20/09/2025

Sprints

Monk Club, Roma


"Do you play guitar?"

di Irvine Factor

“Qui non siamo all'Auditorium!”, sento dire da un ragazzo al suo amico mentre usciamo a fine serata dalla sala concerti del Monk. La faccia mi sembrava sorridente e non accusatoria, pertanto presumo che Club batte spazio aperto e costoso 1 a 0. Passo indietro. Dalle 19 il giardino del Monk offre i suoi spazi alla festa di inizio stagione di Radio Rock 106.6. Selezioni musicali, presentazione di un libro sulla storia dei Radiohead ("Pop is dead"), contest musicale del Raccoon Music Award (in collaborazione con OndaRock) e doppio live a partire dalle 21.30. I tempi si allungano, i bicchieri si riempiono e la curiosità cresce.

Prima volta a Roma per gli Sprints, band di Dublino che apre il tour per la presentazione del nuovo album “All That Is Overe”, in uscita il prossimo 26 settembre. Siamo abituati da qualche anno al fatto che dalle sponde del Liffey ci sia voglia di far sentire alta la propria voce tra chitarre distorte e linee di basso camaleontiche che si fondono intensamente a ritmi di batteria accelerati. Fontaines Dc e The Murder Capital fanno da apripista a questa nuova ondata post-punk revival e gli Sprints si accodano egregiamente, portando freschezza e genuinità.
Prima di loro, ci sono i Jennifer in Paradise, quartetto alt-rock romano nato nel 2024, che decide di entrare in scena con una versione alterata e punk di “Children” di Robert Miles. Inaspettata, ma un buon riscaldamento. Poi iniziano a suonare, sale in cattedra il cantante, carismatico e frenetico sul palco, che nelle parti più musicali spesso mette il microfono sul petto all'altezza del cuore per indicare che tutto viene da dentro e la loro musica, in effetti, è pulsante, furente, dinamica, potente. Riferimenti al poeta Simone Cattaneo, liriche espressive, introspettive e impetuose, desideri di rompere gli schemi e i princìpi come salvezza per l'Io. Un buon biglietto da visita.

Il tempo di sistemare il palco, qualche chiacchiera da cortile fuori dalla sala, drink al bar, ed ecco gli Sprints carichi e determinati sin da subito. Karla Chubb, frontgirl del gruppo, con al lato un mini-synth in stile Aidan Moffat degli Arab Strap, si prende subito la fiducia del pubblico con “Something's Gonna Happen” e “Descartes”, di nuova e recente produzione, poi “Feast” e “Heavy” caricano una parte del pubblico che inizia a pogare corposamente. Sorrisi e qualche disappunto, ma si segue il flow.
Karla canta “Do you ever feel like the room is heavy? Like the air is hot and the air is sweaty?”, riassumendo e misurando come un cronista sul campo la temperatura in sala e sul palco. Sam McCann, bassista e voce di supporto, il chitarrista Zac Stephenson, che ha preso il posto di Colm O’Reilly, e il batterista Jack Callan suonano compatti e decisi, regalando un sound tra il garage e il post-punk più genuino e vivace. Il basso che ha bisogno del nastro isolante sul ponte delle corde - “D'you have a tape? We need a tape on the stage please”, chiede Karla mentre i suoi capelli rossi si muovono al ritmo dettato dal ventilatore montato sul palco – non ferma la tenacia di questo gruppo, che sa tenere il palco con charme. Dopo la partecipazione a Glastonbury 2025, il Monk potrebbe sembrare una passeggiata, ma loro ci tengono comunque a fare bella figura e anche con una chitarra classica amplificata, che potrebbe stonare in questo teatro di effetti elettronici e reverberi, l'attenzione rimane sempre alta. Si susseguono “Rage”, “Beg”, “Up And Comer”, “Better”, che rimanda a sonorità imputabili, tra i tanti, agli Editors degli esordi e che non limita la ricerca sonora della band irlandese.

