Ma se per i suoi più stretti compagni d'arme s'è trattato, di fatto, di un ritorno nel solco del glorioso passato con due sequel di vecchi bestseller, Dennis Coles in arte Ghost rompe in modo abbastanza netto con la tradizione e guarda a un futuro che potrebbe verosimilmente condurlo molto distante dal nucleo originario.
Fantasiosamente intitolato "Ghostdini: The Wizard Of Poetry In Emerald City", il nuovo album, seguendo una tendenza inaugurata nel 2006 con "Fishcale", segna un'ulteriore e decisa presa di distanze dal giro e dallo stile del primo periodo off Clan. Qui portata alle estreme conseguenze, visto che, a parte la scontata assenza di RZA (con il quale, dato il momento, i rapporti personali non devono essere propriamente idilliaci: è notizia di ieri che il "dissidente" Ghost lo ha citato per circa 150.000 dollari per una, a suo dire, iniqua redistribuzione di alcune royalties del Clan) fra i produttori, a spiccare è l'inedita defezione di featuring riconducibili agli altri rapper del collettivo, finora una costante in tutti i suoi dischi.
In realtà l'ottavo lavoro ufficiale di Ghostface Killah, che porta alle estreme conseguenze la commistione con il R'n'B da classifica e il soul (nu e vintage) già rilevabile in entrambi i predecessori, è una mezza occasione persa: la produzione tecnicamente ineccepibile ma fin troppo patinata, ritornelli e contributi vocali quasi mai all'altezza, un uso smodato del vocoder e una ricerca effettata e affettata dell'air-play finiscono per svilire, almeno in parte, l'ottimo lavoro svolto sui suoni e sulle basi e l'abilità indiscutibile profusa alle liriche e al mic.
La presenza un po' forzata di brani stucchevoli e smaccatamente commerciali come "Do Over", "Baby" e "She's A Killah" degradano il livello medio di una tracklist che annovera, altrimenti, passaggi particolarmente ispirati come l'amor cortese e il romanticismo black (reminescente dei classici Motown) di "Lonely" (splendida base ma parti cantate poco meglio che da boy-band) e l'ottima "Stay" (in cui il flow, pur meno aggressivo e puntuto del solito, ricama da par suo), il filmico funky a luce rossa di "Stapleton Sex", l'incedere pianistico e l'orchestrazione quasi à-la Bacharach di "Paragraphes Of Love", la trascinante blackexploitation di "Guest House" (affidata al suo alter-ego Tony Starks), l'efficace contaminazione di r'n'b vocale da Mtv generation e soul progressivo anni 70 (inframezzato da breakbeat e cambi di tempo) di "I'll Be That", il potente remix di "Back Like That" (con Kanye West e Ne-Yo).
Pur lontano dai suoi apici ("Ironman" e "Supreme Clientele") e mirato soprattutto a ripetere il successo pop di "Fishcale", "Ghostdini" conduce ancora una volta il nostro illusionista sano e salvo fuori dalla vasca della mediocrità mainstream. Sconsigliato comunque ai fanatici di RZA e del Wu-sound originale.
(02/10/2009)