qualcosa d’importante per il mio percorso. Chiaramente, in questi tre lunghi anni di gestazione, varie volte mi sono chiesta: “Come andrà? Non lo so!”. Il fatto di aver compiuto un lavoro così destrutturato sulla lingua, più che quello approntato sulla sperimentazione musicale, mi ha posto molti interrogativi sul gradimento che ne sarebbe scaturito.

 

Quindi il fatto di utilizzare una lingua immaginaria per i tuoi testi, da te inventata fondendo termini del dialetto gallurese con altri di lingua italiana e latina, è stato un punto fermo del progetto, una tua intenzione preventiva e programmata?
Sì, però questa cosa non è stata decisa a tavolino. Provenivo da un lungo periodo dove avevo musicato delle poesie. Musicare delle poesie significa scrivere e adattare i tuoi pensieri musicali, come le linee melodiche, per esempio, e assestarli in una metrica testuale prestabilita, obbligata. Questa situazione, a un certo punto del percorso, si è rivelata un ostacolo, un limite, sia per i miei pensieri musicali, sia per le melodie che avevo in testa e quindi ho deciso di abbandonare lo schema imposto dal dover per forza incastrare un testo prefissato e aver obbligatoriamente un concetto da esporre. Mi sono, quindi, dedicata completamente alla ricerca dell’armonia sonora, alla creazione di fonemi, di parole, di radici, che mi consentissero di avere la massima libertà nella stesura della parte musicale. Quando ho capito come aggirare questa barriera strutturale, che rilevavo troppo coercitiva per ciò che avevo in mente, ho iniziato il lavoro su “Spira”, in modo molto istintivo, seguendo un grande flusso creativo, di gusto. Non mi sono mai posta quesiti se questa strategia fosse giusta o sbagliata, non mi sono mai chiesta niente. Mi sono servita di parole idonee a congiungere musica e testo, secondo una mia personalissima logica.

 

In pratica, mi stai confermando che i testi sono privi di un significato visibile; era un dubbio che ho avuto, fin dal principio, ascoltando i brani di “Spira”.
L’attività che ho svolto per la scrittura dei testi è stata, sempre è solo, rivolta alla ricerca di parole che avessero il suono più adatto, senza alcuna ricerca di significato. Poi, qua e là, ho trovato che il suono di alcune parole di senso compiuto fossero perfette, sempre partendo dal concetto di assonanza, di forma sonora, e quindi le ho incastrate alle altre. E’ ovvio che la presenza di termini di lingua italiana inviti alla localizzazione di precisi pensieri, come, ad esempio, può essere accaduto in “Carme”, nel passaggio “…figura colma sia…”, esistono, è vero, ma sono frasi frastagliate, incastonate in mezzo ad altro che non significa nulla. In nessun brano, come nel disco, c’è un concetto specifico, un significato. Ogni traccia significa per me la stessa e identica cosa.

Daniela PesVogliamo conoscere meglio Daniela Pes. E’ sempre una domanda difficile, a volte persino banale, ma, in molti casi, chiedendo all’artista di raccontarsi emergono sfaccettature inedite, sorprendenti...
Se ti dovessi rispondere di getto, ti direi che non so chi è Daniela Pes (sorride), o meglio, non mi piace autodefinirmi. Preferisco che siano gli altri a fornirmi un feedback, a cercare nella mia proposta qualcosa che li ha colpiti, che possa contraddistinguermi. Capisco però che l’intendimento della tua domanda fosse più rivolto verso una direzione autobiografica, alla quale ti risponderei, vediamo un po', che sono una compositrice, musicista, cantante, anche se non amo particolarmente quest’ultima definizione.
Ho alcune registrazioni che risalgono a quando avevo quattro anni. Il mio primo brano registrato fu “Se ti tagliassero a pezzetti” di Fabrizio De André e poi ricordo di aver registrato uno o due anni dopo, non ricordo bene, “Giudizi universali” di Samuele Bersani. L’essere nata in una famiglia di musicisti - mio padre è un musicista, mia mamma è una grande ascoltatrice di musica, i miei fratelli sono tutti musicisti – ha aiutato molto il mio ingresso in questo mondo. La musica nella nostra famiglia è sempre stata una costante. Mio padre, quando mi sedevo al pianoforte, ha registrato sempre tutto. Ho tantissimo materiale che mi capita di riascoltare, grazie al quale ripercorro bellissimi ricordi e momenti molto intensi.
Per quanto riguarda il mio percorso storico di ascolti, utili alla mia crescita artistica, direi che può definirsi di tipo principalmente cantautorale: De André, Bersani, come detto, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Ivan Graziani, Lucio Dalla, Lucio Battisti, tutta la scuola d’élite, quella eterna, che ha scritto pagine indelebili della musica italiana. Ho maturato una lunga esperienza all’interno della musica jazz. Ascolto molta musica strumentale. Amo particolarmente la musica israeliana, armena, in generale quella proveniente da quella zona geografica, che mi ha aiutato, come detto insieme al jazz, nell’approccio alla scrittura musicale e anche nella ricerca della consona destinazione del suono della voce.

