I Dream Theater sono, probabilmente, il gruppo più chiacchierato del carrozzone rock. I rari giudizi più equidistanti (il che non significa necessariamente migliori) tendono a esser schiacciati tra fanatici scalcinanti, capaci di raggiungere nei "solo" di Petrucci più orgasmi di un buon Rocco Siffredi d'annata, e infangatori di razza, arroccati sul motto "tutta tecnica puah puah, masturbatori senz'anima puah puah".
Chi vi scrive considera l'album del '99 "Scenes From a Memory" la summa della band newyorkese, capace di sintetizzare tecnica, ispirazione, fantasia ed epicità. L'alchimia svaniva, invece, nei due dischi successivi che era estramemente arduo considerare anche solo sufficienti, nonostante qualche brano di buona/ottima fattura. Ci si avvicina a "Octavarium", dunque, con una buona dose di curiosità (date anche le differenze abissali di tono e stile delle ultime due succitate prove) e di scetticismo.
"The Root of All Evil" attacca acustica, prima di lasciar spazio a energiche spinte thrash: siamo in pieno territorio Metallica, nonostante una spruzzata di elettronica e il bel tema di tastiere barocche di Rudess sullo sfondo. E' una buona opening-track, fatta di tanto mestiere e quadratura, che continua sulla strada di "Train of Thought" ma con maggiore incisività. Sorpende, pertanto, "The Answer Lies Within", ballata pianistica melodiosa, che rimanda ai passaggi più rilassati di "Scenes", accentuandone il lato "pop", con tanto di accompagnamento di sviolinate. Il risultato è tutto sommato soporifero, vanificando un buon inciso.
Il terzo brano, "These Walls" si rivelerà essere, col senno di poi, l'ormai solito pezzo di elevata qualità che i Dream Theater piazzano in una raccolta di basso livello. Brano duro ma rilassato, vanta l'epica dei giorni migliori e, soprattutto, un bellissimo giro di synth piazzato da Rudess (che è il vero protagonista dell'album, con Petrucci maturo accompagnatore). Da questo momento, infatti, "Octavarium" crolla.
Non inganni l'apertura per violini e lancette di orologio: "I Walk Beside You" è puro pop-rock. Purtroppo, però, della peggior specie. Il pensiero va agli U2 e agli Oasis meno ispirati, ma sarebbe un complimento: è un pezzo qualitativamente degno dei The Calling. La bordata di "Panic Attack" è telefonata come una conclusione di un mediano di rottura a fine gara. In più, il brano in alcuni tratti tende a sbandare pericolosamente sul versante Muse, e con le tastiere tra acquoso e sinfonico, e con il canto di LaBrie che fa il verso a Bellamy. A nulla servono i tentativi di rianimazione di Petrucci, il pasticcio è fatto. Le sbandate si sublimano in "Never Enough", pessima imitazione proprio della boy-band albionica.
Dopo tanto dramma, l'atmosfera melò di "Sacrificed Sons", che pure certo non brilla, si accoglie a braccia aperte. Il brano (dieci minuti) concede anche una lunga parentesi di furia strumentale, ma il velo di opacità resta. La title track (24 minuti), invece, è vero e proprio progressive. Dopo un buon attacco space che rimanda ai Pink Floyd, il grosso riprende le atmosfere soffici e l'epos dei Genesis, ma, pur non suonando spiacevole (anzi), non riesce ad andare oltre la gradevolezza. Non bastano, infatti, né la fiammata di synth di Rudess, né le parti più tirate (il tutto sempre con occhio alla band che fu di Gabriel). Resta comunque uno dei brani salvabili (in totale tre, e uno solo davvero pregno), anche se di durata francamente ingiustificata.
Si può facilmente concludere, dunque, che "Octavarium" è il disco meno personale dei Dream Theater, che nel realizzarlo hanno spaziato tra vari generi e influenze. Nonostante la presenza di qualche tocco di classe, che lascia spazio a una possibile ripresa futura (anche se i dischi brutti di fila salgono a tre), a prevalere con nettezza sono i momenti di imbarazzo.
20/11/2011