Tupac Shakur

Tupac Shakur

Un rapper contro tutti

Più che un semplice rapper, una leggenda. Emerso a inizio anni Novanta come "young black male" arrabbiato e amareggiato, ha saputo portare l'hip-hop della costa pacifica nel mainstream. La morte ad appena 25 anni, poi, lo ha trasformato definitivamente in un'icona della pop culture, ben oltre i confini del genere

di Antonio Silvestri

It's just me against the world
Nothin' to lose
It's just me against the world, baby
I got nothin' to lose
It's just me against the world
Stuck in the game
Me against the world, baby

È il sette settembre 1996, siamo a Las Vegas, Nevada. Bruce Seldon incrocia i pugni con Mike Tyson, un incontro valido per il il campionato mondiale dei pesi massimi. Si è arrivati al match dopo che George Foreman ha rifiutato di sfidare l’aspirante al titolo Tony Tucker. Quest’ultimo, conosciuto come “The invisible champion” per aver conservato il titolo dei pesi massimi appena 64 giorni, è in cerca di nuova notorietà e viene accoppiato con un pugile di modesta fama, Bruce Seldon, che riesce a sconfiggerlo.
Mike Tyson è nel suo periodo di ascesa nell’Olimpo del pugilato, vince un incontro dopo l’altro in scioltezza e, per accelerare il proprio trionfo, convince Lennox Lewis a rinunciare a scontrarsi, per la modica cifra di 4 milioni di dollari, così da poter sfidare direttamente Seldon: quest’ultimo è atterrato al primo
round, dopo meno di due minuti, e sarà talmente umiliato dalla plateale sconfitta da ritirarsi per numerosi anni dal circuito dei professionisti.
La storia di Mike Tyson, invece, è degna di un romanzo: riottiene il titolo che aveva perduto, diventa tristemente famoso per un morso all’orecchio di Evander Holyfield e nel 2002 perde il titolo di campione mondiale dei pesi massimi dopo aver subito un knock-out proprio da Lennox Lewis.

 

L’incontro, però, non rimane solo nella storia dello sport, ma trova spazio anche sui libri di musica. Nel pubblico riunitosi all’Mgm Grand di Las Vegas, uno dei più grandi e lussuosi alberghi del mondo, ci sono anche due figure fondamentali per la storia dell’hip-hop: uno è Marion Hugh "Suge" Knight Jr., co-fondatore e amministratore delegato della Death Row Records, l’altro è Tupac Amaru Shakur, uno dei rapper più famosi al mondo.
Entrambi hanno avuto problemi con la legge e sono legati alle
gang losangeline che terrorizzano la città con omicidi, rapine e spaccio di droga. In particolare, la Death Row conta al suo interno diversi membri dei Bloods, street-gang in guerra perenne con gli altrettanto feroci Crips. Quando Tupac Shakur riconosce Orlando “Baby Lane” Anderson, colpevole di averlo derubato poche settimane prima insieme ad altri Crips, lo colpisce al volto avviando una rissa (ripresa dalle telecamere di sorveglianza).
Dopo aver fatto tappa all’hotel Luxor, Tupac e Suge si dirigono al Club 662 per un concerto di beneficenza. Nel tragitto una Cadillac li affianca, il finestrino si abbassa e partono dei colpi di pistola: Tupac viene colpito due volte al petto, una al braccio e una al fianco. Morirà ad appena 25 anni, il 13 settembre 1996, per un arresto cardiaco dovuto alle conseguenze della sparatoria. Pochi mesi dopo, un altro rapper celebrato e famoso, il newyorkese Notorious B.I.G., morirà in un modo simile.
I primi a essere sospettati sono i Crips, in particolare lo stesso Orlando Anderson, il quale però morirà due anni dopo in una sparatoria, senza che il suo coinvolgimento possa essere confermato o smentito dai giudici. Nonostante innumerevoli teorie, testimonianze, dicerie e smentite l’omicidio rimane ancora oggi irrisolto.

 

Al momento della sua morte, il losangelino d’adozione Tupac Shakur ha già pubblicato quattro album e si è fatto strada anche nel mondo del cinema. Ha avuto problemi con la legge, trascorso del tempo in carcere e ha già subito una sparatoria, senza conseguenze gravi, nel 1995. Il suo volto è conosciuto da un pubblico ampio e trasversale, anche perché è tra i protagonisti della rinomata faida all’interno del mondo hip-hop che vede contrapposte le due coste statunitensi, east e west. La morte prematura e violenta, però, ha il potere di trasformare un rapper di talento e di successo in una leggenda.

