Uscito originariamente nel 2004, “Grab That Gun” trova quest’anno distribuzione globale grazie ai tipi della Too Pure. Si è parlato molto dell’album, delle prime registrazioni prodotte da Kurt Dahle dei New Pornographers, che poco erano piaciute, di un video in rotazione, di una nuova sensazione wave proveniente dal Canada, terra particolarmente fruttifera di buona musica in quest’ultimo periodo. Le Organ sono cinque ragazze, da Vancouver, e può bastare così per quanto concerne le annotazioni biografiche.
Alle orecchie di qualche vecchio volpone smaliziato da decenni di ascolti, dei più svariati e impossibili, il codesto dischetto suonerà passatista, se non stantio. Sempre la solita solfa, le solite chitarre aguzzamente soffuse, minimalismo wave, e un pizzico di romanticismo che non guasta mai. I nomi da tirare in ballo potrebbero essere per l’ennesima volta, almeno da “Turn On The Bright Lights” in avanti, i medesimi. E allora sbizzarritevi pure a rimembrare i tre ragazzi immaginati dalle mente contorta di Robert Smith, i sentimentalismi psichedelici dell’accoppiata Smiths/The Room, e qualche altro nome che è inutile citare. O forse no, vista qualche bella frase d’organo che richiama alla mente i Sound del compianto Adrian Borland, sempre troppo poco celebrati rispetto all’effettiva grandezza.
Dicevamo di orecchie smaliziate e calligrafie musicale, quindi… Ma parlarne, a volte, è dileggio intellettuale, soprattutto quando la plastica citazionista è modellata con fare certosino, e la musica è frizzante, se non addirittura vivacemente personale. Undici canzoni, dall’identica struttura, dal medesimo e invariabile ritmo; uguali, diciamolo onestamente. Eppure scorrono via che è un piacere e ci si riscopre a canticchiarle e a innamorarsene anche. A partire da “Brother”, con giro di basso in saliscendi circolari, passando “Love, Love, Love”: melodia assassina che brilla nel buio della decadenza. E ancora meritevole di citazione “Memorize The City” nervosa, anche cattiva, come degli Interpol in gonnella.
Ciò che sorprende è la sapienza nell’incastrare gli elementi, con gusto, con consapevolezza mercantile, oseremmo dire, ma senza forzata ruffianeria. Così a Morrissey prenderà un colpo nell’ascoltare “A Sudden Death”, e a noi pure.
Per capire bene, però, utilizziamo la solita e incompromissoria unità di misura, il denaro: avendo 20 euro da investire in musica, sarebbe da comprare questo “Grab That Gun”? Mah... Se poi i metodi di approvvigionamento sono altri... Comunque sia, un altro bel disco di rock senza futuro.
03/05/2006