Quando arrivi allo Stadio Olimpico e ti ritrovi costretto a parcheggiare a circa tre chilometri di distanza, capisci che potrebbero esserci gli estremi per assistere ad una grande serata. Saranno stati i biglietti messi in vendita il giorno prima a dieci euro (ma che riguardavano soltanto le aree meno felici delle tribune), sarà che si vociferava del fatto che l’evento sarebbe stato integralmente ripreso dalle telecamere per realizzare un Dvd live, sarà semplicemente che i Muse dal vivo sono una grande band che dà sempre ampie garanzie sulla riuscita dello spettacolo, sta di fatto che lo stadio già un’ora prima del concerto era quasi completamente gremito. Tutto ciò nonostante i due più recenti lavori del gruppo non possano certo essere catalogabili sotto la voce “memorabili”, sono anzi i punti deboli di una discografia che è andata perdendo qualità nel tempo.
Eppure il richiamo suscitato dal trio inglese è oramai fortissimo e la schiera dei fan continua ad allargarsi, comprendendo sia i sostenitori della prima ora, quelli che vorrebbero sempre ascoltare tutto “Origin Of Symmetry” e che non abbandonano la band nonostante queste recenti opache prove, sia i nuovi adepti conquistati da certe canzoncine più facilotte e moderatamente mainstream, ma che ben digeriscono anche le sferzate soniche che i tre puntualmente riservano.
Il repertorio proposto alla platea romana (non molto dissimile dal resto delle date di questo imponente tour estivo 2013 che ha già toccato l’Olimpico di Torino con due sold out!) riuscirà a far tutti contenti spaziando dai brani più duri (“Stockholm Syndrome” ed “Hysteria” sono da spellarsi le mani dagli applausi) a quelli più fruibili (“Time Is Running Out”, “Undisclosed Desires”, “Madness”, “Supermassive Black Hole”, giusto per citare alcuni fra i più acclamati), sino a quelli più epici e strutturati (“Knights Of Cydonia”).
Il colpo d’occhio è meraviglioso, ma solo rivedendo il giorno successivo qualche video su YouTube mi renderò conto di aver assistito dalla Tribuna Monte Mario a un concerto completamente diverso da quello che si è vissuto a pochi metri dal palco: se dalle tribune lo spettacolo era portentoso, sul prato il coinvolgimento emozionale ha toccato vertici davvero pazzeschi. Lo show è una mega produzione stile U2 della durata di circa due ore (resterà deluso chi si aspettava qualche traccia un più in occasione della ripresa per il dvd), il palco è iper-tecnologico, dotato di maxischermi giganti e di una passerella che lo collega a una piattaforma posta quasi al centro del campo, spesso raggiunta dalla band per far sentire più partecipi i fan rimasti distanti. Sopra il palco sei ciminiere sputeranno palle di fuoco per tutto lo show, inondando di calde folate l’intero stadio.
Si parte al tramonto con “Supremacy” e “Panic Station”, due estratti dal recente “The 2nd Law”, ma gli animi si riscaldano a dovere grazie alle successive “Plug In Baby” e “Map Of The Problematique”, due fra le loro più belle canzoni di sempre. Matt Bellamy si dimostra spigliato e in gran forma, con quella voce capace di raggiungere senza problemi le note più alte e in grado di sintetizzare i timbri di Thom Yorke e Jeff Buckley in una persona sola, più la ben nota tecnica chitarristica, notevole ma mai onanisticamente fine a sé stessa. Il basso di Chris Wolstenholme è granitico a pare voler sradicare le fondamenta dello stadio, il drumming di Dominic Howard si conferma portentoso e preciso.
Un trio perfetto, rodato da quasi due decadi di percorso comune, che macina vecchie e nuove canzoni in un turbinio che sposa momenti tellurici con altri melodicamente intensi, fra i quali spicca una “Unintended” da brividi (unico ripescaggio dall’esordio “Showbiz”) resa con chitarra e voce.
Lo spettacolo è curatissimo sin nei più piccoli particolari e non mancano colpi di scena ad effetto, come il cannone che durante “Animals” spara soldi finti sul pubblico, deliziosi souvenir con sopra stampati i visi dei tre musicisti, oppure il pallone aerostatico a forma di lampadina gigante (che ricorda tanto letti sospesi e maiali volanti di pinkfloydiana memoria) che fluttua sopra le teste dei presenti con appesa un’acrobata intenta ad esibirsi nelle proprie evoluzioni durante “Guiding Light” e “Blackout”.
Non manca qualche citazione, come nel caso degli omaggi a “The House Of The Rising Sun” ed ai Lightning Bolt, in uno show completo ed esaltante, che dopo le recenti “Survival” e “Uprising”, chiude i battenti con l’acclamato hit “Starlight”. Cala il sipario, e sessantamila visi sprizzanti gioia si indirizzano soddisfatti verso la via d’uscita dopo aver assistito a una grande festa di musica e colori.