Disturbato ampiamente da tre turisti russi (un uomo e due donne che non parlavano, strillavano) chiudo le orecchie con le cuffie dell'iPod: esce fuori "5:55", l'esordio su cd di Charlotte Gainsbourg.
Con tutte le considerazioni del caso: figlia della coppia maudit Jane Birkin-Serge Gainsbourg, musiche scritte dagli Air, Jarvis Cocker nel ruolo di paroliere (aggiungerei insospettabilmente, visto il lignaggio del personaggio e il suo essere perennemente sopra le righe e in primissimo piano) e Neil Hannon (Divine Comedy, sicuramente più a suo agio in questo ruolo). Produzione affidata a Nigel Godrich, divorziato dai Radiohead (almeno per il prossimo lavoro), un cantato semi-svenevole da bassa pressione: tirando le dovute somme, siamo di fronte a un disco attraente.
Attraente, perché ci si aspettano tante cose che in parte arrivano e in parte no, vista la grandezza delle mani in questione. Dalle atmosfere d'autore "familiari" (lontane da "Lemon Incest", il suo vero esordio, obbligo di papà Serge) a quelle elettroniche di "Moon Safari" (negli episodi meno spinti ritmicamente) e quelle che non arrivano, dal momento che la maturità artistica non si trova nella tasca destra dei jeans e, se c’è, può non venire a galla immediatamente.
Vuoi per i benefit del lignaggio, vuoi perché è un'opera prima (l’altra non credo possa essere valutata, dato che è uscita nei suoi 15 anni), le carenze si perdonano tutte tranquillamente e l’ascolto guida verso il futuro, a cosa potrebbe dare inizio un lavoro del genere.
Il cd è bello, elegante, francese nel senso stretto del termine (anche se molti pezzi sono cantati in inglese) e a tratti snob nella sua freddezza. Squarci di passione qua e là, ma sempre dietro a un telo di elettronica e parole sussurrate che si vaporizzano.
Passando a un’analisi concreta bisognerebbe spostare lo sguardo dalla Gainsbourg agli Air, e comprendere che, a questo punto, il gruppo abbia capito cosa voglia fare da grande. Sé stessi. Senza variazioni particolari né divagazioni (che regalarono l’apprezzamento della critica ma non del pubblico ai tempi di "10000 Hz"), il canovaccio è semplicissimo e si chiama "Moon Safari/Talkie Walkie", e per questo possono essere ascoltate la title track , (una "All I Need" con un pizzico in più di orchestra e di aria retrò), "Little Monsters", lento con archi e campanellini che potrebbe essere un classico del duo francese, "The Operation" e "The Songs That We Sing", che richiamano direttamente le hit "Surfin’ On A Rocket" o "Kelly Watch The Stars".
Sembrerebbe a questo punto che il lavoro per i due si sia limitato a "prestare" idee, un riciclo senza sforzo, invece su "Beauty Mark" e nella conclusiva "Morning Song", ballate intimiste in punta di corde di chitarra acustica e pianoforte, con un’elettronica in secondo piano, ridotta al minimo (come in quel capolavoro sottovalutatissimo che era il loro forse miglior lavoro "The Virgin Suicides"), gli Air mettono in gioco sé stessi (e se capissero che ciò gli riesce molto bene, probabilmente non si sarebbero fermati, ma questo è un altro discorso) e forse la loro direzione futura. Gli highlight dell’intero lavoro, le canzoni che danno un valore maggiore al tutto.
Volendo essere un minimo critici (e cattivi) risulta invece un album trendy , per così dire "fighetto", ma non si può non riconoscergli un valore che vada oltre queste catalogazioni, anche perché si tratta del vero e proprio nuovo album degli Air, e pertanto l’attenzione deve essere a un livello di guardia, dietro alla macchina da scrivere siede Hannon (pochi altri possono permettersi un lusso di questo tipo) e Godrich arricchisce il curriculum con un altro cd di livello in questo 2006 (dopo il lavoro di Beck).
Un disco dove ognuno ci mette del suo e lei, Charlotte, giustamente si limita a concentrarsi esclusivamente sull'interpretazione: globalmente di pregevole fattura, pur mostrando a tratti autoreferenzialità materne plateali, vedi "5:55", sistemata strategicamente in apertura, un po’ a non volere nascondere l’ "essere figlia di Jane Birkin".
In conclusione, volendo invece essere pignoli, altre artiste, in parte francesi (campanilismi a parte, Oltralpe sono messi molto bene), possono dire e valere di più pur avendo un cognome che conta sicuramente meno, come Carlotti, Bruni, Peyroux insegnano..
Purtroppo, però, nella considerazione di tutti, stampa compresa, queste povere cristiane non sono figlie della già citata premiata coppia. A volte il sangue conta eccome. E Charlotte Gainsbourg questo l’ha capito più che bene.
15/10/2006