Pet Shop Boys

Please

1986 (Parlophone)
synth-pop

Questa è la bella storia di un disco nato due volte, un'araba fenice che nella fiabesca perseveranza dei protagonisti raggunge la sua massima sublimazione. Una soap opera in salsa British che arriva al lieto fine solo perché l'industria discografica, una volta tanto, smette i panni del cattivo e investe con intuito geniale su una scommessa che sembrava persa.
È la storia di "Please", che timbra l'esordio di una delle band più longeve e creative di tutta la pop music: ladies and gentlemen, i Pet Shop Boys.

Il primo ciak, chiamiamolo prequel, si gira però sull'altra sponda dell'Atlantico: all'inizio del decennio più edonista e disimpegnato, a New York, inizia a farsi largo un promettente produttore, musicista e compositore. Si chiama Bobby Orlando, nome d'arte Bobby 'O', ed è uno dei pionieri dell'hi-NRG, quella musica un po' tunzettara con bassi pulsanti, vocals in stile new wave e ritmi dance pompatissimi con cassa in quattro. Orlando si inventa letteralmente una band tutta al femminile, le Flirts, formata da ballerine e attricette da quattro soldi con il compito di metterci la faccia (e il corpo). Al microfono si alternano session singer provenienti dalle varie agenzie e lui naturalmente ci mette il carico scrivendo i testi, suonando gli strumenti e arrangiando il tutto. Qui da noi, pochi mesi dopo, certi meccanismi si ripeteranno portando al trionfo l'italodisco (le storie intrecciate di Den Harrow, Tom Hooker ed Enrico Ruggeri sono meglio di un romanzo rosa). Qualche anno dopo, a livello planetario, sarà la volta dei Milli Vanilli.

Il primo frutto di questa female band immaginaria è "Passion". Siamo nel 1982 e in Inghilterra Neil Tennant e Chris Lowe, qualche anno di differenza tra i due ma dance e musica elettronica come denominatore comune, se ne innamorano al primo ascolto. Decidono che il loro primo disco dovrà avere il suono di Bobby 'O' (immaginatevi Brian Eno che, dopo aver ascoltato "I Feel Love" di Moroder, torna in studio da David Bowie sentenziando di aver ascoltato la musica del futuro), naturalmente sotto l'egida del producer a stelle e strisce.
Smash Hits, rivista musicale di cui Tennant è redattore, fornisce l'assist perfetto: c'è da andare infatti a New York per recensire il concerto dei Police, con annessa intervista a Sting. L'occasione, oltre tutto a costo zero, permette finalmente a Neil di incontrare Orlando e quindi di consegnargli l'immancabile cassettina con una decina di demo già registrati. Il materiale è buono, questo il responso dell'oracolo tanto atteso quanto agognato, e così in breve si firma l'accordo che prevede la pubblicazione di un 12" e di un album. In tutto vengono registrate dodici canzoni, che formeranno l'ossatura di "Please" e del successivo "Actually".

Nell'aprile 1984 la prima versione ufficiale di "West End Girls", che di tutti i brani registrati è quello più promettente, vede finalmente la luce. Diventerà un classico nei club di Los Angeles e San Francisco, dove la comunità gay è molto presente; in Europa si fa spazio nelle classifiche dance di Francia e Belgio (due mercati non proprio di tendenza), mentre in Inghilterra viene distribuito solo come 12" d'importazione, senza particolari riscontri.
Il pezzo risente dell'influenza massima del produttore, che di fatto se ne appropria decidendo in prima e unica persona come svilupparlo in studio. Il ritmo è più incalzante rispetto al demo, percussioni e rumori campionati hanno la precedenza e le urla sincopate a cui viene costretto il povero Tennant non aiutano certo a risaltarne la melodia, che rimane relegata in secondo piano. Orlando, infatti, è più elettrizzato dall'idea di un disco di rap cantato con accento inglese, e in questo delirio di onnipotenza anche a Lowe sono lasciate soltanto le briciole, cioè le linee di basso e qualche accordo sparso.
Il fallimento commerciale - la band giustamente crede di avere in mano una potenziale hit - insieme al logorio dei rapporti in studio sono i prodromi della separazione, che viene sancita a inizio 1985 quando finalmente i PSB si liberano, dopo estenuanti negoziazioni, del contratto in essere. Un gentlemen's agreement che prevede per Orlando cospicue royalties sulle future vendite, accordo che a posteriori vedrà vincenti entrambe le parti.
Con una carriera che appare già al capolinea senza nemmeno essere iniziata, i due riconvergono su Londra e, con l'aiuto del nuovo manager Tom Watkins, firmano con la Parlophone, la storica casa discografica dei Beatles.

