Theatre Royal

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The Medway Riviera

intervista di Lorenzo Righetto

Allora, iniziamo dal vostro background musicale, sia come ascoltatori che come musicisti. Da dove vengono i Theatre Royal?
Robbie: Sono cresciuto ascoltando la cassetta dei greatest hits di Elvis nella macchina dei miei genitori, e anche il greatest hits dei Beatles. Prendemmo anche “Graceland” di Paul Simon quando uscì. Mi ricordo di essere stato affascinato dai testi, li leggevo mentre ascoltavamo le canzoni. Desiderai di imparare a suonare la chitarra già molti anni prima di iniziare effettivamente, dato che mio papà aveva una vecchia acustica (fatta in Italia dalla EKO, ci crederesti?) nascosta nel suo armadio, che usavo letteralmente per strimpellare. Non cominciai a imparare seriamente prima di avere undici anni e aver cominciato le medie.
Oliver: I miei primi gusti musicali vennero dai miei genitori, ascoltavamo i Beatles, i Fleetwood Mac, Paul Simon o i Waterboys in macchina durante le vacanze estive. Da adolescente, ho iniziato a sviluppare i miei gusti. Siamo cresciuti tutti col britpop e i Nirvana, quei tempi furono molto importanti nell’aiutarci a formare i nostri gusti musicali, era un periodo eccitante per essere giovani e ascoltare guitar music, era dappertutto. Da lì suppongo che abbiamo esplorato un sacco di influenze diverse, tornando indietro nei decenni, trovano dischi e condividendoli tra di noi.

Potete parlarci dei membri della band, come vi siete conosciuti e così via?
Oliver: Robbie, Jon e io ci siamo conosciuti a scuola, a tutti piace la musica, andavamo negli stessi posti ed eravamo in varie band insieme nel corso degli anni.
Robbie: Incontrammo Brendan più tardi. Grazie al cielo è successo. Lui è di gran lunga il miglior musicista con cui abbia avuto la fortuna di suonare. Eravamo stati in diverse band anni prima, ma non ero mai stato contento del sound complessivo. Quando Brendan si è unito a noi e abbiamo formato i Theatre Royal, tutto ha funzionato da subito, e non ha mai smesso di migliorare…”


Sono d’accordo con alcune delle recensioni di “We Don’t Know Where We Are” sul fatto che avete migliorato il vostro sound, arrangiamenti e scrittura disco dopo disco. La pensate anche voi allo stesso modo?
Robbie: In effetti sì, sebbene ogni volta che finiamo un disco penso tra me e me: “Beh non faremo mai un disco migliore di questo”. Penso che sia ciò che ci spinge a lavorare sempre di più sui nostri pezzi, la spinta a migliorare costantemente, anche quando pensi che non ci sia altro posto in cui andare. Questa stessa spinta è in tutto ciò che facciamo come band, credo. Proviamo a non ripeterci e non siamo soddisfatti finché gli arrangiamenti non sono il più possibile dinamici e interessanti e freschi.
Oliver: Penso che tutti sentiamo che questo è il nostro disco più completo dall’inizio alla fine. Siamo molto orgogliosi di tutti e tre i dischi, ma adesso siamo una band migliore rispetto a quando abbiamo iniziato, abbiamo tutti alzato il livello del nostro contributo al sound, i pezzi sono più forti e penso che ci sia una sicurezza tranquilla in questo disco. Penso che l’introduzione di armonie quadripartite sia stata molto importante per noi, è qualcosa che ci siamo sforzati di sviluppare.

