06/03/2013

Everything Everything

Tunnel, Milano


di Stefano Macchi
Everything Everything

Milano, 06-03-2013

Piove, ha piovuto e pioverà, pare, per le prossime giornate. Dopo aver tranquillamente sorvolato un "blocco di Municipale", con quella nonchalance tipica delle "brave persone", siamo entrati asciutti per metà nel Tunnel "sotterraneo" ad ascoltare, guardare, scolare gli Everything Everything da Manchester, Uk.
Si potrebbe esordire con il proverbiale "piove sul bagnato" nell'introdurre la performance dei quattro che vivono a Manchester, ma che per precisione geografica provengono da zone diverse della terra dei Lord, dal Tynedale al Kent; in effetti, la prova ha confermato le aspettative per una band che dalla tecnica esecutiva, dalla commistione di generi e dai virtuosismi armonici imbastisce il proprio cavallo di battaglia. I "brutti" - ebbene si, anche il turnista alle tastiere lo è - sono impeccabili agli strumenti, straordinari nel groove e nel feeling; emanano calore umano atipico se confrontato con la stereotipia che vuole la british manner riservata e asciutta e perdono l'orientamento in sporadiche circostanze, perlopiù vocali e di gestione del palco.

Il concerto è aperto dalla sognante "Undrowned", intrecciata nei movimenti di tastiera e chitarre, le quali danzano nella stanza buia del locale meneghino; Higgs cerca da subito lo svolgimento del gomitolo vocale, ancora troppo stretto in gola e che si riannoda ancor più vigoroso nel momento in cui il frontman tenta di scioglierlo, prima dell'esplosione finale di un pezzo che, ai nostalgici, ricorda gli Emerson, Lake & Palmer di "Pictures At An Exhibition".
"Kemosabe", il primo singolo estratto dall'album "Arc", non si fa attendere e il pubblico ringrazia non appena ode il richiamo tribale delle tastiere, in uno degli attacchi rock più belli degli ultimi tempi. La chitarra di Robertshaw è di notevole caratura e le qualità osservate si mantengono tali per tutta l'ora e un quarto di concerto; Higgs fatica ancora a trovare il bandolo della matassa del falsetto, sebbene i botta e risposta tra sé e sé, più parlati che cantati, siano contraccolpi entusiasmanti, testimoniati dallo scuotere circolare dei presenti, cantanti divertiti nel ritornello "My Kemosabe I'm Alone/ I'm Alone".

Toni decisamente più cupi in "Torso Of The Week", che passano oltre grazie al richiamo immediato delle chitarre squillanti di "Feet For Hands" e della voce di Higgs, che riesce finalmente a esprimersi compiutamente, in una traccia che ricorda molto i Coldplay di "Parachutes" e i Radiohead di "Pablo Honey", sezionata ritmicamente dalla perfetta esecuzione di Spearman alla batteria. Salto temporale con "Final Form", canzone presente in "Man Alive", primo album della band uscito a metà 2010, ben eseguita ma poco degna di nota e probabilmente scelta per risaltare, invece, l'orchestrale "Duet", secondo singolo estratto da "Arc": un tripudio di viole e contrabbassi sintetici, grancasse, piatti e solletico di chitarre, sino a giungere alla concertazione sincretica finale che fa gongolare il pubblico e anche gli artisti. Vetta della performance raggiunta.

Rilassamento con la successiva "Armourland", buon mix tra r'n'b statunitense, dream-pop e trip-hop, che esalta talune qualità del bassista Pritchard, ma evidenzia tratti quantomeno discutibili; indubbie le qualità sullo strumento, offuscate però da un protagonismo talvolta eccessivo e fastidioso, soprattutto nei momenti di scambio di sguardi col pubblico e nella gestione adolescenziale del palco, condivisa in questo caso con Higgs che propone atteggiamenti da starlette. Tastiere e fischietti altro non possono annunciare che "Schoolin'", dimostrazione magistrale di preparazione musicale tecnica e teorica (Higgs e Pritchard sono bacchelorati alla Salford University of Manchester) che la band, in aggiunta ai vocalismi isterici intonati da Higgs in "Photoshop Handsome", spara nella "doppietta progressive" che centra il bersaglio.
Ancora storditi dai proiettili veniamo aiutati a rialzare lo sguardo solo quando la batteria elettronica di Spearman dà il via a "The Peaks", una perla raffinata in perfetto stile synth-pop e con alta probabilità la più difficile da interpretare vocalmente da Higgs, per intimità e intonazione: prova superata in maniera brillante, in special modo nel crescendo finale, in cui tastiere e voce creano un impasto elastico, rotondo all'ascolto, proprio mentre le note dolci della chitarra di Robertshaw lo cullano dolcemente.