Diventare 2Pac: dall’East Harlem all’Apocalisse (1971-1991)

 

tupaccorpo1Nato come Lesane Parish Crooks nel 1971, nell’East Harlem, New York City, cambia nome in Tupac Amaru Shakur in onore di un rivoluzionario peruviano. Entrambi i genitori militano nelle Black Panther, movimento marxista-leninista che lotta per il trionfo del black power. Altri familiari afferiscono alla Black Liberation Army, un’organizzazione rivoluzionaria paramilitare che combatte per il nazionalismo nero.
La madre, anche per problemi di droga, porta la famiglia a trasferirsi a Baltimora, Maryland, negli anni Ottanta. Qui, Tupac frequenta la scuola e inizia a giocare con il rap e a coltivare la passione per la musica. Nel 1988 si trasferisce nuovamente con la famiglia, questa volta a Marin City, California.

 

Inizia a esibirsi con i Digital Underground nel 1990, in un ruolo secondario e ancora giovanissimo, ma nel 1991 compare come rapper in “Same Song”, firmandosi 2Pac. Con questo nickname pubblica anche il suo primo album solista 2Pacalypse Now (1991).
I brani commentano la società con un taglio politicizzato e un tono aggressivo, soprattutto nei confronti delle forze dell'ordine. A livello di testi, rimarrà il suo album più schierato e politico, mentre i successivi verteranno sempre di più sulla propria vita e le vicende personali.
Le produzioni sono complessivamente deludenti, con semplici ritmi funk e arrangiamenti poco elaborati, più vicini agli N.W.A. che all'esplosiva miscela cacofonica dei Public Enemy. La protagonista è, tuttavia, la voce del giovane rapper assieme ai suoi testi: è un "giovane uomo nero", come si autodefinisce in un brano, che dimostra di avere già qualcosa del timbro virile e profondo che lo renderà famoso, insieme alle doti interpretative di snocciolare testi violenti quanto riflessioni più drammatiche. Alcuni brani, però, suonano ancora ingenui, anche a causa di metriche e flow non sempre carismatici e affinati.
Dei 13 brani in scaletta, se ne ricordano soprattutto alcuni. Sicuramente l’iniziale “Young Black Male”, perché funge da presentazione della rap persona di Tupac e “Soulja’s Story”, primo esempio di una narrazione più conscious sviluppata anche in “Words Of Wisdom”, da mettere in contrapposizione con le più dirette “I Don’t Give A Fuck” e “Tha’ Lunatic”.
Il brano più citato di questo esordio è però “Brenda’s Got A Baby”, sulla vicenda di una dodicenne incinta che diventa uno spunto per commentare la società e le sue storture. Al netto di un arrangiamento che non è invecchiato bene, con invadenti vocalizzi soul e un
beat generico, questa canzone è la prima dimostrazione che, con la sua capacità di narratore, Tupac può arrivare a un pubblico trasversale.

Una rapstar contro il mondo (1992-1995)

 

tupaccorpo2_01Il secondo album, Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z… (1993) si allontana dalle sfumature conscious dell’esordio per puntare su uno stile molto più esplosivo, ispirato in parti uguali a Ice Cube e ai Public Enemy, tra storie di strada e accuse politiche ma senza disdegnare aperture al mondo più ampio del pop. Il cambiamento è evidente sin dall’iniziale “Holler If Ya’ Hear Me”, che potrebbe uscire da “Fear Of A Black Planet” (1990), e viene confermato dagli stridori che tempestano “Last Wordz” (con Ice-T e Ice Cube) come dalla stratificazione ritmica di “Strugglin’”. A conclusione di una lunga scaletta di ben 16 brani, arriva anche “5 Deadly Venomz”, un’aggressione al microfono variegata dalla partecipazione di numerosi ospiti e da un assortimento di sirene della polizia.
Generalmente più veloce e denso, l’album azzarda anche alcune stravaganze stilistiche, come la voce distorta di “Souljah’s Revenge”, ma soprattutto scrive i primi brani che abbracciano uno stile potabile per il grande il pubblico, come il
crossover con l’r’n’b di “Keep Ya Head Up”, al contempo un manifesto per la comunità nera e un intenso brano a sostegno, ancora una volta, delle donne:

