NichelOdeon - Claudio Milano

Le performance del cantattore

intervista di Matteo Meda

Claudio Milano è una figura culturale a trecentosessanta gradi. La sua è un'arte che attraversa e sintetizza le discipline più disparate, evolvendosi sotto forma di una musica inclassificabile e innovativa, che ha trovato il suo coronamento più ispirato nel progetto NichelOdeon, fondato a inizio millennio dall'artista e performer e tra le cui fila sono transitati alcuni fra i nomi più affascinanti dell'underground italiano. A pochi mesi dalla pubblicazione del breve live "NO", lo abbiamo incontrato per una lunga intervista, in cui ci ha descritto le poliedriche forme della sua arte, infarcita da svariati spunti e curiosità riguardo lo stato attuale delle arti.

Per prima cosa, ho letto che sei “un po’ di tutto”: musicoterapista, compositore, strumentista, cantante, pittore, regista, fotografo. Beh, che cosa sei in realtà? Prova a riassumere un po’ le tue attività.
Innanzitutto non mi occupo di tutte queste cose, perché attualmente molte delle esperienze che hai citato le ho messe da parte! Avrei bisogno di molto tempo. Nel periodo recente mi occupo quasi esclusivamente di ricerca vocale e didattica in questo ambito, anche se mi interesso ancora di musicoterapia e sicuramente sono ancora un autore/compositore, datoché scrivo musiche e testi. Ciò nonostante, compositore è forse un termine un po’ impegnativo, preferisco sicuramente definirmi un “cantattore”, nel senso che mi piace mettere insieme esperienze di teatro e di musica, e probabilmente questo è il mio percorso più veritiero. Vengo in ogni caso da esperienze che hanno a che fare con il mondo delle Belle Arti, perché ho studiato all’Accademia di Brera come scenografo, anche se ho lasciato quest’attività molto in fretta. Sono stato un pittore, dipingevo e ho iniziato a farlo molto presto, intorno ai 13 anni, ma intorno ai 25 ho smesso, datoché la stagione della Transavanguardia Europea, a cui mi rifacevo, si era conclusa. Ho quindi sentito il bisogno di trovare energie per rinnovare il mio percorso, e grazie alla conoscenza di alcune personalità importanti – su tutte Roberto Sanesi – ho capito che la musica era il collante ideale per tutto quello che volevo portare avanti. Quindi, per rispondere alla domanda, sono sicuramente un musicista – perché quello è il mio percorso – e all’interno della mia musica sono certo di poter portare una dimensione pittorica e una teatrale. Di sicuro non fotografica, né registica visto che non ho mai sviluppato appieno nessuna delle due esperienze.

Ma sul tuo sito ho trovato più di una fotografia…
Sì, sul sito ci sono alcune fotografie che facevano parte di un ciclo e nelle quali catturavo immagini di ombre di mobiles autocostruiti, riflesse su lenzuoli e di luci ottenute da oggetti che fossero in grado di riflettere più sfaccettature, come finti cristalli, che creavano quindi una sorta di caleidoscopio, il tutto in ambiente rigorosamente buio. Si trattava di una serie di “radiografie di un sogno”, e l’intero ciclo portava questo nome, ma si è trattato comunque di un percorso molto breve. In ogni caso ti anticipo a riguardo che nel prossimo album dei NichelOdeon parte dell’artwork sarà composta da mie fotografie, quindi in un certo senso ho ripreso in mano questo brevissimo percorso.