 

In pratica, proprio l’aver assimilato alla perfezione gli schemi provenienti dal cantautorato italiano può essere la vera chiave che spiega perché il tuo disco, pur caratterizzato da complesse sperimentazioni elettroniche, strumentali in genere e, ancor di più, testuali, sia subito entrato nelle corde di moltissimi appassionati:
Perché no. Può essere che questo mio excursus sia stato indirettamente un qualcosa che, essendo profondamente mio, sia fuoriuscito in questo modo e con queste caratteristiche. In effetti, ho avuto maniera di constatare che anche persone e artisti che lavorano nel pop mainstream ad alto livello hanno captato le giuste vibrazioni emanate dal mio disco, lo ascoltano. Sono assolutamente consapevole che “Spira” sia un disco decisamente complesso. Dietro c’è un grande lavoro di scrittura, di produzione, di arrangiamento, proprio per questo resto sempre particolarmente stupita da questo immediato riscontro ottenuto.

 

Hai detto che “Spira” è stato da te registrato in tre anni. Tra le figure che hanno contribuito alla stesura dell’album si annovera Iosonouncane. Com’è nata la collaborazione con Jacopo e con la sua Tanca Records?
Prima di accingermi a scrivere il nuovo materiale, mi sono fermata un attimo, perché non stavo capendo che cosa bloccasse l’espressione delle mie vere intenzioni. Sentivo la presenza di un qualcosa, che ovviamente non captavo in modo definito, che stava minando il mio processo artistico nella stesura dei brani. Grazie a un amico comune, ho chiesto un contatto con Jacopo, che non avevo mai conosciuto e con il quale non avevo mai avuto contatti precedenti. Ho pensato a lui perché è in assoluto il mio artista contemporaneo prediletto e pensavo che solo una persona come lui, del suo livello, potesse sbloccare il mio impasse creativo. Gli ho scritto una mail, dove descrivevo tutto il mio disagio, ciò che stavo provando e ne ho approfittato per inviargli alcuni brani. La risposta di Jacopo è stata così dettagliata da farmi capire di essere stata completamente compresa, soprattutto perché confermava tutte le mie perplessità, inquadrando perfettamente la situazione.
A quel punto, senza replicare alla sua mail di risposta, ho atteso due settimane e ho deciso di scrivere un nuovo brano, da zero. Ho ritenuto riduttivo fornire una semplice risposta, proprio a chi aveva compreso così profondamente la mia situazione, esortandomi a continuare, ma indicandomi alcune situazioni che anche a lui non convincevano. I brani inviati inizialmente a Jacopo sono stati archiviati completamente e il mio lavoro è quindi ripartito interamente dall’inizio.
Il nuovo pezzo inviato a Jacopo è stato “A te sola”, questo sì, poi conservato e inserito nel disco. Jacopo, dopo aver ascoltato il brano, mi confermò che questa era la strada giusta da seguire, che rispetto a tutto il materiale inviatogli in precedenza e tutto ciò che, di mio, aveva avuto modo di ascoltare, rispecchiava finalmente un qualcosa d’importante, che dovevo assolutamente approfondire. E' stato proprio lui, a quel punto, a darmi libero accesso nel proporgli qualsiasi altro mio componimento. Così ho fatto, per tre anni, al termine dei quali abbiamo iniziato a parlare di disco, ma prima io ho passato tutto il tempo a scrivere incessantemente, condividendo tutte le mie produzioni: grande dialogo, grande confronto, su tutto, sempre via mail.
Dopo un anno di rapporto, per così dire epistolare, ci siamo conosciuti a Bologna per iniziare a progettare compiutamente la realizzazione dell’album. Ogni brano da me creato è stato ripassato attraverso il meraviglioso parco suoni di Jacopo. Tutti i sintetizzatori che caratterizzano il suo sound sono evidentemente riconoscibili nei sette brani di “Spira”.

 

Se dovessimo localizzare cronologicamente questo processo creativo, il vostro rapporto di collaborazione artistica è nato, quindi, durante la stesura di “Ira”?
Esatto. Lui stava scrivendo “Ira”, materiale, tra l’altro, che non ho mai avuto modo di ascoltare in anteprima. Jacopo non ha mai fatto trapelare nulla di quel disco, che sapevo stesse scrivendo, proprio perché non voleva influenzare in alcun modo il mio personale sviluppo artistico.

