Non ho trovato molte informazioni sul nome “Laish”, a parte che si tratta del nome di una tribù biblica (o di un paese). Puoi dirci qualcosa di questa scelta?
Sì, è un nome strano. Mi trasferii a Brighton nel 2008 per iniziare un progetto cantautorale. Non ero sicuro di cosa sarebbe dovuto essere, ma naturalmente serviva un nome. Avevo già escluso il mio. Non potevo sopportare l’idea di trascinare la gente a vedere un concerto di Daniel Green. Sentivo inoltre che sarebbe stato più difficile trovare persone a suonare proponendogli di unirsi a un qualche vano “progetto solista”. Immagino che questo dimostri una netta mancanza di confidenza nelle mie abilità, a questo punto! La mia ragazza mi disse di questa parola, Laish, che sta per la tribù di Dan, e significa anche “leone”. Un’antica parola ebraica. Non particolarmente in uso di questi tempi. Che posso dire, mi piacque. La gente non sa mai come pronunciarla. La preferisco tutta in maiuscolo, con le lettere separate. L A I S H. Se la cerchi su Google, troverai anche un romanzo e una trasmissione radiofonica saudita sull’hip-hop.
Parliamo un po’ della tua peculiare, autodidatta tecnica di arpeggio. Come l’hai sviluppata?
La musica per me è sempre stata una cosa istintiva. A tredici anni avevo già una chitarra elettrica e una batteria. Sentivo che sarei diventato un chitarrista memorabile, per via del mio stile, non per la mia abilità tecnica. Non ho mai preso lezioni, ho solo suonato un sacco, imparando a cavarmela ascoltando. Se ogni tanto mi dispero per i miei limiti, posso appoggiarmi ai miei compagni di band per compensare le falle nella mia conoscenza. Penso che sentire “Bad Timing” di Jim O’Rourke mi abbia aiutato ad arrivare dove sono col fingerpicking acustico.
Lo stesso vale per il canto. Se prima dell’adolescenza cantavo spesso, tutto finì quando la mia voce si ruppe e sbattei con la testa su quelle crudeli ansie giovanili. Questo proiettò un’ombra piuttosto lunga sulla mia fiducia. Non cantai più fino ai vent’anni. Mi rincuorai col primo Will Oldham/Palace Music, perché la sua voce e la produzione musicale sono così lontane dall’essere tecnicamente brillanti, eppure le canzoni sono così evocative e ricche d’emozione. Come ascoltatore, trai sollievo dagli errori.
Sei stato il batterista di un certo numero di band e credo che, specialmente in “Obituaries”, ci sia una distinta identità ritmica dei brani. La sezione ritmica gioca un ruolo nella composizione dei tuoi pezzi, e come?
Le mie canzoni sono spesso scritte a tarda notte, mentre metto insieme, a bassissimo volume, qualche arpeggio e la melodia vocale. Ancora una volta, è un approccio intuitivo – non tengo in conto, di solito, se un pezzo è nel più semplice 4/4. Spesso mi rendo conto successivamente di aver scritto qualcosa di un po’ strano ritmicamente, ma è lì che ne trovo la bellezza. Trovo che la combinazione di parole e musica non è, di solito, così lineare.
Metter giù queste prime registrazioni di tali idee mi dà la possibilità di sperimentare col ritmo, la percussione. Mi è sempre piaciuto inserire tocchi ritmici per tenere l’ascoltatore in allerta – perché, nonostante l’apparente semplicità, non abbiamo intenzione di ciondolare prevedibilmente per l’intera canzone. Un battito extra in una battuta, una pausa, cose del genere.
Da quando il nostro nuovo batterista Dan si è unito a noi, gli ho certamente delegato molta responsabilità, sebbene ammetta di essere piuttosto esigente in questo campo, perché sono ancora un batterista nel cuore.
Sono sempre il primo ad ammettere quanto fare il batterista nei Sons of Noel and Adrian abbia influenzato il mio approccio al cantautorato e all’arrangiamento.
Canti di temi diversi, ma soprattutto di vita, amore e morte. Certo le tue canzoni suonano piuttosto personali, ma c’è sempre una sfumatura letteraria, un gusto per il romantico e il favolistico, che condividi con, ad esempio, Nick Hemming dei Leisure Society. Cosa ispira i tuoi testi?
