Dallo spettatore occasionale all’appassionato e fino all’addetto ai lavori, in futuro chiunque ricorderà l’esatto momento in cui è tornato a godere pienamente della musica dal vivo dopo lo stop imposto dalla pandemia. E non parlo del generico “andare a un concerto”, quanto piuttosto di quel preciso istante in cui tutta la sequenza creativa che parte dall’idea originale dell’artista, passa per la composizione e l’incisione e arriva fino all’esecuzione live è stata di nuovo emotivamente percepibile nella propria interezza, senza sembrare una versione in scala ridotta del possibile.
Io, per me, credo porterò sempre nel cuore il tappeto di suoni sintetici e bassi avvolgenti di chitarra creato da Cecilia Stacchiotti e Stefano Pilia per l’intreccio di voci di Silvia Tarozzi e Valeria Sturba nella versione di “Domina” offerta al pubblico del Centro di Ricerca Musicale Angelica di Bologna in una serata d’inizio giugno.
Uno dei pezzi-chiave di un album, “Mi specchio e rifletto”, fra i più intensi del 2020, che sulle pagine di OndaRock è stato accolto con grande favore e che, per quel che mi riguarda, ha rappresentato uno dei più dolci conforti in musica in una congiuntura storica - la primavera dello scorso anno - in cui ognuno trovava conforto dove poteva.
Un album, quello di Tarozzi, pieno di calore e colore, colto ed epidermico insieme, sospeso tra canzone e improvvisazione, folk e cameristica, che nella sua primavolta in concerto sembra già aver trovato la propria dimensione perfetta anche per il palcoscenico; merito della qualità dei brani della violinista, naturalmente, ma pure del talento degli strumentisti di cui si è circondata in occasione di un evento preceduto da una residency durata quattro giorni.
Se la chitarra idiosincratica di Pilia è ben nota agli appassionati di alternative - Massimo Volume, Afterhours, ma soprattutto In Zaire, Il Sogno del Marinaio, 3/4 Had Been Eliminated e lavori solisti come “Blind Sun New Century Christology” - Sturba è polistrumentista di straordinario valore che sa alternare canto, theremin, violino e oggettistica sonora varia - il duo OoopopoiooO con Vincenzo Vasi e un’infinità di collaborazioni, dall’orchestra di John De Leo fino a quella recentissima con Serena Altavilla. Della parte live electronics della faccenda s’è occupata Stacchiotti - sintetizzatori, tastiere, suoni ambientali - mentre i sax tenore e sopranino di Edoardo Marraffa - attivo da ormai tre decenni sulla scena della musica libera e unico fra i presenti a prender parte anche alle session di studio - hanno regalato alcune delle esplosioni soniche più impreviste della serata, spesso accolte con un sorriso dagli altri musicisti. A dirigerli, Silvia Tarozzi: violinista e compositrice sopraffina che si premura di definirsi “non una cantante”, ma la cui voce gentile ed espressiva mi è parsa integrarsi nel tessuto strumentale con splendida scioltezza dal vivo ancor più che su disco.
In una scaletta che ha visto la riproposizione quasi integrale dell’album, gli occhi si sono riempiti di commozione fin dallo sfregare degli archetti sulle corde in apertura di “Al cancello” - alba dolce che nella mia memoria trova paragone solo negli interludi di “Bryter Layter” - seguita come da copione da “La forza del canto”. A splendere sono innanzitutto le voci: sola e acrobatica quella di Sturba, nei saliscendi bizzosi di una “Siedimi accanto” in cui Tarozzi si prende cura giusto del recitato; collettiva, nel canone ipnotico della title track.
Ma sono poi anche certi passaggi strumentali a rimanere impressi, come l’arpeggio incantatore di Pilia che fa da ponte tra la già citata “Domina” e “Parlavi di un bambino” o il miraggio desertico e dilatato che chiude “Hai nella bocca un silenzio”; o, ancora, come il barrito del sassofono di Marraffa che, sparito per qualche minuto dietro le quinte, riemerge improvvisamente da un’entrata laterale cogliendo di sorpresa il pubblico.
Quando tutti gli elementi convergono, siamo dalle parti dell’Assoluto: è il caso della “Sembra Neve” che chiude il set principale scampanellando giocosa ed epica allo stesso tempo tra il soffio veemente dei fiati e la melodia serena delle tastiere, prima che una radiolina s’intrometta aggiungendo emozione all’emozione, in una maniera che a ogni ascolto mi ricorda la “Defenestrazioni” di Teho Teardo e Blixa Bargeld.
Richiamato a gran voce dai presenti che riempiono la sala, l’ensemble regala in chiusura un bis che comprende una rilettura del compositore americano Butch Morris e una traduzione di Milton Nascimento.
Un’ora di esibizione senza pecche e per lunghi tratti commovente, che di volta in volta ha portato il corpo intero a oscillare in trance, le dita a tamburellare sulle gambe seguendo il pizzicato dei violini o un tempo dettato dal sassofono, la voce ad accompagnare certe arie soavi. Un’ora di esibizione capace da sola di riconciliare con il piacere fisico del partecipare: e che questo sia successo proprio con la musica di Silvia Tarozzi mi pare un privilegio da conservare con cura fra i ricordi più cari.
(Fotografie di Luca Vitali)