Per tastare il terreno in madrepatria viene subito pubblicato un altro brano, "Opportunities (Let's Make Lots Of Money)", con l'aiuto di J.J. Jezcalik degli Art Of Noise. Nella Uk chart però non si entra, fuori dai primi 100 e altro flop annunciato.
Per non sparire definitivamente, e a questo punto manca davvero poco, la band decide di puntare le poche fiches rimaste tutte su "West End Girls", una sorta di all in one che però vuole giocarsi a modo suo, registrando da capo il pezzo con un nuovo produttore.
La scelta non si rivela facile, i due puntano sull'emergente Stephen Hague che ha fatto un gran lavoro nei singoli "Hey DJ" dei World Famous Supreme Team e soprattutto "Madame Butterfly" di Malcolm McLaren. La casa discografica, però, vorrebbe un team di produzione già affermato, magari il trio delle meraviglie Stock, Aitken e Waterman, che a metà anni 80 sono già i re mida del pop zuccherato made in England. Alla fine, pur con molte perplessità, in regia viene confermato Hague.

Il lavoro in studio è frenetico, la posta in palio è massima e l'imperativo è vincere (op.cit.). L'impostazione ovviamente rimane quella, e cioè un sontuoso brano synth-oriented influenzato dalla musica hip-hop, precisamente dalla celebre "The Message" di Grandmaster Flash. Linee vocali meno aggressive e un nuovo ritmo propulsivo intrecciato da una bassline più efficace, che sostituisce i beat e i minimal synth sparsi quasi a casaccio della vecchia registrazione. Viene tagliata anche una piccola parte del testo, confermati invece i cori gregoriani creati da Bobby 'O' con l'Emulator (uno dei pochi arrangiamenti rimasti della versione originaria, che i due avrebbero voluto eliminare per discostarsi del tutto dal lavoro di Orlando, ma saggiamente in cabina di regia si decide di lasciarli).
Hague, folgorato dal testo e dall'ambientazione del brano, decide di inserire una lungo intro. Scende in strada con un DAT e registra i rumori di una tipica mattina londinese: stivali femminili che battono sul selciato, clacson che suonano, il traffico caotico e il vociare dei passanti. Addirittura, se si ascolta in cuffia con attenzione, è possibile captare una voce femminile, nei primi secondi, che esclama: "It's Sting!" (Hague all'epoca ha infatti qualche somiglianza col leader dei Police).
"West End Girls" 2 la vendetta parte in sordina, ma settimana dopo settimana scala le classifiche fino a entrare nei top ten a inizio '86. Il passo successivo è il numero uno in Uk, Usa, Canada e un po' ovunque. Un milione e mezzo di copie vendute, ad oggi, che ne fanno il singolo più venduto, più ascoltato e scaricato della discografia a nome PSB.

Con la hit a macinare record su record nelle classifiche mondiali, in osservanza al proverbio del battere il ferro finché è caldo, scende in pista anche "Love Comes Quickly", altro clamoroso midtempo d'atmosfera con un testo che disquisisce sull'ineluttabilità dell'amore, e quindi all'apparenza assai banale ma incontrovertibile. "Sooner or later, it happens to everyone, to everyone", ci rincuorano i Pet Shop Boys, e noi tutti a crederci come atto di fede nei periodi di vacche magre e malinconie latenti. Comunque la si pensi sull'amore, uno dei cavalli da battaglia della prima ora, impreziosito dal sax di Andy Mackay dei Roxy Music, che verrà riproposto nei tour futuri in nuovi e suadenti arrangiamenti, a conferma di una capacità di reinventare il proprio repertorio che rimane unica, in ambito synth-pop.