Some say the blacker the berry, the sweeter the juice
I say the darker the flesh, then the deeper the roots
I give a holla to my sisters on welfare
2Pac cares if don't nobody else care
And, uh, I know they like to beat you down a lot
When you come around the block, brothers clown a lot
But please don't cry, dry your eyes, never let up
Forgive, but don't forget, girl, keep ya head up

Un altro singolo rimane nella storia popolare del genere, ed è la festosa “I Get Around”, non a caso il più jazzy e smussato in una scaletta che spesso mira all’estetica gangsta. La sofisticata produzione della D-Flow Production Squad è in questo caso fondamentale per far emergere il potenziale di Tupac come rapstar.

Invece di rimanere ai posteri come uno dei tentativi di collegare il gangsta losangelino con l’hardcore newyorkese, Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z… diventa l’album del grande successo commerciale, che esordisce al numero 24 di “Billboard” e ottiene il disco di platino.
Tupac è credibile quando alza il pugno per protestare contro le ingiustizie della società, ma funziona anche nel ruolo di uomo sensibile e riflessivo, attento al messaggio che arriva al pubblico e armato di una buona dose di scaltrezza nello sfruttare il proprio fascino.

 

Nel 1993 nasce anche il progetto Thug Life, che impegna Tupac e Tyrus "Big Syke" Himes, Diron "Macadoshis" Rivers, il fratellastro Mopreme Shakur e Walter "Rated R" Burns. Pubblicano il solo Thug Life, Volume I (1994), incentrato sulle difficoltà della vita di strada, tra machismo e morbidezze r’n’b e soul.
Il rilassato stile g-funk del primo singolo, "Pour Out A Little Liquor", ben riassume il
sound e lo spirito dell’album, mentre l’arrembante “Under Pressure” rappresenta il lato più spigoloso e duro della formula.
A volte rivalutato a posteriori come una gemma nascosta nella discografia, l’album è piacevole all’ascolto ma non ha nulla di particolarmente memorabile, anche a causa di alcune prolissità (per esempio, i sei minuti di “Cradle To The Grave”) che indeboliscono il risultato finale.

 

Nel 1993 Tupac conosce e diventa anche amico stretto di Notorious B.I.G., ma nel 1994 una sparatoria ai Quad Studios getta un’ombra sulla loro relazione: Tupac si convince che il rapper newyorkese sia in qualche modo coinvolto. Il grande successo si accompagna a problemi sempre più gravi con la giusitizia, comprese accuse di stupro, e a un periodo di incarcerazione.
Il terzo album, prodotto con il
budget proprio delle rapstar, è un evento epocale: Me Against The World (1995) arriva nei negozi quando è ancora in prigione ed è la sua consacrazione nell’immaginario collettivo. Se l’esordio era un album politicizzato, questo è del tutto personale, incentrato sulle proprie esperienze e la propria vita.
Dopo aver e
sordito in cima alla classifica di “Billboard”, dove rimane per quattro settimane consecutive, l’album supera temporaneamente un greatest hits di Bruce Springsteen nelle vendite, a certificare una celebrità ormai di prima grandezza. Nel parlare di se stesso, Tupac trova il suo tono più sofferto e sentito, un modo di fare rap che senza rinnegare le radici ottantiane lo configura come un anticipatore delle tendenze di fine millennio. Più che per la complessità degli incastri, la velocità delle rime o la crudezza delle immagini, Tupac si distingue per un tono che è tanto arrabbiato quanto dolente, sia aggressivo sia malinconico.
C’è in lui la capacità di mettere tutto questo al servizio del pubblico, incontrandone efficacemente la sensibilità, anche con compromessi che, con un pizzico di cinismo, si potrebbero definire ruffiani.
Il primo inno è "If I Die 2Nite", aperto da due versi destinati a rimanere nella storia:

A coward dies a thousand deaths
A soldier dies but once

Su un ritmo quadrato decorato di organi, Tupac scrive un testamento rap, ancora più potente alla luce della prematura morte.

Going insane, never die, I live eternal, who shall I fear?