claudiomilanoRestando in argomento, ho in mente l’artwork di “NO”, il tuo ultimo lavoro e il primo che ho avuto in mano, e mi pare in ogni caso che in tutti i tuoi album il design sia ricercatissimo. Ti ispiri a qualcosa in particolare per i tuoi artwork?
Negli anni dell’Accademia ho avuto modo di capire che l’artista attuale è un personaggio che ha bisogno di attingere da più forme per potersi esprimere, come se il concetto di opera d’arte totale – teorizzato a fine Ottocento come sorta di utopia – fosse diventato qualcosa di reale, di concreto, quasi l’unica realtà possibile. Un cd si compone di più parti, fra cui il booklet, quindi questo ha un’importanza dalla quale non posso sentirmi slegato - viste anche le mie esperienze. Per questo mi avvalgo sempre dell’aiuto di alcuni amici pittori che concretizzano le mie idee: mi ritrovo quindi a scegliere fra cose che hanno già prodotto o a “commissionare” loro qualcosa che renda l’idea del mio lavoro. Per esempio, il grafico con cui lavoro da tempo, Paolo Rosset, ha realizzato molte opere ex-novo sulla base di mie indicazioni, ma ha anche fornito in altre occasioni dei lavori suoi che avevo particolarmente apprezzato, come nel caso della copertina de “L’Urlo Rubato”. Ben più impegnativo è stato invece l’artwork dell’album “Il Gioco del Silenzio” dei NichelOdeon, realizzato da una pittrice italiana straordinaria, Valentina Campagni (anche se l'impaginazione e alcune immagini del booklet rimangono a cura di Paolo), ispirato alla patologia del blighted ovum (camera gestazionale priva dell'embrione), ovvero una forma di gravidanza psicosomatica, con sintomi conclamati e diagnosticati, ma in realtà inesistente. L’idea è nata dopo lunghe discussioni fra me e lei riguardo il concept del disco, che voleva intendere il silenzio anche come rumore, visto che spesso questo può essere ben più rumoroso del suono; ma anche l'attesa come qualcosa che non sempre conduce al compimento di qualcosa, un po' come l'aspettativa di inizio di un millennio che in realtà tarda a lasciare segni concreti di sé. Il trittico da cui è derivato l’artwork è stato poi esposto a Berlino assieme a videoinstallazioni con le musiche dei NichelOdeon. La copertina dell’ultimo album, “NO”, è stata invece realizzata da Marco Bettagno, pittore neo espressionista/informale ed è ispirata all’idea della pietra e del graffio, che mi affascinano per i loro fungere da legame fra l’antico e il moderno, fenomeno che sento significante per l'epoca contemporanea.

Parlavamo del silenzio. Questo concetto è parte integrante anche della tua musica, in particolare di quella dell’album “Il Gioco del Silenzio”? Hai tentato in quel caso di “musicarlo”?
In quel disco il silenzio è espresso in negativo, visto che è un tutto-pieno sonoro che si associa alla rarefazione soltanto in alcuni momenti. E’ la chiusura di un cerchio aperto parecchio tempo prima, durato quasi dieci anni: non a caso molti dei testi usati nel disco sono stati incisi molte volte su lavori precedenti prima di trovare una collocazione definitiva, una chiave di lettura che posso reputare conclusiva. Ho voluto dare sfogo a tutte le voci che hanno abitato questo periodo, che si sono affollate tutte insieme all’interno del disco che si situa a metà strada tra il claustrofobico – che è una parte di me, datoché claustrofobico sono, ma mi piace riconoscere questa cosa come caratteristica personale e risorsa, oltre che come “problema” – e il quieto. Nonostante ne “Il Gioco Del Silenzio” ci sia ben poco silenzio, ne si trova molto altrove, per esempio nell’album “Adython”, composto al fianco di KasjaNoova e ispirato al percorso di Carmelo Bene, uno degli artisti più importanti in ambito teatrale, peraltro mai riconosciuto quanto meriterebbe.

