Lambchop

I Hope You're Sitting Down [aka Jack's Tulips]

1994 (Merge)
alt-country, folk da camera

I Lambchop sono forse il più grande (e grosso) ensemble rurale americano di sempre. E uno dei più significativi act alt-country degli anni 90 al pari di Wilco e Calexico. Ma se i primi, almeno agli esordi, propendevano per un cantautorato fortemente urbano e influenzato dai grandi gruppi rock degli anni Sessanta e Settanta, e i secondi hanno conferito il respiro di una grande colonna sonora western cosmopolita a un sound di frontiera meticcio e "mexicali", il gruppo di Kurt Wagner è autore di un country terso, arioso e pacato, che coniuga la compostezza formale delle loro radici (Nashville) in chiave neoclassica e orchestrale (simile, ma con un assetto più frugale e sommesso, alla Penguin Cafè Orchestra), ispessito e inscurito da una forte componente jazz (un po' alla The Art Ensemble Of Chicago) reminescente della tradizione americana dei film noir.

I Lambchop nascono nel 1992 dalle ceneri dei Posterchild, originariamente un trio di vaga ispirazione cow-punk formatosi sui banchi di scuola e autore di una serie di cassette circolate fra amici con titoli come "I'm Fucking Your Daughter", che nonostante un paio di componenti in comune (il bassista Trovillion, oltre che naturalmente allo stesso Wagner) non poteva sembrare più distante dai raffinati sviluppi da camera che rientreranno nei progetti futuri del loro leader.

All'epoca dell'esordio "I Hope You're Sitting Down" (1994), il gruppo ha appena completato la prima fase della sua evoluzione e annovera già dieci elementi (completo d'archi, fiati, d'un percussionista che affianca il batterista, della presenza fissa dell'organo e della steel accanto agli strumenti a corde più canonici). Il suono che ne scaturisce è un inedito e ambizioso affresco delle influenze sopracitate: l'impostazione orchestrale dell'organo e dei violini, il modernismo country delle chitarre acustiche, quello più indie-rock delle elettriche e l'afflato jazz del sax e del clarinetto.
Le canzoni, la cui lunghezza media si aggira sui cinque minuti, pur declinandosi in una doviziosa varietà di spunti armonici, conservano un'aura di limpida e solenne classicità, e l'album, nel suo complesso, si presenta ancor oggi come la più nitida istantanea del contributo offerto da Wagner e soci al recupero e all'innovazione della roots-music in una cifra sincretica e contemporanea.

Le composizioni rivelano una particolare creatività anche sotto l'aspetto lirico e testuale, dove Wagner, con il suo stile descrittivo e impressionista (evidente è l'influenza della scrittura beat specie nei frequenti cambi di punto di vista all'interno del discorso, nel passaggio dall'oggettività alla soggettività e, con disinvoltura, dalla prima alla seconda alla terza persona nella narrazione), dà forma a un immaginario quasi "altmaniano" di Nashville e della provincia americana: scene di viaggio, motel polverosi con l'assito di legno, lenzuola strizzate contro letti disfatti, automobili americane intrappolate nel traffico, cappelli con la tesa larga, stivali di cuoio nero e la presenza ricorrente del gas, che avvolge, ammorba, soffoca, come un virus dell'era industriale che va inquinando l'innocenza perduta di questi scenari americani di fine millennio (come la polvere insetticida che piove dagli elicotteri all'inizio di "America Oggi").