Seppure cupo nei temi, e spesso esplicito, Me Against The World trova un difficile equilibrio nell'unire beat ad alto volume con sofisticatezze negli arrangiamenti, come nel caso della title track. I frequenti interventi cantati, i sample raffinati e l'intensità blues dei testi sono il cavallo di troia con cui l'estetica gangsta entra nella pop culture.
Il filotto di classici, dopo le succitate "If I Die 2Nite" e "Me Against The World" prosegue con "So Many Tears", altro brano malinconico dalle sfumature lugubri, con campionamenti di Stevie Wonder e Quincy Jones a formare una pasta ammaliante di soul e funk.
Altri esempi di questo blues per gangster, come "Temptations" e "Lord Knows", anticipano il brano più morbido dell'album, "Dear Mama", una dedica in forma di elegante r'n'b alla mamma che si aggiunge ai brani scritti per le donne negli album precedenti, surclassandoli in dolcezza. Nel suo racconto a cuore aperto, Tupac riesce a tratteggiare un'infanzia difficile, tra povertà e tossicodipendenza, scrivendo un inno per tutte le mamme che, tra mille difficoltà, crescono i propri figli in solitudine. Con questo brano Tupac arriva dove i testi espliciti e il sound più gangsta non avrebbero mai potuto, scrivendo una canzone che evita di scadere nel mellifluo solo contrapponendo all'arrangiamento nostalgico e alla dedica caramellosa alcune amare dosi di vita reale. L'epitome di questo equilibrio risiede forse nei versi:

And even as a crack fiend, mama…
You always was a black queen, mama

"Dear Mama" otterrà tre dischi di platino e rimane ancora oggi tra i brani più ascoltati di Tupac su Spotify, dove ha largamente superato quota 200 milioni di ascolti.

Il fatto che l'album prosegua dopo questa dedica è forse anticlimatico e il resto della tracklist soffre il confronto con i classici già analizzati. Anche la sensualità di "Can U Get Away" e il tributo ai suoi miti "Old School", pur provando strade diverse, finiscono più per indebolire che perfezionare un album che, se considerato nei suoi primi nove brani, lambisce la perfezione del genere.
Me Against The World otterrà il doppio platino e sarà incluso anche nel celebre “1001 Albums You Must Hear Before You Die” di Robert Dimery. Il più importante magazine di hip-hop del mondo, The Source, lo inserisce nella lista “The 100 Best Rap Albums of All Time”.

Tutti gli occhi su 2Pac: il doppio album gangsta definitivo

 

tupaccorpo3Dopo che Suge Knight lo aiuta a uscire dal carcere, Tupac firma un accordo con la Death Row che lo obbliga a pubblicare tre album. Superando in ambizione anche Me Against The World, e imponendo un nuovo vertice produttivo per l’intero hip-hop, si opta per pubblicare un album doppio, il primo nella storia del genere.
Il dispiegamento di mezzi è impressionante, con colossi come Dr. Dre, Snoop Dogg, George Clinton, Method Man e Redman che contribuiscono alla stesura e produzione dei 27 brani in scaletta. I produttori principali, Johnny "J" e Daz Dillinger, optano per ampi prestiti funk e soul, costruendo arrangiamenti sfarzosi.
Il titolo All Eyez On Me (1996) riassume anche l’egolalia e la vanità di Tupac in questo periodo, ben lontana dalle tematiche conscious di un tempo. Più sfrontato che mai, il rapper opta per un’estetica decisamente più gangsta, trasformandosi in un monumento vivente della West Coast, come dimostra anche il gesto della “w” in copertina. Il manifesto di questa trasformazione è il primo brano in scaletta, “Ambitionz Az A Ridah”:

I won't deny it, I'm a straight ridah
You don't wanna fuck with me
Got the police bustin' at me
But they can't do nothin' to a G