Possiamo parlare della tua musica come un’arte in contatto continuo con – se non addirittura comprendente – le altre arti, il teatro in particolare. Come e in che modo convivono in te queste due passioni?
Beh, il mio percorso è iniziato dal teatro, sebbene professionalmente abbia cominciato con una folk-prog band di nome Lethe, che riuscì a produrre un solo disco e a cui mi ha introdotto il mio mèntore, Paolo Siconolfi. La mia permanenza in Accademia come scenografo mi ha presto messo in contatto con il mondo del teatro, anche grazie alla fortuna di aver studiato con un artista altamente ricettivo come Romano Perusini, che ha lavorato negli anni settanta con Luigi Nono e mi ha messo in contatto con molte figure d’avanguardia, oltre ad avermi dato una chiave di lettura del mondo del teatro e della musica incentrata sull’importanza del gesto e della vitalità performativa. In quel periodo stavo producendo una musica che ricercava la perfezione stilistica, dimensione che ha via via perso soffermandosi invece sulla vitalità, che comprende in sé anche l’imperfezione. Un disco “imperfetto” che guardi con naturalezza ciò che lo circonda ha molte più possibilità di svilupparsi di un disco prodotto e suonato alla perfezione che però tappa in qualche modo tutti i buchi, che sono quel qualcosa che riesce a rendere vivo il tutto. Non è un caso che a partire da “Cinemanemico”, tutti i lavori a cui ho contribuito siano stati registrati dal vivo o in presa diretta (“Il Gioco del Silenzio”, “Adython”, "Aurelia Aurita"). Il teatro è azione e presa in tempo reale, ma quel che mi inquieta è che abbia dei tempi serratissimi: quando ho iniziato a lavorare in quell’ambito, i tempi dell’azione si muovevano in relazione a quelli della sceneggiatura, e mi soddisfa ben poco un teatro dove non ci sia tempo per dare spazio all’emotività e all’interpretazione durante l’esecuzione. Per me l’opera d’arte contemporanea più indicativa è proprio la performance art: è il magnetismo oggi che ha un senso, non la presenza di un copione, il teatro si attua e si svolge sul momento. Quella del copione è un’idea molto antica ma che oggi è fuori tempo massimo. Quindi, sì, ho lavorato per il teatro, ma oggi il mio scopo è trasportare quell’esperienza all’interno della mia musica, nell’accezione di teatro che ritengo ottimale, e cioè quella “performativa”.