“We Don’t Know Where We Are”, inoltre, ha un sound leggermente più dolce rispetto ai vostri dischi precedenti, senza che abbiate il vostro tocco brillante sulla dinamica delle canzoni. Riconoscete questa evoluzione? È una cosa personale o sono i vostri gusti musicali che stanno cambiando nel tempo?
Oliver: Non penso ci sia stato un tentativo conscio verso un sound più dolce, ma sicuramente ci siamo posti l’obiettivo di concentrarci sulle linee armoniche e su altri strumenti invece dei soliti chitarra, basso e batteria. Questo può essere il motivo per cui il disco suona più stratificato e delicato in alcuni passaggi. Detto questo, l’apertura “The Past Is Always Gone” è probabilmente una delle registrazioni più intense di tutti e tre i dischi. Non direi che i nostri gusti musicali stanno cambiando, ma facciamo conoscere continuamente nuovi dischi l’uno all’altro, aggiungendoli alle nostre influenze. Per me personalmente “American Beauty” dei Grateful Dead e “Lisbon” dei Walkmen sono stati punti di riferimento nel retro della mia testa durante la scrittura e la registrazione di questo disco. Ho cominciato a scrivere uno dei pezzi, “Ripple”, guardando un documentario su Ray Davies (Kinks), la sua scrittura è stata una grossa influenza su di me personalmente negli ultimi anni e quella canzone ha dei riferimenti su di lui come uomo così come nel sound.

Robbie: Sì, penso che ce l’abbia. Non sono sicuro che è stata una decisione cosciente, ma ho sicuramente sentito che volevo che liberassimo i pezzi di un po’ di quella confusione che avevamo aggiunto al secondo disco per dargli un suono più grande – lasciarli respirare di più e stare in piedi da soli un po’ di più. Non sono sicuro che questo rifletta un cambiamento nei miei gusti musicali, tuttavia – mi piace ancora più o meno la stessa musica che mi piaceva da bambino.

Mi piace il fatto che siate capaci di suonare profondamente britannici e, allo stesso tempo, come niente altro dalle vostre parti. La pensate allo stesso modo sulla vostra band?
Oliver: È molto carino dirlo da parte tua, abbiamo alcune influenze molto ovvie e non proclamiamo di essere il gruppo più sperimentale, ma abbiamo un nostro suono distinto. Non penso che potremo mai suonare altro che britannici, per via dei nostri accenti. Anche quando facciamo del country o dell’Americana, cantiamo sempre con le nostre voci e parliamo delle nostre vite. Non ci sentirai mai parlare della Route 66 o di Sweet Louise come fanno certe band britanniche, che si ispirano a un sacco di musica americana in particolare. Questo va bene per loro, ma non vuol dire niente per noi.
Robbie: Sono fiero del fatto che siamo rimasti sempre fedeli a noi stessi. Non siamo mai usciti dalla nostra strada per seguire alcuna moda particolare e non ci siamo mai vergognati di fare la musica che volevamo, anche se siamo quasi sempre stati disperatamente fuori moda se paragonati a ciò che è la “scena”. Questo ha portato qualcuno a ignorarci in quanto derivativi, ma non la vedo per niente in quel modo. Siamo finiti per fare arte che conta facendo ciò che amiamo. Ad altre band, che si suppone siano più originali di noi, manca la nostra profondità emotiva. Anche se rimaniamo una piccola band, almeno possiamo essere felici di essere genuinamente amati dai nostri fan, e che noi stessi amiamo la musica che facciamo.

Le vostre canzoni condividono le vibrazioni musicali di diversi decenni, unendo insieme il summer pop dei Sessanta e Settanta e il bagliore alternativo degli Ottanta e Novanta. In quale era musicale vi immaginate realmente?
Robbie: La buona musica è senza tempo. Fare musica ora ci dà il vantaggio di poter trarre ispirazione da diversi artisti e generi lungo grandi intervalli di tempo.
Oliver: Piace a tutti noi un grande insieme di musica da tutti i decenni, dal blues primitivo di Robert Johnson a dischi più nuovi, come quelli di Daniel Avery. Lungo la strada ci sono influenze come Beatles, Bowie o i Velvet Underground, ma non ci piace allinearci o definirci rispetto a un’era, ci vediamo come una band del nostro tempo, sperabilmente con qualità senza tempo. Amo davvero band degli 80 come i Go-Betweens e i Chameleons, le quali Robbie per esempio non conosce troppo, ma sarà entusiasta di qualche vecchio disco country o blues durante le prove e io non avrò idea di cosa siano. Jon e Brendan porteranno diverse influenze anche loro, ma non cerchiamo mai di copiare o imitare, incorporiamo suoni così come pensiamo sia giusto per un pezzo. Le influenze sono tutte importanti, ma certamente non ci definiscono.