E dunque, quando il momento pare indirizzare verso altre mete sonore, i quattro schiaffano violentemente un scarica adrenalinica notevole, proponendo in sequenza "Suffragette Suffragette" e "Cough Cough", in cui testimoniano una completezza musicale invidiabile, esemplificata dal ritornello alla QOTSA della prima e dal ritmo trascinante della seconda, dove Higgs batte il proprio entusiasmo s'una pelle di rullante che amplifica l'enfasi già notevole di Spearman. E' una chiusura - prima del classico "rientro" - degna di nota. Potrebbe lasciare soddisfatta la platea per la qualità dei pezzi e per l'intensità d'esecuzione. Come detto, però, i protagonisti rientrano dopo qualche minuto di pausa, trasformando l'area in una sala da ballo anni 70 con il soul-funky di "MY KZ, UR BF", ancora una volta evocativa di band come Elp, Weather Report e per certi versi dei secondi Genesis, post-Peter Gabriel. "Choice Mountain" funge da intermezzo per la vera chiusura del set con l'esotica "Radiant", dalle sonorità indigene ricercate anche da altre band del Regno Unito (alt-J e Maccabees su tutti) e la rapida "Don't Try", in cui i domiciliati di Manchester si divertono a stupire l'Italia con un ritorno alle origini del new pop anni 80: l'intera traccia è sferzata da riff acuminati di chitarra (Prince) e da rientri vocali e cavalcate armoniche tipiche di Duran Duran e Tears For Fears, dove la voce di Higgs ben si comporta, recuperando una prestazione parsa, a tratti, ancora incerta.

La band saluta l'unica data italiana in programma nel tour europeo con una prestazione tecnicamente eccellente, nonostante la giovane età dei componenti, macchiata solo da qualche affanno di Higgs alla voce e da una presenza scenica ancora da perfezionare e da atteggiamenti da popstar confezionata, appresi di sicuro da un'eccessiva osmosi mediatica.

Foto di Valerio Berdini

Setlist
  1. Undrowned
  2. Kemosabe
  3. Torso of The Week
  4. Feet for Hands
  5. Final Form
  6. Duet
  7. Armourland
  8. Schoolin'
  9. Photoshop Handsome
  10. The Peaks
  11. Suffragette Suffragette
  12. Cough Cough
  13. MY KZ, UR BF
  14. Choice Mountain
  15. Radiant
  16. Don't Try
Everything Everything su OndaRock
Recensioni

EVERYTHING EVERYTHING

Raw Data Feel

(2022 - Infinity Industries LLP)
Entrati in una seconda parte di carriera, i mancuniani proseguono con la ricerca di nuove identità ..

EVERYTHING EVERYTHING

Re-Animator

(2020 - Infinity Industries LLP)
Contenuti complessi e atmosfere più soft per il quinto album della band mancuniana

EVERYTHING EVERYTHING

A Fever Dream

(2017 - Sony)
I sogni e le angosce della band inglese nel suo album più meditativo

EVERYTHING EVERYTHING

Get To Heaven

(2015 - Sony)
Prog-pop esagitato e mutante nel terzo disco della band inglese

EVERYTHING EVERYTHING

Arc

(2013 - Sony)
La seconda, altalenante prova dei diavoletti inglesi

EVERYTHING EVERYTHING

Man Alive

(2010 - Geffen)
Un caleidoscopio stilistico di melodie multiple, tra sussulti punk-funk e limpidi tocchi electro-pop

News