Naturalmente dopo la “Forma” per fortuna segue la “Sostanza”; quest’ultima più ci deve interessare e dice come il nome stesso, la ‘grazia ricevuta’ a cui si riferiscono i nostri, è sia di origine storica e politica, ovvero il mondo libero di cui godiamo grazie al sacrificio di tante vite umane, che personale, il fatto che il grande Giovanni Lindo Ferretti ha vinto la guerra con il cancro che lo colpì qualche anno fa, segno che la distanza con i C.S.I. non è assoluta e in questo caso non è un male. Dopo la penosa diatriba con Massimo Zamboni che ha causato la rottura di un sodalizio artistico (ma cosa più grave di un’amicizia) che durava da 20 anni, la carriera di questi musicisti, insieme come li conoscevamo, sembrava al capolinea; a far cambiare rotta al destino è stata una magica serata a Montesole (nei pressi di Marzabotto) durante una serata dedicata alle vittime della famosa strage e, come ha ammesso senza falsi pudori lo stesso Ferretti, qualche obbligo contrattuale e un senso di rispetto del cantante verso gli altri che, a suo dire, sono realmente dei musicisti; da qui la nascita di questo nuovo e antico gruppo, i Per grazia ricevuta.
La voglia di staccarsi, musicalmente, dal glorioso passato ha causato la ricerca di una produzione particolare, e così ecco arrivare un pilastro della world-music come Hector Zazou e al mixaggio l’esperto Peter Walsh (recentemente impegnato anche con l’album dei Doves); soprattutto la mano del produttore è tangibile, sia nei suoni che nell’uso della voce di Ferretti, stavolta decisamente a braccetto con Ginevra Di Marco, quest’ultima più protagonista che nelle precedenti prove. Ci troviamo così di fronte a una musica più sinuosa che potente, più raccolta che graffiante, una ritmica legata alla musica africana già dal primo brano “Krisna Pan Miles Davis e Coltrane” (con Piero Pelù ospite nei cori ) che nelle successiva “Tramonto d’Africa”, un canto d’amore doloroso per tutto un continente stritolato dalla storia. Una tetra frase di chitarra ci introduce a “Sorgente d’Asia”, un brano che rimanda al tono raccolto e solenne di “Linea gotica”, con le due voci che vanno a braccetto senza che una prevarichi sull’altra. “Montesole” è dedicata a questa magica serata che ha fatto ritrovare ai nostri l’unità e la volontà d’intenti, ed è anche un brano dedicato all’amore e alla vita molto delicato e dolce. Il ritmo si alza grazie a “Settanta” un brano fortemente dub (e chi l’avrebbe detto che Ferretti avrebbe mai incontrato la filosofia trapattoniana “non dire gatto fuori dal sacco...” ) che precede il pezzo che forse fa venire in mente i suoni dei primi CSI “Ah! Le Monde”, un velenoso e sarcastico attacco ai mezzi di informazione italiani. E’ una musica che si potrebbe definire electro-world, niente riff di chitarra, basso presente ma spesso a intermittenza, voci soffuse o taglienti, ma sempre molto importanti. Si diceva della chitarra, ormai affidata al solo Giorgio Canali, che si fa protagonista realmente in “Blando comando telecomndato”, in maniera ‘grattugiata’ e distorta, ancora una volta nessuna concessione ai cliché e alla pigrizia dell’ascoltatore medio.
Il disco si chiude con due gemme inconsuete, “Come bambino”, che è forse il brano più sorprendente, nonché uno dei più belli, inizia sinuosamente e in maniera discreta per poi cambiare marcia completamente con un ritmo jungle veloce, la voce di Ferretti si fa secca, va a sfumare in un fiume sonoro di effetti e campionamenti. “11 Settembre 2001” è chiaramente ispirato all’attentato avvenuto a New York; un brano da me molto temuto, abituato come sono alla retorica dei commenti, alla speculazione dei potenti e al diluvio di allucinanti immagini sempre meno shockanti più dovrebbero esserlo; i nostri riescono invece nell’impresa di sfuggire la banalità e di usare frasi semplici per descrivere la visione delle vittime e dei soccorritori, vittime anch’esse. Un brano dall’atmosfera onirica, come se avesse voluto fermare l’attimo, mandare al rallentatore gli ultimi secondi di vita degli uomini, una emozione sospesa ma forte, da cuore in gola.
Ciò che fa da trait d’union con le sensazioni già provate in passato è che, quando si viene a contatto con la musica di questi artisti, con i testi e la voce di Ferretti, si ha un’istintiva consapevolezza di trovarsi di fronte a qualcosa di prezioso, un fascino quasi mistico, un momento di isolamento dalla quotidianità; è il fascino del rispetto verso degli artisti che se lo sono sempre meritato, con la qualità e il coraggio di dire cose mai scontate (provate a leggere un’intervista e ve ne renderete conto).
Sui testi di Giovanni Lindo Ferretti ci sarebbe da studiare e dire molto, qui rifugge completamente ogni pericolo di slogan faciloni, cerca come al solito la riflessione sulla condizione umana, riscopre il gusto per le filastrocche, resiste l’amore per la vita, il rispetto per la storia, e la severità tagliente del suo sguardo, che riesce ancora a tradursi in parole che sanno far male o commuovere.
(04/11/2006)