Il pubblico risponde entusiasta, gli Sprints hanno portato almeno musicalmente una ventata d'aria fresca in questa Roma ancora afosa. “Desire” è una perla che se non ci piace, a detta di Karla, potremmo allora chiedere i soldi indietro, ma la band è convinta - “Trust us” esclama – e ci ammaliano con una ballata decadente e psichedelica che sembra un flamenco incandescente che nasce e serpeggia dalle viscere della Terra per poi esplodere e sfumare come in un'estasi di piacere e dolore. Su questo pezzo in particolare, la chitarra classica amplificata si slega come un'avanguardia dalla corrente comune. That's punk. Il finale è un omaggio allo stage diving anni 70 e, mentre dal pubblico un giovane risponde alla chiamata di Karla - “Do you play guitar?” - sostituendola sul palco dopo avergli ceduto la sua Jaguar, la frontgirl irlandese si lancia tra il pubblico e lascia andare gli ultimi impulsi d'adrenalina condividendoli con chi la sorreggeva. Il Monk ha aperto bene la stagione concerti e gli Sprints sono da andare a sentire ogni qualvolta si abbia la possibilità di farlo.

***

Garage-punk senza fronzoli

di Mauro Vecchio

Mentre le storiche frequenze di Radio Rock festeggiano il traguardo dei quarant’anni di alta rotazione, i dublinesi Sprints sorseggiano gli ultimi aperol spritz prima di salire sul palco. Forse troppi aperitivi, come ammesso dalla cantante e chitarrista Karla Chubb davanti al caldissimo pubblico romano accorso al Monk Club. A pochi giorni dalla pubblicazione del secondo album “All That Is Over”, il quartetto irlandese proverà a bissare le ottime recensioni del disco d’esordio “Letter To Self”, uscito all’inizio del 2024 sull’etichetta indipendente berlinese City Slang.
Dopo essersi esibiti a giugno sul prestigioso stage di Glastonbury, gli Sprints sembrano entusiasti di essere sbarcati per la prima volta nella Capitale, ovviamente rimpinzatisi di pizza e alcolici dal sapore dolciastro. Poco dopo le 23, cambiato il palco al termine dell’energica esibizione della nuova band alt-rock romana Jennifer In Paradise, la nuova sensazione dublinese attacca con il ritmo tribale e oscuro di “Something’s Gonna Happen”, ammaliando subito il pubblico con un sound che sembra un mix tra Nick Cave e Patti Smith. Si inizia così con il nuovo materiale originale presentato in anteprima, come la furente “Descartes” che si sviluppa in un post-punk industriale con inserti sincopati in stile Fontaines Dc. La successiva “Feast” batte un ritmo ancora tenebroso, aperto da inserti melodici nel ritornello condotto dalla voce quasi isterica di Chubb.

Gli Sprints non avranno probabilmente una variegata gamma di sonorità differenti, snocciolando un garage-punk senza fronzoli in brani come “Heavy”, primo estratto dal disco d’esordio. Karla aizza il pubblico invitandolo alla resistenza in favore della Palestina, lanciando la serratissima “Rage” che trapassa la sala come una lama fredda e iper-tagliente. Su “Beg” compaiono delle trame elettroniche, mentre “Need” viene annunciata come una chicca per la platea romana, un live debut tratto dal prossimo disco in uscita. Una versione in classico stile romanticismo amaro marca eighties, che farebbe presagire una “svolta melodica” sulla scia proprio degli ultimi Fontaines Dc.
Si torna subito a saltare sul punk’n’roll “Up And Comer”, prima dell’accoppiata “Pieces” e “Better” che sfodera un sound grezzo e diretto. Più complesso, invece, quello della successiva “Literary Mind”, che unisce i battiti post-punk a una emozionante malinconia tipicamente irlandese, quasi proveniente dalle verdi colline degli U2.
Con la maglietta degli Iron Maiden intrisa di sudore, Karla prende la chitarra acustica per l’attacco spagnoleggiante di “Desire”, prima di chiudere il set entro un’ora esatta. Il riff tarantiniano di “Little Fix” scatena l’entusiasmo generale, a terminare un set forse un tantino breve, ma decisamente convincente.

Setlist

Something's Gonna Happen
Descartes
Feast
Heavy
Rage
Beg
Need
Up and Comer
Pieces
Better
Literary Mind
Desire
Little Fix

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