Raramente mi accosto a una canzone con una vera intenzione. L’intenzione è semplicemente di scrivere, mettermi alla mia scrivania a scaricare il mio turbine di idee. La roba buona arriva quando una frase suggerisce qualcosa. Capita di trovare un verso deliziosamente aperto all’interpretazione. Allora mi eccito. Cosa ispira l’uomo a scrivere? La frustrazione! Frustrazioni sessuali, politiche, filosofiche, personali. Alcune delle mie canzoni preferite sono state scritte a qualcuno. Come un regalo, o una lettera d’amore. Alcune nascono da una curiosità letteraria – sono in grado di scrivere una canzone così? Come ho detto della musica, non ho mai studiato la scrittura in versi, anche se sono laureato in lettere (inglesi), e penso finalmente di iniziare a capire perché l’ho fatto – non era solo per sfuggire alla pedanteria filistea di una piccola cittadina del Nord dell’Inghilterra. Si trattava di estetica e di esplorare la gioia delle parole e delle storie. Di eternità. Finire ogni giorno con una canzone mi sembra la cosa più profonda da fare.
Non mi sorprende che citi Nick Hemming. Posso capire la somiglianza nell’approccio. Miriamo a fare musica senza tempo e i nostri testi riflettono le condizioni richieste per riuscirci. Le incertezze, la depressione di Nick sono lì nei suoi testi, eppure le sue melodie sono così dolci, gli arrangiamenti così pieni di gioia!
Come metti in relazione i tuoi due album? Ho trovato in “Obituaries” un dinamismo nuovo, più distinto, qualcosa che nel vostro esordio spesso veniva fuori più sottilmente.
Il primo disco venne messo insieme in modo da far risaltare il suo spirito acustico. Forse questo dimostra l’influenza di Brighton sul mio approccio. Il mio interesse nella musica folk è esploso in effetti dopo essermi trasferito lì, e aver conosciuto persone che fanno questo tipo di musica. Shoreline, The Miserable Rich, i primi Sons of Noel and Adrian, Moonshine Moonshine, The Leisure Society, Rowan Coupland – tutta questa gente era già in moto. Molto è successo prima di arrivare alla registrazione di “Obituaries”.
Più che altro, avevo fatto diversi concerti e avevo una band completamente nuova. Come sezione ritmica, Dan e Patrick sono unici – si accostano alla musica da estremi apparentemente opposti dello spettro della musica rock, ma in qualche modo trovano un punto d’accordo. È fantastico lavorare con Emma e Martha, perché anche loro hanno un’intesa intuitiva nel creare la melodia e l’arrangiamento. A volte capita di provare un pezzo in tanti stili diversi, per poi tornare alla prima versione. È esaltante.
Sei decisamente una figura centrale del Wilkommen Collective. Puoi dirci un po’ come è successo tutto?
Il Wilkommen Collective fu iniziato dalle band Shoreline, Miserable Rich e Sons of Noel and Adrian. Suppongo che la ragione sia stata il fatto che le line-up di queste band includevano praticamente le stesse persone, e cionostante avevano un sound, un’estetica molto diversi, pur nell’ovvio legame. È complicato da spiegare, ma c’era ovviamente un senso di comunità, di un collettivo al lavoro, quindi perché non ufficializzare la cosa – aggiungere un nome, un logo, e più tardi un’etichetta discografica. Mi chiedo quanto confonda le persone che lo conoscono per la prima volta, ma immagino valga la pena di ricordare che tutti i musicisti coinvolti fin dagli inizi del collettivo (inizi del 2007) siano ancora musicisti attivi, anche se alcune delle band non sono più insieme. Questo di per sé lo considero un risultato. Penso che siamo tutti ispirati dall’attività di ognuno. Per dire, mettiamo che una band entri nella line-up di un buon festival, puoi stare certo che il resto del collettivo sarà in giro a chiedere i contatti e così via. Ogni band spinge verso ciò che è possibile ottenere per una band. C’è un sano spirito competitivo.
Come influenza, questo, il tuo cantautorato e il tuo essere musicista?
Il mio rapporto d’amore con la musica folk è decisamente iniziato a Brighton, quando ho capito che dischi veramente grandi potevano essere fatti in camera da letto con due microfoni, qualche strumento e un po’ di duro lavoro su Cubase o Logic. Adesso vorrei esplorare le possibilità di uno spettacolo dal vivo. Ci piace suonare pezzi in acustico, nel nostro set, almeno quanto ci piace aumentare il volume.
Ti vedi come cantautore solista?