Passiamo alla musica “pura”: NichelOdeon è una sigla che nasconde un progetto, di cui tu sei regista e mente. Chi sono stati e sono i tuoi “attori” e come si è evoluto il progetto dalla sua nascita ad oggi?
nichelodeonNichelOdeon è nato dalla mia esigenza di dare una formazione stabile alle mie prime composizioni che si avvicinavano al mondo della canzone. Durante uno spettacolo teatrale della “Genesi”, su regia di Anna Traini e Laetitia Favart, ho pensato di scrivere un brano conclusivo su tema religioso – inteso ovviamente come “misticismo” e non come religiosità in particolare. In quel periodo ho poi scritto parecchie canzoni, confluite nel cd “La stanza suona ciò che non vedo”, che ebbe un riscontro praticamente nullo da parte della critica. Ho capito che la ragione di questo insuccesso era dovuta probabilmente al fatto che non avevo una band stabile alle spalle. Durante una performance criticatissima al Salone delle Arti di Affori, Francesco Zago degli Yugen ha ascoltato l’esibizione e mi ha richiesto una collaborazione, e nel giro di pochi mesi sono riuscito poi a creare una formazione stabile per circa un anno, con un altro Yugen, Maurizio Fasoli e un jazzista di talento che si chiama Riccardo Di Paola. Questa formazione ha comunque avuto una durata breve poiché ciascuno dei componenti dava in priorità ai propri progetti, mentre per me NichelOdeon era la priorità assoluta e non riuscivo a sviluppare il tutto quanto avrei voluto. Così in poco tempo è uscito dalla formazione Riccardo Di Paola ed è entrato il compositore torinese Luca Olivieri, collaboratore degli Yo Yo Mundi, e infine, a causa dell’estrema difficoltà di incontrarsi dovuta alla rapida ascesa di Yugen, l’intera formazione ha concluso la sua esperienza. Una cosa che posso dire è che NichelOdeon porta fortuna a chi vi entra a far parte, perché chiunque vi sia passato ha visto in poco tempo i propri progetti decollare, un po’ a discapito di NichelOdeon stesso, costretto a cambiare spesso facce e attori (ride).
A un certo punto ho quindi capito che il progetto era destinato a essere un cantiere aperto e così è stato, con una formazione ampliata, della quale hanno fatto parte Max Pierini, Andrea Murada, Francesco Chiapperini, Andrea Illuminati, Lorenzo Sempio, Luca Pissavini, Fabrizio Carriero. Con questo nuovo asse variabile si è riusciti a portare avanti un discorso più lungo, durante il quale si è creato un vero e proprio cantiere culturale all’interno del quale si sono sviluppati molti altri progetti. La partecipazione trasversale di Stefano Ferrian, che poi ha fondato la dEN Records, o quella di Luciano Margorani, chitarrista storico del rock-in-opposition milanese, o ancora Carola Caruso, cantante jazz straordinaria, Estibal Igea, soprano spagnolo che ha lavorato al progetto, Claudio Pirro, Antonello Raggi, Lionello Colombo, Marco Tuppo, Stefano Delle Monache, Alex Stangoni; tutte collaborazioni che hanno contribuito a dare vitalità continua al gruppo. Questo senza dimenticare i registi: Marc Vincent Kalinka, Andrea Butera, Luca Cerlini, Gabriele Agresta, Frank Monopoli, Charles Napier, Paolo Martelli; la pittrice e musicista Ambra Rinaldo che ha creato dal vivo paintscapes; il contributo di Manuela Tadini e il suo teatro dell'assurdo; il body painting di Giulia Caruso: insomma, un’esperienza davvero molto vitale. Poi c’è stato un cambio, dovuto di nuovo al decollo di progetti più “esportabili” benché di qualità eccelsa nati in seno a NichelOdeon, e ora il progetto sta vivendo un’ulteriore terza fase che porterà a un nuovo album, previsto per il 2013.


L’estrema difficoltà nel classificare la tua musica rende un po’ obsoleta questa domanda, ma provo a portela lo stesso. Quali sono, se ci sono, le influenze alle quali ti ispiri per la tua musica, siano esse musicisti, generi, movimenti ecc.? So per esempio che sei un gran fan di Peter Hammill
I miei riferimenti sono ben noti e sono tanti e stratificati, perché cerco di mettere assieme più esperienze. Ci sono più artisti che mi influenzano provenienti da più discipline e non soltanto dalla musica. Sicuramente un mio punto di riferimento costante è Nico nella sua collaborazione con John Cale nel periodo di “The Marble Index”, “Desertshore” e “The End”. Poi Scott Walker di “The Drift” - che è probabilmente il mio album preferito in assoluto – gli Univers Zero di “Heresie” – altro mio faro assoluto; certamente Hammill, molto più che per le incisioni in studio per la sua capacità comunicativa dal vivo, di esprimere con enorme intensità debolezza e forza interiore. Hammill è probabilmente l’interprete drammatico più importante della storia del rock, ed è profondamente umano, vero in quello che fa, nei suoi errori esecutivi così come nel suo talento vocale. Adoro Diamanda Galas perché ha una vocalità estrema, inquieta e sicuramente unilaterale, datoché è anche esibizionisticamente inquietante, però mi affascina e mi colpisce per il suo lato performativo, credo sotto questo aspetto sia la più grande assieme a Meredith Monk. Non amo invece i cantanti nella direzione di Bobby McFerrin, che intendono il canto quasi totalmente nell’accezione tecnica, è qualcosa che io reputo come emotivamente sterile. Queste sono delle referenze per eccellenza, assieme ad Artaud, Carmelo Bene, Danio Manfredini, ma potrei citarne molte altre, dai King Crimson ai Virgin Prunes, da John Zorn ai Dead Can Dance, al primo Battiato, i Cccp, l'estetica glitch, i drone esoterici, la moderna sound art e ascolto anche moltissima classica contemporanea: Penderecki, Ligeti e Messiaen in particolar modo. Amo anche il tango, su tutti Piazzolla, il free-jazz - e quindi John Coltrane e Ornette Coleman. Infine, ma non in ultimo, dal mio punto di vista Tim Buckley è il cantore più completo della storia del rock, per via della sua naturalezza nell'unire tecnica e spirito come nessuno è mai riuscito a fare prima né dopo.