La spavalderia mostrata in questo classico del gangsta-rap è anche un modo per sottolineare agli ascoltatori la maturità di Tupac come rapper, giunta a pieno compimento proprio nel 1996. Il brano, con oltre mezzo miliardo di streaming su Spotify, ha il pregio di riassumere in meno di cinque minuti l’estetica adottata nel doppio album ed è un passaggio fondamentale per comprendere l’hip-hop californiano del periodo. Altri pezzi sparsi nei due dischi rafforzano l’immagine di un Tupac violento e aggressivo, come "Only God Can Judge Me" (feat. Rappin' 4-Tay), utilizzando anche produzioni innovative, come quella elettronica che DeVante Swing confeziona per “No More Pain”.
L’altro lato di questo stile di vita
gangsta è lo scintillante edonismo di “All About U” (feat. Snoop Doggy Dogg, Nate Dogg, Dru Down), “How Do U Want It”  (featuring K-Ci & JoJo) e soprattutto “California Love” (feat. Dr. Dre e Roger Troutman). Quest’ultima, qui in versione remix, è già diventata uno degli inni del rap californiano nel 1995, grazie anche a un celeberrimo intervento al vocoder di Roger Troutman e a una lussureggiante produzione firmata da Dr. Dre, che sovrappone synth, voci soul e un ritmo ballabile. La versione remix, invece, è firmata dal produttore Laylaw.
Dr. Dre firma comunque uno dei classici dell’album, “Can’t C Me”, con George Clinton ospite per un
g-funk da manuale. La veloce e disimpegnata “What’s Ya Phone #” (feat. Danny Boy) è il passaggio che mostra il lato più piacione di Tupac, mentre "Thug Passion" (feat. Jewell, Dramacydal e Storm) esagera così tanto da sfociare nel ridicolo.
Per completare il ventaglio stilistico, arrivano brani più malinconici e nostalgici, come “Life Goes On”, "Tradin' War Stories" (feat. Dramacydal, C-Bo e Storm) e “Ratha Be Ya Nigga” (feat. Richie Rich); si scade nel mellifluo in “I Ain’t Mad At Cha” (feat. Danny Boy).
C’è un ideale passaggio di testimone in "2 of Amerikaz Most Wanted", in coppia con Snoop Dogg, e la
title track con Big Skye aiuta, quasi a fine scaletta, ad abbracciare al meglio l’intero progetto dopo oltre due ore di ascolto.

 

All Eyez On Me è un album che è rimasto nella storia dell’hip-hop per la sua smisurata ambizione, un tentativo di superare i predecessori con un’opera doppia che potesse presentare un nuovo Tupac, spavaldo e gangsta. Inteso come prodotto dell’industria musicale, è ancora oggi qualcosa di eccezionale per il dispiego di mezzi, le proporzioni colossali e l’imponenza del risultato.
Dal punto di vista della carriera di Tupac, questo quarto album avrebbe potuto essere una rinascita dopo il periodo travagliato di
Me Against The World, abbracciando l’estetica dell’hip-hop californiano e traghettandolo eventualmente nel terzo millennio. La morte prematura, però, ha trasformato All Eyez On Me in un testamento artistico che fotografa Tupac al massimo della forma come rapper, pienamente in controllo della tecnica ma anche capace di mostrarsi emotivo e sensuale.
Detto questo,
All Eyez On Me è un album che fatica a giustificare i suoi 132 minuti totali di durata. Proprio perché alcuni brani sono classici del genere, è difficile ignorare la presenza di episodi minori, che tradiscono una progettualità confusa o, forse, la necessità di giustificare il formato doppio. Se il primo disco, che contiene 14 brani, è notevole anche se preso a sé, il secondo si apre con l’eccezionale “Can’t C Me” ma fatica a giustificare altri 13 brani. Questo senso di prolissità è acuito dalla generale tendenza delle canzoni a distendersi oltre i cinque minuti (in ben 12 casi) e persino oltre i sei (in due episodi).

 

Il giudizio su All Eyez On Me è quindi complesso da formulare, frutto della sensibilità nel soppesare elementi contraddittori. Sicuramente l’album ottiene un particolare valore anche come opera di riferimento al momento della tragica sparatoria del 7 settembre 1996, adombrando nel contemporaneo il peso degli album precedenti di Tupac. Anche questa tragica circostanza contribuisce all’eccezionale successo commerciale, con l’ottenimento dell’ambito disco di diamante in patria.
Proprio per la tragica fine che ha incontrato Tupac, e per quella drammaticamente simile di Notorious B.I.G.,
All Eyez On Me segna anche un punto di rottura nel mondo dell’hip-hop più aggressivo.
All Eyez On Me è etichettabile come l’album definitivo, se non del gangsta-rap, almeno di un certo tipo di gangsta-rap. Nel lungo percorso che collega il singolo “6 In The Mornin’” (1986) di Ice-T, il primo classico del genere, a All Eyez On Me si può tracciare una parabola che si conclude con la morte di Tupac. L’hip-hop più violento ed esplicito, tutt’altro che scomparso, dovrà cambiare pelle per adattarsi al contesto mainstream in cui rapper come Tupac lo hanno condotto. Sarà l’album “No Way Out” (1997) di Sean “Puff” Daddy a sancire simbolicamente questo cambiamento, indicando il sound di compromesso ideale per arrivare in cima alle classifiche.

