Ministry

Rio Grande Blood

2006 (Audioglobe)
industrial, metal

Ah, il Texas. Ventidue milioni e mezzo di abitanti, la maggiore produzione di minerali combustibili degli Stati Uniti, una politica conservatrice al di là di ogni più sfrenato delirio repubblicano, il Centro spaziale Lyndon B. Johnson (che nel ’69 vide i suoi ingegneri dirigere le operazioni del primo allunaggio della storia dell’uomo), l’isola Padre, San António de Valero, i fagioli wichita , Joe R. Lansdale, Preacher… Ci sono un mucchio di cose in questo mitico stato federato, comprese esecuzioni ogni sei mesi, il più alto numero di violenze domestiche del West South Central, l’esagerato ammontare di armi "fredde" (cioè non registrate legalmente) e le sparute riserve indiane dei coahuiltecan , ridotte a patetici musei per famigliole di visi pallidi ma, sfortunatamente per George W. Bush, il concittadino più illustre, il Texas è anche la patria (d’adozione, naturalmente) di Al Jourgensen, leader dei Ministry e individuo difficilmente gestibile. Senza preoccuparsi di sorprendere ulteriormente (l’invettiva anti-Bush è ormai una prerogativa indissociabile dei Ministry post-11 settembre), mr. Alien crocifigge il presidente "guerriero" in copertina lasciandogli il resto del corpo immerso nel suo adorato barilotto.

I toni, quindi, appaiono ferocemente espliciti come non mai, in quello che probabilmente verrà ricordato come il disco più politico e furibondo della band dell’Illinois, un ruvido concentrato di (poco) industrial, metal, punk, hardcore e radicali consigli all’amministrazione attualmente stipata presso la Casa Bianca. Un inno brutale, l’ennesimo, nei confronti di quella disumanizzazione totale e agghiacciante emersa in questi tempi mutevoli. Concettualmente quindi, "Rio Grande Blood" segue lo straordinario "The Land Of Rape And Honey"; tuttavia, diversamente dall’opera del 1988 dove gli uomini, volenti o nolenti, assumevano le sembianze di concilianti automi, alla stregua delle visioni ballardiane , adesso le critiche si delineano senza accostarsi ad alcuna metafora ("Don’t listen to me/Listen to your own head" è il passaggio-manifesto di "Lieslieslies"), in una disamina spregiudicata e rabbiosa del nuovo "sogno" americano in terra afghana.

Un disco politico dicevamo, seguace di "Houses Of The Molé" e discepolo del rock antagonista statunitense per eccellenza (anti-corporativo e anti-militarista) che da Neil Young ai System Of A Down veicola il medesimo messaggio. Una pratica invero poco originale (sterminate speculazioni contro le barbarie dell’impero Bush e del gigantesco tornaconto Halliburton rientrano oggigiorno in molti testi, compresi quelli dei P.O.D.), che rischia di annoiare appunto per un’innegabile veridicità di fondo. Jourgensen e compagni non sembrano però tormentati da tale reiterazione, coadiuvati dal consueto sound saturo, claustrofobico e frastornante, che perde in realtà i connotati industrial dell’altro capolavoro, "The Mind Is A Terrible Thing To Taste" (1989), per correggersi in un hardcore asfissiante, un po’ come la formula adottata dal recente, ottimo ritorno dei Killing Joke. L’elettronica, di conseguenza, scala di uno o due gradini per far spazio al riffing rapido e saccheggiante e al comparto ritmico ricomparso metal come ai tempi di "Psalm 69".
"Rio Grande Blood" in sostanza risulta eccessivo in tutto, sia nelle liriche come nelle trame prossime a uno stoner rumoroso e mordace, esasperato da una tensione heavy in toto recuperata dal disco del ’92.