"Please" (la leggenda narra che la scelta del nome avvenga dopo che migliaia di fan si precipitano nei negozi, a seguito del clamoroso successo di "West End Girls", chiedendo: "Have you got the Pet Shop Boys, please?"), inaugura una serie di album, che continua anche oggi, il cui titolo consta di un solo vocabolo.
Il periodo storico di riferimento, l'humus intorno a cui nasce l'opera, non è di facile lettura. La prima esaltante ondata del pop elettronico si sta esaurendo: Yazoo, Soft Cell, Blancmange non ci sono già più; Ultravox, Abc, Thompson Twins, A Flock Of Seagulls e Gary Numan sono moribondi.
Resistono a fatica i Kraftwerk con il controverso "Electric Cafè", che in realtà è disco dai ritmi e suoni percussivi clamorosamente all'avanguardia (le canzoni intese come melodia però non brillano particolarmente, tranne quel gioiello imperituro di "The Telephone Call"); i Tears For Fears virano sempre più verso un canonico pop-soul, gli Human League rinculano con classe grazie a "Human" e soprattutto a Jam & Lewis, mentre "Black Celebration" dei Depeche Mode di synth-pop classico non ha nulla (ma poi Gore e compagni rientreranno parzialmente in carreggiata con "Strangelove" fino all'apoteosi di "Enjoy The Silence").
In questo quadro abbastanza desolante per le sorti della musica elettronica, si fa largo un nuovo modernariato sintetico che ha come capitani coraggiosi i neonati Erasure di mastro Vince Clarke, i Propaganda della ZTT e i Bronski Beat che si illuminano d'immenso per poi scomparire in un battito di ciglia (in realtà, Somerville col progetto Communards darà poi vita a due album di pregevole fattura), e appunto i PSB, che insieme ai Depeche, ai New Order e agli Orchestral Manouvres In The Dark rimangono oggi, nel 2020, gli unici reali sopravvissuti di quel pirotecnico decennio.

"Please" nasce come scommessa globale, e non soltanto per la sua travagliata gestazione. Prendiamo per esempio la copertina, oggetto infinito di discussioni con label e manager, che vogliono qualcosa di visibile e accattivante, in grado di attirare subito l'attenzione. Ecco, invece, un oceano bianco con una piccolissima foto in mezzo, dove i due sono ripresi inghirlandati di bianco e quindi di fatto invisibili. Come se non bastasse, nome e titolo in caratteri minuscoli in basso.
Quasi un suicidio commerciale, se visto lato marketing; dal punto di vista dei Boys, invece, la volontà rimarcare il più possibile la differenza rispetto alle cover del periodo che fanno gara a essere colorate, dirompenti, sfrontate al limite del kitsch. Nell'edizione francese, in realtà, viene utilizzata la stessa foto ma molto più grande, con nomi e titolo sistemati più in alto, provocando il disappunto della band. Curiosamente, per l'edizione in compact disc più tardi non vengono mantenute le stesse proporzioni del vinile e così la foto praticamente occupa mezza copertina.
I media britannici, sempre molto pronti a pescare nel gossip se non nel torbido, non fanno espliciti riferimenti ai gusti sessuali degli autori. Dopotutto i testi, anche quelli inerenti a storie personali, possono essere riferiti tranquillamente a relazioni etero, e in più i due evitano di proposito ogni commento. L'ammissione di Neil arriverà solamente all'epoca di "Very", quando siamo già nei Novanta inoltrati. Ma non diamo torto a Tennant e Lowe, di questi tempi non è facile avventurarsi nell'argomento, specie in ottica commerciale americana.
Non sono i soli. Anche Marc Almond, per rimanere in tema synth-pop, evita di esporsi ufficialmente, pure se sembra tutto così chiaro. Idem George Michael, per cui invece non è così chiaro. Unica eccezione, Jimmy Somerville che invece urla ai quattro venti la sua omosessualità, in modo quasi sfrontato, con orgoglio.
Ma nonostante la consegna del silenzio e l'ambiguità di fondo, gli indizi ci sono eccome. La cover di "Please", per esempio, che li immortala in languida posa avvolti in asciugamani bianchi, o il testo fin troppo sfrontato di "I Want A Lover". Ancora più esplicita la copertina di "Love Comes Quickly", che ritrae Lowe in primo piano con un cappellino da baseball e la scritta BOY a caratteri cubitali, una delle immagini più iconiche della band in questa fase iniziale. Lo stesso Tennant, molto tempo dopo, considererà quello scatto incredibilmente gay, in grado di rappresentare il coming out del gruppo fin dal primo disco.

