Inner_Spaces ha chiuso la sua ricca stagione autunnale 2024 – che ha visto avvicendarsi negli spazi dell’Auditorium San Fedele artisti quali Drew McDowall e Lorenzo Senni – con un evento intenso, in linea col desiderio degli organizzatori di mettersi in contatto con strati profondi della nostra interiorità, anche come processo collettivo condiviso. Dopo l’apertura col live soave e brioso della compositrice tedesca Lisa Morgenstern, Kevin Richard Martin, produttore inglese ai più noto come The Bug, presenta dal vivo il suo tributo a Amy Winehouse, portandoci nelle tessiture droniche della sua musica grazie al magnifico impianto Acusmonium Sator composto da 50 altoparlanti, fatto per fruire musica elettronica e di ricerca nelle migliori condizioni di ascolto possibili.
A un certo punto Martin si è sentito “catturato” dalla musica della cantautrice inglese, prematuramente scomparsa all’età di 27 anni come Kurt Cobain, entrambi evocati nelle note del disco dallo stesso produttore, al quale ha dedicato l’album “Black” (2023):
'Black' is a musical eulogy to Amy Winehouse, a heartfelt memorial to a sorrowful demise. It’s an album of predominantly beatless ambience possessed by the ghost of 'Back To Black'. Fragmented moods and hypnotic drones melt together, as its circular beauty is set adrift, floating away into an endless void. Where the original only remains in spirit alone...
Both figures were unarguably gifted, but both left this planet largely without essential support, whilst they were at the peak of their powers and on top of the musical world.
Gone too soon, departed too young, a world-weary voice, carried on a downward spiral, Amy Winehouse seemed trapped in herself destructive descent...
This album is simultaneously a treatise on lovelessness, tragedy and loss, echoing the absence of a support network when it matters most during such a freefall
Martin introduce il suo approccio e i suoi sentimenti nei confronti di Winehouse, evocandone le figura tormentata che ancora oggi, per ovvie ragioni, “incombe” nel nostro immaginario senza “trovare pace” (haunts, come si dice propriamente in inglese), preparandoci a una forma di messa da requiem. Da “Loveless” e “Black” a “To Disappear e “Rest In Peace”, il live scandisce un percorso in cui ciò che è “al di là” e ciò che è “al di qua” si fondono in una dimensione unica: il buio della sala, infatti, costituisce l’ambiente adatto ad annullare la vista, “aprire le orecchie” e sentire sul corpo bassi e drones loopati e stratificati magnificamente dall’impianto, portandoci su quella soglia di comunicazione – adesso, qui e altrove – in uno stato a tratti ipnagogico, come quello che si può esperire in siti archeologici come l’Ipogeo di Malta.
Martin usa un set-up composito, fatto di piatti dove loopare, di effetti a pedale e di un particolare theremin autoprodotto. La voce così personale e riconoscibile di Winehouse non compare nitidamente nel live, ma il suo “fantasma” è presente in frammenti e rielaborazioni elettroniche dal suo brano iconico, che vengono manipolati e dilatati per creare l’intera performance. Più che spettatori siamo recettori di un’esperienza esistenziale unica, in cui collettivamente compiamo un rito che possa conciliare lo spirito di Winehouse, il cui privato è stato “violato” sia in vita sia “a posteriori” in operazioni quali il docufilm “Amy” (2015) o il biopic “Back To Black” (2024).
È un’esperienza semplicemente straordinaria. Oltre quello che ci si aspetta oggi dalla musica, fruita soprattutto dai media digitali (spesso) portatili o dalle (troppo) frequenti condizioni di ascolto insufficienti. Il live di Martin è un’esperienza plurisensoriale che ci mette in contatto con quello che l'archeologo dei media tedesco Sigfried Zielinski definisce il “tempo profondo” dei media, che tocca dalla notte dei tempi l’umanità nella relazione con la Terra e con l’universo. Attendiamo adesso, impazienti, il programma della prossima stagione di Inner_Spaces.
Foto: courtesy Riccardo Trudi Diotallevi