Sì e no. Sì nel senso che quasi tutte le canzoni che ho scritto sono state fatte da me stesso, con un portatile e una chitarra. Per alcune ho registrato l’intero arrangiamento della band da me (vedi “Visions”), ma oggi tendo ad arrivare alla prova con la band con una canzone nuova, e cominciare da lì. Potrebbe iniziare come una ballata e finire canzone rock. Capita, quando hai altre quattro persone che vogliono essere coinvolte. Ma questa è una cosa eccitante, per me. Una canzone può essere fatta chitarra e voce, o con un’intera orchestra.
Come band, avete avuto diversi cambi di line-up. È per via della natura “collettiva” della scena folk di Brighton?
Sì, immagino che sia corretto. Brighton è per natura un luogo piuttosto transitorio. È sul mare, le persone vanno e vengono. È pazzesco che il Wilkommen Collective sia durato così tanto, in effetti. Ma poi penso che, non fosse stato per le mie due band, avrei lasciato Brighton ormai.
Fate musica “collettiva”, ma suonate lo stesso piuttosto scarni, anche se la tavolozza sonora si è probabilmente estesa in “Obituaries”. La vedi come una possibile evoluzione dei Laish, in futuro?
Penso che il nostro sound live sia più forte, più espansivo, ma che, quando si tratta di lavori in studio, di essere propenso ad atternermi all’essenza di un pezzo. Sono ancora interessato a trame pacate, suoni ricercati e testi sussurrati quanto lo sono a fare rock.
Conduci anche una trasmissione sulla Simple Folk Radio. Quali artisti o band mandi, di solito? Nuovi talenti o vecchi classici? Cosa stai ascoltando, attualmente?
Quando venni invitato come ospite allo show, sentii mio dovere far conoscere alla gente il Wilkommen Collective e tutte le varie gemme che avevo incontrato sulla via. Mi venne offerta, più tardi, una mia trasmissione personale, il che è perfetto perché mi obbliga (anche quando sono molto occupato con la band) ad andare in cerca di nuova bella musica che si adatti alla trasmissione. Lo show si concentra sulla musica che fa parte delle categorie del folk, country, indie, outsider, amateur, experimental, pop e tutti i generi di rock. C’è un archivio enorme di sessioni originali ed esclusive registrate da band e cantanti nel corso degli anni. Questo include gente come Laish, Sons of Noel and Adrian, Phosphorescent, James Yorkston, Jeffrey Lewis, David Thomas Broughton, Akron Family, Birdengine, Charlie Parr, Richard Dawson e Rozi Plain.
Un modo più semplice di scoprirlo è l’archivio che ho appena messo in rete di tutte le mie trasmissioni, che potete ascoltare un po’ alla volta (http://laishmusic.com/radio/).
Sembri piuttosto occupato con Internet e sui social network. Questo ti aiuta a diffondere la tua musica e raggiungere un pubblico più vasto?
Sì, lo so, è il grande nodo scorsoio della nostra generazione! Una persona creativa ha bisogno di tempo, spazio e libertà mentale per creare lavori ispirati. E ciononostante questo tempo spesso viene inghiottito nell’amministrazione del lavoro. Prenotare gli spettacoli, invitare le persone agli eventi, aggiornare i siti, twittare, scrivere le risposte alle interviste... Ciò che è più chiaro che mai è che quesi elementi non possono essere ignorati, non se uno insegue qualcosa seriamente. Certo, potrei semplicemente scrivere le mie canzoni e registrarle e metterle su Bandcamp. Ma, se voglio fare un concerto, se voglio che una persona venga sul mio Bandcamp, la presenza sul web è importante. Sento di dover prendere ogni aspetto con lo stesso approccio creativo. Scrivere una mail a un agente che fa booking può essere un atto creativo, se lo voglio.
Twitter e Facebook, in questo momento, mi stanno dando la possibilità di programmare un tour in Italia. Il che penso sia un diretto risultato dell’essere disco del mese sul vostro sito. Come avete saputo di noi?
Laish (Wilkommen, 2010) | 7,5 | |
Ep (Self-released, 2012) | ||
Obituaries (Folkwit, 2013) | 7,5 | |
Pendulum Swing(Talitres, 2016) | 7,5 |
We Speak The Mantra (da "Laish", 2010) | |
Warmth And Humility (live session, da "Laish", 2010) | |
Carry Me (da "Obituaries", 2013) | |
Warm The Wind (live session, da "Obituaries", 2013) |
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