Siete stati fedeli alla vostra idea di musica e suono, in tutti i vostri tre dischi. Come vi sentite rispetto alla scena musicale che vi circonda, in continua evoluzione?
Robbie: Come ho detto prima, non mi accorgo assolutamente di quale debba essere la scena musicale attuale. Voglio solo fare musica che riflette la mia vita il più onestamente possibile. Mi rendo conto che questo potenzialmente ci rende molto poco commerciali e meno portati a “riuscire” nella scena musicale, ma la nostra musica prende forza dalla sua verità emotiva, e questo dovrebbe essere protetto il più a lungo possibile, credo.
Oliver: Ascoltiamo tutti nuova musica a vari livelli, ma questo non influenza la nostra musica né più né meno di musica di cinquant’anni fa, le buone canzoni sono buone canzoni e questo è tutto ciò che importa per noi. Non ci interessa seguire le mode. Il successo per noi è scrivere e registrare grandi pezzi.

Qual è la canzone pop perfetta per voi?
Robbie: Wow! Domanda difficile. Ci sono così tante contendenti. Procol Harum, “A Whiter Shade Of Pale” sarebbe la più evocativa della mia infanzia, ma credo che quella da cui sono più ossessionato al momento debba essere “Strawberry Fields Forever” dei Beatles, ma allora mi starei dimenticando “Wake Up Little Susie” degli Everly Brothers e “Great Balls Of Fire” di Jerry Lee Lewis, e…”
Oliver: Non penso che tu possa sbagliare di molto con “Help” dei Beatles, “Train In Vain” dei Clash o “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Division. Sono tutte perfette dall’inizio alla fine e si meritano ascolti ripetuti. Ma poi stavo giusto ascoltando “Highway 61 Revisited” e c’è una canzone migliore da ascoltare a ripetizione di “Like A Rolling Stone”?
Brendan: Mmm, “Here Comes Your Man” dei Pixies e “Love My Way” degli Psychedelic Furs. Ho pensato di lasciar fuori i Beatles, non volevo essere troppo banale!
Jon: “Up Hill Backwards” di David Bowie, per me. Bowie al suo meglio. Grande melodia, grandi testi, con una svolta di bizzarria.

Sembrate piuttosto appassionati delle radio e dei passaggi in radio – avete recentemente rilasciato un “single edit” di una delle canzoni in “We Don’t Know Where We Are”. È una fissazione nostalgica o pensate davvero che possa ancora aiutare, oggi?
Oliver: Stiamo pubblicando una nuova versione di “What Was That Sound?” perché avevamo nuove idee per il pezzo che funzionavano bene, immagino che queste nuove idee facessero suonare la canzone più da singolo per le radio – da qui la release. La radio è importante per noi, siamo una band che lavora insieme con un budget risicato, e così, insieme ai blog e alle riviste, è il modo migliore per noi per far arrivare la musica alla gente in tutto il mondo. Siamo tutti cresciuti ascoltando la radio, trovando nuova musica e ascoltando le nostre canzoni preferite, quindi essere in radio ed essere mandati in onda da DJ coi quali siamo cresciuti è importante per noi, è una bella soddisfazione se non altro. Forse c’è un elemento di nostalgia in questo, ma trovo ancora l’idea di essere mandati in radio davvero eccitante.
Robbie: Penso che i singoli possano davvero aiutarci a introdurre persone ai nostri suoni e a mantenere i fan attuali interessati, ma i singoli devono essere speciali per contare. Per esempio abbiamo pubblicato un paio di singoli che non compaiono su nessun album (uno di questi è un album natalizio!), così come ci assicuriamo che le nostre release abbiano almeno una b-side esclusiva o che siano parte di un Ep a tiratura limitata. Il singolo attuale è eccitante perché ha una parte di tromba suonata live da un nostro collaboratore abituale, John Whittaker, ma dopo aver finito l’album. In effetti suonava così bene che abbiamo prenotato lo studio il prima possibile così che altre persone potessero sentirla…”