 

Il primo brano che hai distribuito, tra quelli poi inseriti in “Spira”, è stato “Carme”, accompagnato da un videoclip decisamente evocativo.
Sì, le riprese del video, del mio volto, sono state effettuate da Piera Masala, una fotografa anch’ella sarda, che ha anche scattato tutte le foto legate al progetto “Spira”. Con Piera abbiamo effettuato anche tanti girati, compiuti in una cava situata nel Comune di Monteleone Rocca Doria (il secondo Comune più piccolo della Sardegna) che abbiamo poi inviato ad Alessandro Gagliardo, il regista del video, che insieme a Olimpia Pierucci ha poi montato con loro immagini e filmati d’archivio, particolarmente adatti al contesto.

 

Daniela, abbiamo ribadito più volte nel corso di quest’intervista, l’oggettiva bellezza e la raffinata particolarità sprigionata da “Spira”. Tu, che ne sei la creatrice, ci trovi qualcosa che oggi modificheresti, ad esempio brani che avresti aggiunto, che sono rimasti nel cassetto o che riproporresti con qualche variazione?
Lungi da me nel definire “Spira” un disco perfetto, anche perché secondo me il disco perfetto non esiste. Devo ammettere di ritenermi decisamente soddisfatta del risultato ottenuto. Il lavoro minuzioso effettuato con Jacopo, durato tre anni intensissimi, pieni di riunioni tecniche, la meticolosità che è una mia prerogativa assoluta e anche in questo ci siamo ritrovati perfettamente, ha portato a definire l’album così com’è, un lavoro estremamente curato, senza imporci scadenze e prendendoci tutto il tempo necessario perché ogni particolare potesse definirsi nel miglior modo. Direi che a oggi non modificherei nulla sul lavoro portato a termine. Pensa che solo di “A te sola” avrò circa una trentina di versioni diverse, a dimostrazione del grande sforzo di perfezionamento effettuato.
Per quanto riguarda eventuali brani in più, no, direi di no. Ritengo che la tracklist corretta sia questa. Non trovo che eventuali aggiunte di altri brani, sezioni, transizioni, tutte rimaste inedite, possano valorizzare maggiormente il prodotto, nel suo insieme, pur ammettendo di aver in mano tantissimo materiale rimasto non pubblicato.

Daniela PesPur trattandosi di un disco da gustare necessariamente per intero, dall’inizio alla fine, facciamo insieme un gioco. Tra i setti brani in scaletta, ne ho personalmente selezionati quattro. Da questo quartetto devi aiutarmi a scegliere il mio brano preferito, ovviamente fornendomi qualche indicazione aggiuntiva che nessuno meglio di te può individuare: il primo è “A te sola”:
Gioco macabro quello che mi proponi (ride). Guarda, se proprio dovessi fare una scelta, direi che “A te sola” rappresenta un po' tutta l’essenza del lavoro svolto per “Spira”, oltre a essere il primo brano inviato a Jacopo, esclusi quelli iniziali poi archiviati, rappresenta anche il primo importante tassello di ciò che poi si è sviluppato negli anni successivi. In “A te sola” c’è una prima parte, nuda e cruda, spoglia, con la mia voce e la chitarra; c’è una seconda parte che è molto legata al mio mondo, quello dell’arrangiamento vocale, delle armonie, del voicing, del suono delle voci, dell’armonizzazione: io adoro lavorare con le voci. C’è poi una terza parte, che sfocia in questo rituale mantrico, quasi liturgico, reiterato, che è un fattore a me molto caro. A me piace molto la ciclicità, la reiterazione, e lavorare con le voci. Credo che sia musicalmente, sia vocalmente, “A te sola” sia in assoluto la sintesi di tutto il disco, c’è tanto in quel brano.

 

Proseguo con le altre due scelte: “Arca” e “Ca mira”, quest’ultima soprattutto mi ha ricordato, molto da vicino, i profumi orientaleggianti del Battiato di “Sulle corde di Aries”:
Concordo. “Ca mira” è un brano che è per me sinonimo di casa, proprio per questo è stata scelta come opener. Il gioco tra modo minore e modo maggiore riporta molto alla tradizione sarda. La voce, in questo specifico caso, fa gioco un po' su tutto, cantando sopra un bordone senza modo e per il fatto che sia costruita su una scala diatonica tra il primo e il quinto grado, non c’è il terzo, quello che assegna il modo, il carattere della scala, che faccio io con la voce, tutto questo riporta alla musica della mia terra.

