I tanto chiacchierati ritorni dei più fulgidi colleghi Depeche Mode e U2 rischiano di mettere in ombra il nuovo album dei Pet Shop Boys, che regalano una nuova raccolta di inediti (la decima in poco meno di trent'anni di onorata carriera) a tre anni dal precedente "Fundamental". Per l'occasione i leggendari Neil Tennant e Chris Lowe decidono di fare le cose in grande, scegliendo di incidere un album solare e ottimistico, anzi "poptmistico" (il neologismo è rubato a Simon Reynolds), prodotto da Brian Higgins e dal suo acclamatissimo team creativo Xenomania (al quale si deve il successo delle Girls Aloud, sorta di meta-Spice Girls postmoderne che hanno fatto perdere la testa un po' a tutti in terra d'Albione mentre dalle nostre parti rimangono ancora misteriosamente non pervenute), con la collaborazione del vecchio sodale Johnny Marr (qualcuno lo ricorderà già coinvolto nella lavorazione di "Behaviour" del 1990 e di "Release" nel 2002) e del geniale arrangiatore d'archi canadese Owen Pallet.
Se fino a qualche tempo fa la produzione dei Pet Shop Boys poteva essere ancora percepita come uno scherzo frivolo in bilico tra una serigrafia di Andy Warhol e l'effimero fascino consumistico di un oggetto dal design bizzarro, oggi l'influenza del duo elettropop britannico è a dir poco capillare oltre che ampiamente riconosciuta, andando dai Killers agli MGMT, passando per i Royksopp o il recente exploit di band nu-rave come Late Of The Pier e Friendly Fires, per arrivare sino all'ultimo album dei Franz Ferdinand o al freschissimo successo degli Empire Of The Sun, senza trascurare poi fenomeni musicali di proporzioni planetarie come Robbie Williams, Daft Punk o la stessa Kylie Minogue.
Il nuovo album (il cui titolo pare sia ispirato da un sapido episodio della vita coniugale della coppia Ono-Lennon) ci restituisce così una band in buona forma, con belle idee melodiche in testa (come potrebbe essere vero il contrario?) e una cura certosina per le tessiture sonore.
Il singolo "Love Etc.", nella sua aritmetica perfezione, mostra il gusto assai raffinato di questi due aristocratici stilisti del suono, ma altrove riemerge con estrema prepotenza lo spirito più dinamico e dancey dei nostri (ascoltare "Building A Wall" o "All Over The World" per credere!), all'insegna di un synth-pop guizzante e levigato, nella cui flessibile fibra è possibile rintracciare molti dei volti più illustri della tradizione "classica" del genere - dagli Ultravox agli Omd passando per New Order, Gary Numan, gli Abc e i Human League.
Se "Vulnerable" ha il fascino melanconico di un'estate declinante e crepuscolare, in "Beatifull People" si ritrova un vittorianesimo bacharachiano inzuppato nel romanticismo cavalleresco del primo Scott Walker (e il risultato è davvero felice), che fa bene il paio con le architetture decorative della notevole "Legacy" (molto vicina a suggestioni in bilico tra Cole Porter e un suono alla Brill Building), a dimostrazione di una mano compositiva colta e tutt'altro che semplicistica, al di là dell'apparente disimpegno concettuale.
"Yes" si configura così come l'ennesima dimostrazione di stile e superiore intelligenza da parte di un gruppo fondamentale per l'evoluzione linguistica del pop, che ha saputo difendersi con eleganza dall'erosione implacabile del tempo, rimanendo al contempo sempre fedele al "mito" della propria storia musicale, che le cronache attuali ci dimostrano essere tutt'altro che chiusa o superata.
26/04/2009