Definire la musica dei NichelOdeon, come già detto, è complesso. Personalmente credo sia una delle espressioni musicali che meglio si adatta – per quanto già detto prima – alla definizione di art-rock, nel suo significato letterale. Tu cosa ne pensi?
Sì, art-rock potrebbe essere una definizione giusta. Io non riesco a dargli una definizione ben precisa, credo che la difficoltà che abbiamo a trovare qualcuno che ci ospiti per suonare sia indicativa del fatto che il genere della band sia un non-genere. I festival progressive rock – genere al quale molti ci hanno ascritto – rinnegano la nostra presenza perché non reputano i NichelOdeon come un gruppo progressive. I festival rock-in-opposition non permettono ai NichelOdeon di suonare in quanto non li reputano abbastanza rock-in-opposition, e la stessa cosa avviene per l’alternative e il jazz. E’ quindi un progetto destinato a suonare poco e a produrre musica saltuariamente, e fortunatamente ad avere quel riscontro a livello mondiale che ci ha permesso di crearci la nostra nicchia di appassionati fedeli, che non avrebbe mai potuto esistere se non avesse avuto un grande appoggio da parte della critica, di settore e non. La nostra fortuna è stata proprio questa, essere stati accolti da fanzine, webzine, riviste e quotidiani che si occupano dei generi più disparati: dal dark all’elettronica, dal jazz alle avanguardie, dal progressive al rock-in-opposition. Questo per me è sintomatico: si tratta di un progetto estremamente ibrido, la cui natura teatrale è forse la cosa che più lo allontana dal sistema culturale che viviamo oggi, specialmente in Italia, dove il legame tra musica e teatro è visto nel complesso in maniera molto negativa.

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Un altro ambito dove hai lavorato molto, ci dicevi, è la musicoterapia. Ci racconti di quest’esperienza, come funziona e quanto pensi possa essere una frontiera da sfruttare?
E’ una domanda che meriterebbe un papiro, per cui cercherò di essere davvero sintetico. La musicoterapia ha iniziato a diffondersi in Italia negli anni 70, e i capostipiti di quest’attività hanno avuto la fortuna di poterla praticare in maniera strettamente medica, con interesse e considerazione. A tutt’oggi la letteratura che viene seguita da chi studia musicoterapia segue le ricerche di queste prime figure. Il mio modo di fare musicoterapia è derivativo da quello di Barbara Eleonora Pozzoli – a cui va un sentito ringraziamento - che è stata la mia insegnante ed è riuscita a sintetizzare in maniera affascinante e personale metodi diversi con i risultati ottenuti attraverso la sua attività. Di mio, io ho avuto la possibilità di introdurre e sperimentare ben poco, a parte l'uso dei microfoni nella relazione con i bambini autistici, anche perché negli ultimi anni mi sono allontanato dal mondo della musicoterapia per occuparmi dell’integrazione di alcune personalità infantili “difficili” all’interno dei rispettivi gruppi sociali (classi, ndr).
La mia esperienza con elementi psichiatrici è durata diversi anni, ma si è dovuta scontrare con un ambiente estremamente “irresponsabile” come quello italiano, dove la musicoterapia è intesa più che altro come una disciplina affine alla new age e dove c’è una conoscenza estremamente limitata e un cattivo uso delle discipline paramediche. Generalmente, infatti, il tutto è praticato all’interno di strutture - previo pagamento di somme discutibili – in maniera troppo leggera, senza distinzione alcuna tra le patologie da curare e in gruppi anche di trenta-quaranta persone, seguiti da un’unica figura. Questo va contro ogni parametro di valutazione medica, è un mondo che mi ha davvero segnato per l’ignoranza e la speculazione che lo caratterizzano, a discapito di persone che vivono davvero male e si sentono dire che tutto ciò di cui hanno bisogno è solo l’amore di chi li circonda. Se è vero come è vero, è altresì indiscutibile che queste persone necessitino di un supporto adeguato, e la musicoterapia può esserlo se praticata almeno da due o più persone, supportate da figure mediche – non dalla sola figura del terapista – e con metodi/serietà adeguati. In Italia tutte queste cose vengono puntualmente ignorate, a discapito, ripeto, di persone a cui invece di portare benefici rischia esclusivamente di fare del male.
Il mio percorso – che ho comunque momentaneamente interrotto -  ad ogni modo, si è concentrato soprattutto sull'autismo, che ho notato essere il mondo che può dare le risposte migliori ad attività come il canto armonico e l'uso della voce associato all'emozionalità e la corporeità, che è sicuramente il mio ambito principale. Spiegare come funziona, come mi hai chiesto, è qualcosa di invece assolutamente impossibile: potrei dirti che è un viaggio interiore per la liberazione di tanti piccoli blocchi emotivi e fisici, che avvengono nelle relazioni tra diversi "sé". E’ un percorso a volte divertente, ma a volte anche difficile, che può portare a reazioni non sempre prevedibili, in ogni caso senz’alcun dubbio affascinante.