 

Al momento della morte, Tupac ha già concluso il terzo album per la Death Row, pubblicato con lo pseudonimo di Makaveli e intitolato The Don Killuminati: The 7 Day Theory (1996). Frutto di un lavoro intensivo di appena sette giorni, esplora soprattutto il lato più violento e oscuro della vita da gangsta, ed è un lavoro che è stato spesso letto alla luce di quanto accaduto al rapper. La lugubre “Hail Mary”, con rintocchi gotici, e l’energica “Toss It Up”, una versione più muscolare di “California Love”, sono due dei brani maggiori.
L’inno “To Live And Die In L.A.” può suonare fuori posto in una scaletta così cupa, ma rappresenta un ultimo esempio del Tupac più malinconico. “Me And My Girlfriend” è invece il gangsta-pop del quale era capace, in uno dei suoi vertici: un brano così abile a equilibrare potenza e potabilità da essere stato ripreso da Jay-Z nel 2003, a tributare una capacità di essere trasversale rimanendo credibile che il rapper di Brooklyn ha portato ai massimi livelli.
Più scarico di All Eyez On Me e bollato all’uscita come una mera operazione di sfruttamento della celebrità del rapper prematuramente morto, The Don Killuminati manca della grandeur del suo predecessore, il che non è necessariamente un difetto, ma non merita di essere trattato come un album da escludere dagli ascolti di chi voglia conoscere Tupac. Si tratta, piuttosto, dell’ultima opera di inediti per la quale abbia senso parlare di una discografia che non sia speculativa.

Tupac dopo Tupac: gli album postumi, fra tributo e sfruttamento

 

tupaccorpo4Il sesto album in studio, il doppio R U Still Down? (Remember Me) (1997), voluto dalla madre Afeni Shakur Davis, raccoglie materiale inedito degli anni precedenti. “Hellrazor”, “Definition Of A Thug Nigga” e la più impegnata “16 On Death Row” sono alcuni dei brani con maggiore potenziale dei 26 in scaletta, ma anche loro sembrano ancora da affinare per essere considerati al pari dei suoi classici. In alcuni casi, le scelte produttive sono quantomeno curiose, come il reggae con voce camuffata di “When I Get Free” o la scelta di inserire un interludio, "Where Do We Go From Here”, di quattro minuti e mezzo.
Soprattutto, questi brani riletti senza il consenso di Tupac, provenienti da periodi creativi molto diversi, suonano come un brodo allungato che ha l’acre retrogusto dello sfruttamento commerciale, a partire dal titolo e passando per un singolo come "I Wonder If Heaven Got A Ghetto", presentato addirittura in due versioni (come accade per "When I Get Free").

 

L'operazione continua con Until The End Of Time (2001), che raccoglie remix e inediti. "Ballad Of A Dead Soulja", "Fuck Friendz" e "Breathin'" (feat. Young Noble, Napoleon, Kastro & E.D.I.) sono i brani più interessanti dell'ennesimo doppio album, inutilmente prolisso. Si triplicherà con Better Dayz (2002), diviso in un disco più gangsta e l’altro di più docile r’n’b e pop-rap.
Solo
Pac’s Life (2006), dieci anni dopo la morte, porrà fine a questo filotto di pubblicazioni postume, collezionando altri 13 brani che vedono il rapper duettare con colleghi che poco hanno da spartire con lui, da Ludacris a T.I. passando per Ashanti, su produzioni che non ricordano quella originale di Tupac.
Se esiste un confine oltre il quale il recupero di materiale d’archivio e la sua rielaborazione diventa puro sfruttamento, in questo caso è stato decisamente superato. Sfruttamento che supera ogni confine con
Nu-Mixx Klazzics (2003) e Nu-Mixx Klazzics Vol. 2 (2007), che rimaneggiano pesantemente le registrazioni originali per proporre nuove strumentali, duetti inediti e ospitate inattese.