I sample di Bush Jr. estratti dai suoi memorabili discorsi e leggermente modificati per l’occasione fungono spesso come introduzione ai brani (o come tetri siparietti) alla maniera della title track . "I’ve adopted sophisticated terrorist tactics/ And I’m a dangerous, dangerous man/ With dangerous, dangerous weapons" declama il condottiero di New Haven, come un eroe epico investito da una carica divina, e i Ministry si lanciano nella furia convulsa di "Rio Grande Blood": chitarre affilate come martelli pneumatici a corto di manutenzione, giri di basso monolitici e il vocione lastricato di pece e di altre cose meno identificabili di Al Jourgensen a dare la stura al dileggio dei dileggi. Il retaggio industriale si cataloga solamente nella marcia sincopata intorno al terzo minuto, e resterà l’unico episodio dichiaratamente tale dell’album.
La successiva, durissima "Señor Peligro" (letteralmente "signor pericolo", riferendosi alle parole del presidente campionate all’inizio della prima traccia) registra un altro, tracimante inasprimento dell’aspetto trash-metal della formazione di Chicago, che annovera ancora una volta guest-star illustri come il bassista Paul Raven (Killing Joke), il tastierista John Bechdel (già con Fear Factory, Prong e Killing Joke) e Joey Jordison (Slipknot, che suonerà al posto di Mark Baker nel world tour). In pianta stabile, troviamo invece Tommy Victor (Danzing, Prong) e lo storico partner di Alain, il chitarrista Mike Scaccia. Una line-up di tutto rispetto, impreziosita dai contributi di Sgt. Major, Jello Biafra e Liz Constantine. Nella sardonica "Gangreen", amara presa di coscienza delle metodologie militari promosse da Bush e Condoleezza Rice nel "Discorso sullo stato dell’Unione" pronunciato ai primi di febbraio 2005, Al cadenza il pezzo con beffardi ululati di scherno, mentre il drumming e il riffing richiamano alla memoria il tema delle ispezioni di Palpatine nella saga di "Star Wars".

L’indolente, vigorosa, devastante "Fear (Is Big Business)", dalle coordinate slayeriane, intensifica la polemica a livelli estremi, palesando i rapporti sottorranei (ma mica poi così tanto segreti) tra il quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti e gli interessi petrolifici alla base dell’invasione dell’Afghanistan, con il consueto stile opprimente e rimpinzato di chitarre distorte e ricordi speed-metal . "Rio Grande Blood" è tutto così: violenza, indignazione, satira politica, potenza metal. Come "Lieslieslies", una delle migliori nuove creazioni targate Ministry, dove Alien erige una monumentale melodia post-grunge da antologia. Echi Pitchshifter investono il remix di "The Great Satan", pezzo incluso in "Rantology", l’album celebrativo per i 25° anniversario della band uscito lo scorso settembre.

Le tastiere techno-dance di John Bechdel emergono nei preliminari di "Yellow Cake", brano che presto perde ogni attitudine elettronica per adeguarsi al pesantissimo e pulsante incedere stoner fortemente voluto da Jourgensen in quel di El Paso (presso i celeberrimi 13th Planet Studios). Bechdel ancora protagonista nell’ incipit di "Palestina", altra traccia degna di nota, con la sezione ritmica rispolverata da classici evergreen come "Scarecrow", "Just One Fix" e "Stigmata". L’amico Jello Biafra, vocalist dei Dead Kennedys e non nuovo a collaborazioni con i Ministry, firma il proprio contributo all’assalto con "Ass Clown", dove i campionamenti si fanno più evidenti e dove risalta una lontana parentela con "In Case You Didn't Feel Like Showing Up" del 1990.
Cambio di scena nel finale, dove l’Oriente si tramuta in musica in "Khyber Pass" (con le invocazioni del deserto ad opera di Liz Constantine), lunghissima liturgia (7 minuti e trenta) che abbassa decisamente mediante i suoi arabeschi la convulsa irrequietezza dell’album, che trova appropriata diluizione nella marcia alla "Full Metal Jacket" intonata da Al nella hidden track .

Dopo le ultime, non esaltanti prove, "Rio Grande Blood" riabilita completamente i Ministry ricollocandoli in una posizione di imprescindibile importanza nel panorama industrial mondiale.

19/06/2006

Tracklist

  1. Rio Grande Blood
  2. Señor Peligro
  3. Gangreen (feat. Sgt. Major)
  4. Fear (Is Big Business)
  5. Lieslieslies
  6. The Great Satan (Remix)
  7. Yellow Cake
  8. Palestina
  9. Ass Clown (feat. Jello Biafra)
  10. Khyber Pass (feat. Liz Constantine)
  11. Untitled (Bonus Track)

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