"Probabilmente la più ambiziosa re-invenzione della tradizione folk inglese dai tempi di Liege And Lief".
Questa l'avevamo già sentita l'anno scorso, all'uscita del primo album dei Bellowhead. Anche allora sorgeva spontanea qualche obiezione (e i Blowzabella? I Moving Hearts? Enya? Gli Afro Celt Sound System? Gli stessi Tunng?), ma quantomeno ad affermarlo era la rivista Songlines. In questo caso no, è lo stesso sito del progetto "The Imagined Village" a rivendicare l'eccezionale importanza del disco. Stiamo un po' a sentire...
"The Imagined Village" è un progetto all-stars dietro cui si celano proprio Simon Emmerson degli Afro Celt Sound System e la Real World di Peter Gabriel. Tantissimi i nomi coinvolti: tra i più celebri, Billy Bragg, Martin Carthy, Paul Weller, Trans-Global Underground, Eliza Carthy, Tunng. Tutta quanta l'operazione ricorda molto da vicino la colonna sonora che Peter Gabriel compose per la "Millennium Night" otto anni fa, raccolta nell'album "Ovo". Il risultato, anche. Ahia.
Poco da ridire sul "songwriting": i pezzi sono traditional iper-rodati, non stupisce che risplendano di un'aura magica. Stupisce che non lo facciano, e purtroppo è così per molte di queste rivisitazioni. Senza contare che cimentarsi con una rilettura di "John Barleycorn Must Die" significa porsi involontariamente a confronto con la versione dei Traffic, o coi Fairport Convention nel caso di "Tam Lyn Retold". Così le sciabolate di Simon Nicols si trasformano in beat lucidi e dozzinali, la grinta vellutata di Sandy Denny in una negrigura reggae-dub che racconta di discoteche e sesso in automobile. E se i Baka Beyond con "Spirit Of The Forest" ce l'avevano fatta a fondere in un unico miracolo le atmosfere celtiche e africane, i tanti big coinvolti riescono nell'ardua impresa di annullare ogni fascino che la semplice magia della tradizione potesse dargli gratis.
Qualche buon pezzo c'è, questo va riconosciuto. L'iniziale recitativo di "'Ouses, 'Ouses, 'Ouses" ha qualcosa dei Godspeed You Black Emperor!, "John Barleycorn Must Die" scorre bene finché non viene tramortita dai beat prefabbricati di Mr. Emmerson. "Cold Hailey Rainy Night", tutta sitar e percussioni marziali, suona come una jam tribale - il cerchio dei danzatori risponde in coro ai solisti che si alternano al centro. I Tunng si cimentano con una riscrittura di "Death And The Maiden" - pregevole, ma han fatto di meglio.
Tanto di cappello, invece, a "Hard Times Of Old England Retold", che fa quadrare il cerchio sposando la novità con la tradizione, senza perderne la magia pur calandola in vesti worldbeat. Lo schema è il classico crescendo folk a base di ritornelli e ostinati strumentali, le pulsazioni elettroniche sono essenzialmente di contorno, ma finalmente è possibile respirare la sensazione inebriante di una musica vecchia di secoli che mai come oggi ha ancora qualcosa da dire. Non è questo, il significato più profondo del folklore?
Il resto, se non esplicita bruttura, scempio, stupro, è più che altro noia. Noia priva di effettiva ambizione, noia convinta che bastino due beat appariscenti per trasformare pezzi bellissimi in novità rivoluzionarie. Di certo, basta a rovinarli.
"Probabilmente la più ambiziosa re-invenzione della tradizione folk inglese dai tempi di Liege And Lief"
Poco probabilmente.
03/11/2007