Fortuna che il nuovo disco di Peter Gabriel non è davvero nuovo e non è davvero di Peter Gabriel. "Big Blue Ball" è il frutto di tre anni di jam, session e incontri avvenuti a inizio Nineties sotto la supervisione del compositore inglese. A passare per gli studi Real World, un campionario degli artisti accasati presso l'etichetta di Gabriel e un discreto numero di nomi di spicco in ambito world music e dintorni.
L'album è rimasto nel cassetto fino ad oggi per il lungo lavoro di riordino e produzione. Il risultato di quindici anni di rimaneggiamenti è un disco artificioso quando non direttamente kitsch, che segue "Ovo" e "The Imagined Village" nell'elenco delle delusioni all-stars licenziate recentemente da casa Real World.
Inutile dilungarsi sui perché e i percome: rimando alla recensione di "The Imagined Village", album che soffriva dello stesso soffocamento produttivo a base di beat dozzinali e new age di bassa lega. Meglio piuttosto cercare, con un po' di sforzo, di vedere il bicchiere mezzo pieno. Molti pezzi scommettono tutto sul suono, trascurando l'aspetto compositivo. Tra i restanti, qualcosa si salva.
Ecco allora "Habibe" (Natacha Atlas, Hossam Ramzy, Neil Sparke), arabesco suadente di fumi minori armonici, archi e pulsazioni chill-out. "Exit Through You" (Joseph Arthur, Peter Gabriel, Karl Wallinger), piacevole filastrocca funky più consueto stacco atmosferico/enfatico alla "Us"/"Up" (vedi "More Than This"). Poi Sinéad O'Connor che canta "Everything Comes From You", una conta che evolve in morboso rimuginamento amoroso e si spegne su un gioco ossessionante di botta-e-risposta vocali.
E basta. Poco possono Billy Cobham, Jah Wobble, Vernon Reid per risollevare i brani che li vedono coinvolti.
Tre le tracce notevoli, undici quelle totali. Non c'è bicchiere mezzo pieno che tenga: come era rimasto nel cassetto fino ad ora, "Big Blue Ball" poteva pure restarci.