Dopo aver analizzato il tuo percorso multiforme, mi sento di chiudere con una domanda particolare. Per un artista che ha attraversato i linguaggi e le forme più disparate, che cos'è, davvero, l'arte e quali possono essere oggi le sue frontiere?
Nell'attuale idea di arte, sostanza e forma collimano, così come creatività, professionismo e peso economico. Non è possibile intendere l'artista come qualcuno che non appare ripetendo alcune dinamiche ed essendo immediatamente riconoscibile. Arte oggi coincide con specchio, è manifestazione di una società che ci dicono si "autocrea", ma che in realtà è sottilmente "facilitata" da abili venditori. Per me, arte rimane invenzione di nuovi linguaggi di contenuto e forma significante, capaci di spostare, anche solo di un passo più in là, la nostra capacità di visione e percezione. Esistono tanti musicisti che lo fanno tutt'oggi, che trovano tristemente pochi mezzi per arrivare a un pubblico più vasto. Sarebbe bello che la critica musicale avesse percezione della sua storia, così come fa la critica che si occupa delle arti visive.

Discografia

CLAUDIO MILANO
L'urlo rubato - musiche per teatro (autoprodotto, 2004)
La stanza suona ciò che non vedo (autoprodotto, 2006)
Adython (with KasjaNoova, dEN, 2012)
NICHELODEON
Cinemanemico (live, autoprodotto, 2008)
Il gioco del silenzio (Lizard, 2010)
NO (live, autoprodotto, 2012)
Bath Salts (Lizard, 2013)
THE RADIATA 5TET
Aurelia Aurita (dEN, 2012)
INSONAR
L'enfant et Le Ménure (dEN, 2013)
NICHELODEON/INSONAR
Ukiyoe (Snowdonia, 2014)
Incidenti-Lo Schianto (Snowdonia, 2021)
CLAUDIO MILANO'S END FRIENDS (LA BOBINA DI TESLA)
ManifestAzioni live 2011-2023 (live, Music Force, 2023)
Pietra miliare
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"Tutti i liquidi di Davide"
(videoclip, 2014)
"Claustrofilia"
(videoclip, 2011)
"L'oracolo di Delfi"
(live con Attila Faravelli, 2010)
"PAN Pot"
(live con Arrington De Dionyso, 2010)
live
(con Tavolazzi, Tofani e Calloni, 2011)

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