Sotto il profilo musicale, l'album è appena più semplice, più naïf se vogliamo, rispetto ai prossimi che verranno, ma comunque in linea con i suoni dell'epoca (i Kraftwerk, si sa, fanno sempre storia a sé). I testi di Tennant, invece, sono già maturi, ironici, a volte graffianti, complici i suoi trent'anni che sono un'eccezione all'età media di un artista al disco d'esordio.
Non sono ancora presenti quelle orchestrazioni che danno il senso di apertura della melodia, vero marchio di fabbrica del duo, che arriveranno soltanto con "Introspective" e la lussuosa produzione di Trevor Horn. Strings sintetiche o addirittura orchestra a trentasei elementi in alcuni concerti speciali, e da cui è stato ricavato pure un album, "Concrete".
La mano di Stephen Hague si può notare soprattutto nell'intreccio tra la bassline e i suoni percussivi e ritmici, un modus operandi presente anche nelle sue produzioni successive, per esempio i New Order di "True Faith", gli Erasure di "The Innocents" e i Communards di "Red".

In realtà, nell'esordio e pure nel successivo "Actually", il fantasma di Bobby 'O' rimane ben presente, e certi brani non si discostano granché dai demo registrati a New York. Per esempio l'opener del disco, "Two Divided By Zero", che se da un lato vuol essere un omaggio - voluto o meno cambia poco - ai Kraftwerk di "Pocket Calculator", per il resto si regge su una complessa struttura musicale creata dal produttore americano (e infatti è l'unico brano del disco dove risulta coautore). La genesi del brano è casuale: si parte da un calcolatore Sharp (modello EL-640) che Tennant acquista come regalo per il padre nel Natale del 1983. Il calcolatore è già programmato per ripetere vocalmente le varie operazioni, e il suono pure scadente è così affascinante che la frase "two divided by zero" viene campionata e ci si costruisce intorno una melodia.
Riciccia come singolo anche "Opportunities", remake del brano pubblicato dopo la firma del contratto con la Parlophone e ora riprogrammato con nuove linee vocali. La canzone nasce su una frase a effetto di Lowe, "let's make lots of money", su cui il socio ricama un testo assai ironico, protagonisti due sfigati che dovrebbero unirsi e trovare il modo di fare una montagna di soldi (sarà la prima di una lunga serie di liriche irriverenti, che non risparmieranno nemmeno gli U2 e in generale i gruppi rock di fama mondiale). Chi scrive in realtà ci trova anche della sana autoironia, perché i personaggi del racconto potrebbero essere tranquillamente loro stessi, animati dalla ferrea volontà di diventare dei famosi rich kid.