Sembrate una band piuttosto DIY, ma il suono dei vostri dischi è cresciuto fino al punto della perfezione. Come fate?
Robbie: Magia! Una ricetta segreta ma con una paio di ingredienti chiave… 1) Abbiamo la fortuna di lavorare da tanti anni con il fantastico Jim Riley ai Ranscombe Studios, che ci ricorda costantemente dell’importanza di catturare lo spirito della performance live per dare vita ai nostri dischi - ha uno studio analogico a Rochester quindi non c’è nessuna operazione di “taglia e incolla” da fare. Se la presa non è buona va rifatta e basta. 2) Lavorando costantemente per ore innumerabili lungo tanti anni per affinare il nostro suono, il canto e la scrittura. Posso dire onestamente che mi ci sono voluti quindici anni di band spazzatura prima di iniziare a diventare bravo. Spero solo che non abbiamo raggiunto il nostro picco e che possiamo continuare a migliorare ancora per molti anni (e dischi!) a venire…
Oliver: Siamo una band DIY, finanziamo i nostri dischi con i soldi dei concerti e delle vendite di dischi. Non ci sono capitali di grandi etichette per il tempo in studio. Questo vuol dire che registriamo molto più velocemente rispetto ad altre band. I nostri dischi richiedono dai cinque ai dieci giorni per essere registrati, alcune band si prenderanno sei mesi in studio per fare un disco. Ma ci piace il vincolo di tempo, per noi metterci sei mesi per registrare un disco non ha senso. Andiamo in studio con idee ben definite e tracce completamente arrangiate, ci piace avere una buona presa, con energia e sentimento, che è una cosa più importante per noi della perfezione. Ci arriva dell’aiuto lungo la strada, il nostro amico Shaun ha pubblicato questo disco sulla sua Vacilando 68 Recordings, è un accordo molto amichevole, Shaun fa molto per noi e riceve molto poco in cambio!

Spendete molto tempo in studio, o siete più una live band?
Robbie: Non abbiamo molti soldi per cui ci rechiamo in studio solo quando siamo sicuri di poter essere efficienti e produttivi. Arrivare a quel punto richiede un sacco di prove e duro lavoro, il che sembra suggerire che siamo più una live band. Penso che sia più complesso di così, tuttavia. Penso che se vieni a vederci suonare dal vivo sentirai l’energia e la passione che ci mettiamo nel suonare le nostre canzoni, sebbene possano non suonare necessariamente come su disco. In effetti penso che riusciamo dove altre band falliscono, nel senso che possiamo fare un disco che suona indipendente dal nostro sound live. Non proviamo semplicemente a suonare live su nastro, chiamandolo “album”. Vogliamo fare un disco che vive e respira da solo.
Oliver: Spendiamo più tempo a scrivere e provare che a registrare. Come ho detto, trascorriamo solo ridotti periodi di tempo in studio. Ma ci piace molto suonare dal vivo e siamo forse una band diversa dal vivo rispetto ai dischi. Dal vivo siamo più intensi, c’è un elemento di aggressione, sebbene manteniamo la nostra sensibilità pop.

Discografia
 From Rubble Rises... (2010, self-released) 
 At The End Of A River, The Sea... (2012, self-released) 
 We Don't Know Where We Are (2014, Vacilando '68) 
pietra miliare di OndaRock
disco consigliato da OndaRock

Streaming

If You Could Stand Up (You'd Walk Away)
(da From The Rubble Rises..., 2010)

Three Ships
(da At The End Of The River, The Sea..., 2012)

The Story Of My Life 
(da At The End Of The River, The Sea..., 2012)

 

Here It Comes
(da We Don't Know Where We Are, 2014)

Doubt
(da We Don't Know Where We Are, 2014)

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