"Begin", fra arpeggi indolenti, sonnolenti uggiolii di slide e volute di hammond, apre con una scenetta di vita quotidiana che segna l'inizio di una storia d'amore (forse solo immaginata); "Beetweemus", più carica e rocciosa, consolida un mood country-rock di fine Sessanta che può facilmente ricordare la Band e si segnala per l'eccellente lavoro ai pedali e ai piatti della batteria (di Steve Goodhue); poco più che un antipasto, seppure da ristorante a quattro stelle, perché alla terza già si banchetta col loro primo capolavoro: "Soaky In The Pooper", uno dei brani più amati di sempre dai fan del gruppo, cronaca ironica e prosastica di un viaggio in Lsd, orchestrata fra archi discreti e setosi, arpeggi dai rintocchi quasi psichedelici, meste fanfare da estate dell'amore che sfiorisce nell'autunno della dura realtà, in attesa come un ladro dietro l'angolo dei nostri sogni, e mormorata da Wagner con voce insieme cinica e sognante.
"Because You Are The Very Air He Breathes" riporta in primo piano la chitarra elettrica, cavalcando al passo su atmosfere asfittiche, distorsive, polverose che rimandano al miglior Neil Young; "Under The Same Moon" è una serenata afosa e sonnolenta, sospinta in orbita dagli splendidi intrecci, in cui fiati (J. Marx, D. Varagona, S. Chase), organo (John Delworth) e steel (Paul Niehaus) vibrano all'unisono, e da una splendida linea jazzata di sax che sostituisce la voce solista laddove ci saremmo aspettati di trovare il ritornello. "I Will Drive Slowly" è una highway song esistenzialista, costruita sul fatalismo cool miniato dal sax, sulle response dei cori e sulla ritmica soffusa e sparpagliata. "Oh What A Disappointment" raduna il crescendo di tutti gli strumenti per narrare di un tragicomico e metaforico omicidio/suicidio col gas. "Hellmouth", lungi dal lasciarsi intorpidire nella generale malia pastorale e contemplativa, stacca di brutto, mostrando il lato più trascinante e giocoso del gruppo con una specie di sarabanda rhythm'n'billy, formula replicata più tardi anche in "So I Hear Your Moving".

"Bon Soir, Bon Soir" è il ritratto d'uno scalcinato seduttore virato su armonie sospese fra lounge e bossanova, in cui i fiati hanno definitivamente la meglio sulle chitarre. Con "Hickey", però, ascendiamo nell'olimpo del nuovo country, qualsiasi cosa questa etichetta possa o voglia significare: l'arpeggio acustico latineggiante, il jingle jangle leggero dell'elettrica, il puntilismo delle percussioni (Allen Cowery), le strie vaporose dei fiati, per dare forma a una commovente ode alla bellezza femminile che si schiude nella scultura vivente di una sconosciuta assopita in penombra, poesia in musica come non se ne sentiva dai tempi di Leonard Cohen.

La vena letteraria di Wagner si libera dalle metriche del canto in due riusciti spoken word come "Breathe Deep", la storia bizzarra di un uomo solo che riempie la sua stanza di deodoranti d'ogni tipo e libera la loro fragranza nell'aria, taumaturgia olfattiva per un'ignota e profonda ferita del cuore, e "What Was He Wearing", sottofondo d'organo spettrale per dissonanze di chitarra elettrica e screzi free-jazz. Poi riabbraccia la melodia nella sua modulazione più molle e confidenziale in due ballate quasi (im)perfette come l'epica e nostalgica "Let's Go Bowling" e la scintillante lullaby "Cowboy On The Moon" (con lo splendido doppio controcanto di Deanna Varagona, sax e voce femminile). Infine, tace del tutto nella chiusa strumentale di "A Packed Up Song".
Ma ce n'è abbastanza per illuminare una lunga carriera che, fra alti e bassi, si manterrà su livelli di grande pregevolezza fino ai giorni nostri.

05/07/2009

Tracklist

  1. Begin
  2. Beetweenmus
  3. Soaky In The Pooper
  4. Because You Are The Very Air He Breathes
  5. Under The Same Moon
  6. I Will Drive Slowly
  7. Oh What A Disappointment
  8. Hellmouth
  9. Bon Soir, Bon Soir
  10. Hickey
  11. Breathe
  12. So I Hear You're Moving
  13. Let's Go Bowling
  14. What Wat He Wearing
  15. Cowboy On The Moon
  16. Packed Up Song

Lambchop sul web