 

Eminem produce Loyal To The Game (2004), con registrazioni di Tupac immerse in produzioni molto più moderne, con numerose ospitate di rapper. Più che nella discografia di Tupac, questo esperimento postmoderno di impiantare vecchie registrazioni su beat affini alle produzioni della Shady/Aftermath andrebbe considerato una stravaganza del catalogo di Eminem.
Arrivano anche, cosa più unica che rara per l’hip-hop, dei documenti live: 2Pac Live (2004) e Live At The House Of Blues (2005) sono da consigliare solo ai collezionisti.
A queste pubblicazioni si aggiungono anche delle letture di alcune poesie del rapper, con le voci di altri artisti più o meno famosi:
The Rose That Grew From Concrete (2000) è così un tributo che commuove soprattutto per il cast accorso per l’occasione, ma si fatica a considerare questi testi poetici poco più che una curiosità per i completisti di Tupac; The Rose, Vol. 2 (2005) replica la formula, togliendo anche quel poco di effetto emotivo che suscitava il primo capitolo.
Il doppio
Greatest Hits (1998, disco di diamante in patria), con quattro inediti, ha il pregio di riassumere l’intera carriera in un sontuoso susseguirsi di hit e classici del genere, con l’importante presenza anche del mix originale di “California Love”. È un punto di partenza perfetto per i nuovi ascoltatori, che contiene anche "Changes":

I see no changes, wake up in the morning and I ask myself
Is life worth livin'? Should I blast myself?
I'm tired of bein' poor and, even worse, I'm black

Meno essenziali la compilation Beginnings: The Lost Tapes 1988–1991 (2007), che raccoglie brani del periodo precedente all'esordio, e le varie The Prophet: The Best Of The Works (2003), The Prophet Returns (2005), Best Of 2Pac (in due volumi, 2007) che replicano la raccolta di successi senza superare il Greatest Hits del 1998.

 

Approfittano delle numerose pubblicazioni postume anche gli Outlawz, una formazione di cui Tupac ha fatto parte dal 1995 in poi. Mai arrivati a nessun album fino al 1999, rimediano con Still I Rise. Nonostante il rischio di bollarlo come l’ennesimo album speculativo, si tratta di un esempio di gangsta-rap che inserisce alcune delle ultime registrazioni di Tupac nel contesto di una scaletta che, lungi dallo stupire, rappresenta un tardo esempio di questo stile di hip-hop. “Letter To The President”, “Hell 4 A Hustler” e “Killuminati” sono all’altezza dei brani minori della discografia principale.

 

La vita di Tupac, e la sua tragica morte, sono state anche trasposte al cinema: Tupac: Resurrection è un documentario del 2003 la cui colonna sonora sfrutta molto brani editi e qualche inedito minore.
Il proliferare di pubblicazioni postume, per quanto a tratti configurabile come il più sfrontato degli sfruttamenti, è una manifestazione dello status di icona a cui Tupac è assurto. Molte di queste pubblicazioni hanno ottenuto notevoli risultati commerciali, contribuendo a renderlo uno degli artisti con i risultati di vendita più alti di sempre e a corroborarne la presenza nella cultura popolare, ben oltre i confini dell'hip-hop.

Tupac Shakur

Discografia

2Pacalypse Now(TNT/Interscope, 1991)
Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z...(TNT/Interscope, 1993)
Me Against The World(Interscope, 1995)
All Eyez On Me(Death Row, 1996)
The Don Killuminati: The 7 Day Theory(Death Row/Interscope/Makaveli, 1996)
R U Still Down? (Remember Me)(compilation, Koch, 1997)
Greatest Hits(compilation, Amaru/Death Row/Interscope, 1998)
Still I Rise(con gli Outlawz, Interscope, 1999)
The Rose That Grew From Concrete (compilation, Amaru/Interscope, 2000)
Until The End Of Time(Amaru/Death Row/Interscope, 2001)
Better Dayz(Amaru/Death Row/Interscope, 2002)
Nu-Mixx Klazzics(remix, Death Row/Koch, 2003)
The Prophet: The Best Of The Works (compilation, Death Row, 2003)
Tupac: Resurrection(colonna sonora, Amaru, 2003)
2Pac Live(live,Death Row/Koch, 2004)
Loyal To The Game(Amaru/Interscope, 2004)
The Rose, Vol. 2(compilation,Amaru/Interscope, 2005)
The Prophet Returns(compilation, Death Row/Universal, 2005)
Live At The House Of Blues (live, Death Row/Koch, 2006)
Pac's Life(Amaru/Interscope, 2006)
Nu-Mixx Klazzics Vol.2 (remix, Deat Row/Koch, 2007)
Best Of 2 Pac (compilation, due volumi, Amaru/Death Row/Interscope, 2007)
Beginnings: The Lost Tapes 1988–1991 (compilation, Koch, 2007)
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