Alessandra Celletti, pianista romana di straordinario talento, ha esplorato e raccontato i sinuosi, erotici arabeschi dei suoi maestri Debussy e Satie in memorabili, personalissime interpretazioni ricche di grazia, ha piegato il tempo e lo spazio contemporaneo alle oblique note, estatiche e dense di arcana memoria, di Gurdjeff/De Hartmann, ha rimodellato alla personale visione in declinazioni gravide di barocco romanticismo l’essenza minimale di Philip Glass, risolvendone caparbiamente l’apparente contraddizione in versi di pura bellezza, fino alle recenti, coraggiose, sensuali pubblicazioni di proprie composizioni - “Chi mi darà le ali” e il recentissimo “The Golden Fly”, recensito da Onda Rock solo pochi mesi fa.
Ora, fa uscire un nuovo lavoro per la prestigiosa etichetta inglese Ltm.
Un drastico giro di boa per un cd di canzoni composte, suonate e cantate da Alessandra con il solo accompagnamento di un piano e una batteria? Niente affatto. Un’esplorazione di un infinito infinitesimo, un frattale universo nello sconfinato talento di Alessandra. Talento che, anche in passato, si è mosso senza indugio dai “rigori” della musica classica, sconfinando nella sperimentazione elettronica d’avanguardia e nella musica rock.
Se dovessi – pur ripugnandomi l’idea - descrivere a qualcuno questo disco bellissimo, rispolvererei il termine “progressive” indicando con esso non solo un genere musicale ma più che mai un’attitudine alla musica stessa, al gusto, alla necessità di spingere oltre i confini, refrattari a ogni costrizione imposta dai cosiddetti generi.
Il disco si apre con “Dear To Me”, diatonico strumentale al pianoforte, una melodia facile, quasi infantile nella sua universale lingua. Potrebbe essere un brano tratto da un precedente album. In diversi brani, come la finale ripresa del tema di “Chi mi darà le ali”, dall’album omonimo del 2006, c’è questo ritorno ai motivi legati all’infanzia, ai suoni dei carillon, alle lullabies.
Poi il secondo brano, “100 Points”, che non riesco a scollegare dal bellissimo videoclip che Alessandra mi ha inviato su Dvd, qualche tempo fa, realizzato dal bravo artista milanese Tony Sbarbaro. Una canzone semplicemente bellissima, immediata, che entra nel Dna e resta per sempre dentro, tornando alla mente in momenti imprecisabili.
La voce di Alessandra, come un profumo delicato e ricco di essenze insolite, si muove con grazia tracciando segni nella memoria, graffiti nell’es.
Mi è particolarmente caro il terzo brano, da vecchio amante del progressive: “Burning” sembra uscito da un disco di Keith Emerson, e si svela con crescente tensione cremisi sino a un finale brusco che introduce una tenera ballad, fragile e intensa al tempo stesso, come la maggior parte delle canzoni e dei brani strumentali che compongono questo disco innovativo, personalissimo e piacevole al tempo stesso.
“Through Your Eyes” è una onirica ballad che apre i cassetti della venere daliana, con le voci di Alessandra che qui pare rileggere in musica l’assolta verità dell’esser parlata in vece del supposto parlare, in giochi perversi di liturgie ontologiche, giochi sull’essere. “Two Trees”, tra Wim Mertens e George Winston, sembra uscita da un album della prima Windham Hill.
Belli i testi di Renzo Pin, toccante sempre l’interpretazione di Alessandra, che con questo strano, raffinatissimo “Way Out” ha prodotto un altro capolavoro.
Quando mi sono trovato, in diversi contesti, a recensire il profondo ed emozionante album precedente “The Golden Fly”, spesso mi sono chiesto dove potesse arrivare Alessandra. Come potesse superare un disco come quello che a me appariva un punto di arrivo insuperabile. Ecco come.
Ora non mi voglio chiedere più nulla. Inganno l’attesa con questo disco che ormai fa parte dell’arredamento della mia stanza, come un affezionato oggetto.
22/02/2008