 

L’ultimo brano selezionato è “Carme”, un momento che mi ha catapultato in un’ambientazione fiabesca e cangiante:
“Carme” la divido in due sezioni: una più spoglia, un po' come “A te sola”, perché anch’essa è nata da un arpeggio di chitarra, poi fatto passare attraverso un sintetizzatore Juno, che sfocia in una coda molto ricca di variazioni: è un brano un po' a medaglia, che ha un lato A e un lato B. Però ripeto, faccio fatica a fare un’analisi dei singoli pezzi, che non sia, come hai visto, piuttosto tecnica, ad eccezione di “A te sola” che rappresenta il primo brano. Ogni composizione ha avuto tantissime variazioni, tante versioni. Quest’approccio alla scrittura mi ha donato parecchia libertà, perché non mi ha posto limiti, non devi seguire lo schema: strofa, ritornello, pre-ritornello e così via. Il contro è che non avendo una guida predeterminata, si fatica a scegliere quale strada percorrere, tra le tante che hai azionato, quindi una grande energia è stata profusa nel localizzare quale fosse, per ogni brano e anche all’interno dello stesso, la via giusta da percorrere per ogni sezione.

 

La Sardegna è sicuramente tra le regioni italiane che, negli ultimi anni, ha mostrato un alto numero di proposte musicali innovative: tu, Iosonouncane, Alek Hidell, lo stesso Vieri Cervelli Montel, nato a Firenze ma assolutamente sardo d’adozione, il grande Paolo Angeli. Cosa ne pensi?
E’ vero. Ora che ci ragiono insieme a te, mi accorgo effettivamente che la Sardegna sta ultimamente proponendo idee molto identitarie. Alcuni mi hanno anche chiesto se la nostra terra sia un fattore così determinante. Io ritengo di sì. Provenire da una terra ricchissima di storia, tradizione, cultura, leggende, figure oscure, tantissimi colori e sapori ben definiti, e il fatto di essere isola, ti regala sensazioni probabilmente più forti di ciò che ruota intorno a te. Queste sono tutte situazioni che, per forza di cose, segnano il nostro percorso, non solo artistico.
Il mio disco, ad esempio, l’ho scritto interamente in Sardegna durante il periodo di lockdown, quando la regione era svuotata da tutto e da tutti. I paesaggi, che già sono abbastanza desertici, avevano assunto sembianze ancor più spettrali e quindi altamente evocative.

 

Il tuo disco è uscito in vinile (immediatamente esaurito) e su piattaforma digitale. E’ stata una scelta volontaria, quella di non prevedere il download diretto HQ , tra l’altro per un disco che si vedrebbe valorizzato in modo determinante con un supporto di questo tipo?
Non so purtroppo risponderti. Su Spotify è disponibile e anche sulle altre piattaforme analoghe. Non vorrei darti informazioni errate per quanto concerne la distribuzione digitale in download. Per quanto concerne il vinile, speriamo possa essere ristampato al più presto, ma anche in questo caso non ho notizie certe. L’unica sicurezza è che non ci saremmo mai aspettati una risposta così immediata, anche nelle vendite su supporto.

 

Ultima domanda. Quali sono i progetti per il futuro, immediati e più a lungo termine?
In questo momento sono concentrata al 100% sulla dimensione live. Sto cercando di proporre il disco in concerti dal vivo che provo a configurare nel modo più accurato possibile. Mi sto attualmente esibendo in duo con una meravigliosa artista siciliana di musica elettronica che si chiama Maru. Da tre anni non mi esibivo dal vivo, una situazione che mi è mancata pesantemente, io che mi sento molto una musicista da palco e ora mi sto godendo in pieno questi grandi appuntamenti. Penso poi che la dimensione live sia molto utile per indicarti nuove eventuali strade. Penso che i concerti siano fondamentali per la crescita artistica. Tra l’altro, nei set dal vivo, io lascio molto spazio all’improvvisazione. Porto la scaletta del disco, che cerco di riproporre quanto più fedelmente possibile, ma è ovvio che sono previsti degli slarghi d’improvvisazione, che io ho conservato saldi, perché li reputo necessari. Le prime date sono state tutte sold-out, è stato bellissimo avvertire la carica del pubblico, l’energia e l’attenzione mostrata.

 

Daniela, grazie ancora per quest’intervista, ancora complimenti per il tuo eccellente debutto e un caloroso saluto dal sottoscritto e da tutta la redazione di Ondarock.
Ma grazie a voi. Un saluto a tutti e vi aspetto ai miei concerti.

 

(11/06/2023)