Il lato A del disco, quello di maggiore impatto commerciale, comprende tutti i singoli e quindi anche "Suburbia", ispirata dal film omonimo di Penelope Spheeris che porta sul grande schermo la violenza e lo squallore dell'estrema periferia di Los Angeles. Tennant ricama in versi la vita quotidiana dei ragazzi suburbani, dilaniata da guerre tra bande, conflitti generazionali e repressioni della polizia. La single version, prodotta da Julian Mendelsohn e pubblicata parecchi mesi dopo l'album, differisce ovviamente per il mixing, con ritmi molto più potenti e un'atmosfera decisamente più cinematografica e ricca di pathos.
Nel lato B emerge tra gli altri un grande brano di atmosfera, "Violence", midtempo con echi lontani di hip-hop metropolitano, che nasce da un giro di basso del PPG Wave. Incedere ipnotico, ritmiche in primo piano e un testo che fa ancora riferimento a episodi di violenza realmente accaduti, questa volta il conflitto nordirlandese.
Sonorità da gay disco, invece, in "I Want A Lover", uno degli ultimi inni alla libertà sessuale e ai rapporti promiscui occasionali prima dell'avvento di quel buio medioevo chiamato Aids. Curioso l'inserimento di un sample di Lowe alle prese con il trombone, strumento che impara già in tenera età grazie all'insegnamento paterno.
L'episodio più singolare dell'album rimane però "Later Tonight", una delicata ballad - la prima di una lunghissima serie nella discografia della band - registrata in presa diretta con Lowe al piano e Tennant seduto sul trespolo: luci soffuse e atmosfera sognante, l'immagine poetica del vecchio crooner che intrattiene un pubblico attento e partecipe.
A chiudere, un mancato singolo come "Why Don't We Live Together", linee di basso e ritmiche che rimandano a "Into The Groove" di Madonna, sublimate da un ritornello completamente in falsetto.

Ci sarebbe pure un quinto singolo, ma qui il discorso riguarda l'Italia, perché è solo da noi che esce nei negozi il 12" di "Paninaro" (Italian mix, vista l'esclusiva), brano senza troppe pretese che nasce in origine come B-side di "Suburbia".
Complice un viaggio promozionale in quel di Milano, i nostri vengono a contatto con il nuovo fenomeno imperante della cultura giovanile meneghina. Senza entrare in concreto nel come e perché e dove (anzi quello sì, il bar Al Panino in zona San Babila), è sufficiente snocciolare Wham! e Moncler, Duran Duran e Naj Oleari, Madonna e Timberland, cioè gusti modaioli e musicali che non possono lasciare indifferenti i nostri eroi. E così una traccia basica già presente in archivio viene destinata allo scopo, con l'aggiunta di un testo nosense di Lowe che probabilmente ci appiccica le prime cose a caso che gli vengono in mente.
Il pezzo rimarrà nella discografia come episodio di costume, per cui l'aneddoto più curioso riguarda il verso "Armani Armani Armani.... Versace cinque...": il nome di quest'ultimo viene sbianchettato nel lato B del 45 giri, ma nel 12" italiano ci si dimentica di editarlo e quindi lo stilista rimane al suo posto, nonostante non piaccia molto ai due e in più non è mai stato paninaro. Amen.

Il dopo "Please", escludendo "Actually" perché come già detto i due dischi hanno molti punti di contatto, vedrà i Pet Shop Boys entrare in una nuova fase, con "Introspective", un'ascesa che porterà al picco commerciale rappresentato da "Very", mentre lo zenith creativo a detta di scrive e di molti altri, band compresa, rimane l'inarrivabile "Behaviour".
Dopo una manciata di dischi meno riusciti, la rinascita artistica e mediatica con "Fundamental", "Yes" e il trionfo ai Brit Award del 2009. Una storia il cui finale è ancora da scrivere, per una band che merita a pieno titolo di sedersi nell'olimpo del pop mondiale tutto, non soltanto sintetico. Perché può essere relativamente facile indovinare il disco della vita, fare tendenza per un periodo o sperimentare per pochi e non per tutti, ma rimane tremendamente difficile realizzare pop song che arrivano e ritornelli che rimangono, e soprattutto continuare a farlo per quasi quarant'anni.

12/04/2020

Tracklist

  1. Two Divided By Zero
  2. West End Girls
  3. Opportunities (Let's Make Lots Of Money)
  4. Love Comes Quickly
  5. Suburbia
  6. Tonight Is Forever
  7. Violence
  8. I Want A Lover
  9. Later Tonight
  10. Why Don't We Live Together


















Pet Shop Boys sul web