Prima gli aspetti positivi. Che sono pochi, quindi si fa in fretta:
1. La title track. Una sorta di trip-hop metalleggiante a metà tra Massive Attack e Nine Inch Nails. Voce filtrata semisussurrata, chitarroni fondissimi e circolari, poi un'esplosione di batteria tutta charleston su un ritmo francamente inaudito. Torbida, ipnotica, conturbante, è il capolavoro dell'album e non basta la coda floydiana (o meglio: tipicamente wilsoniana) a uniformarla al resto del disco.
2. I momenti più hard, quelli in cui emergono tutte le disparità e le sciabolate ritmiche che i Porcospini hanno imparato alla scuola dei Tool e dei Meshuggah. Accanto alle varie "Circle Of Manias", "Bonnie The Cat", "The Blind House" e ai loro riff monolitici, svetta in particolare l'impennata acustica che chiude "The Seance". Un mandala folk-prog-grunge su cui si potrebbe costruire un disco, o un intero genere.
3. L'immancabile ballata wilsoniana, che a questo giro si chiama "Remember Me Lover" e si muove a spirale, fluttuando, in un lago di silenzio. Per poi sfociare, di crescendo in crescendo, in un tumulto prog-metal. Dai Talk Talk a "The Power to Believe" in pochi minuti.
Vengono poi gli aspetti negativi. Su tutti:
1. La lunghezza. Che non è un male di per sé, ma lo diventa quando fa il paio con la mancanza di idee forti. "The Incident" è un album e mezzo (75 minuti divisi su due dischi, uno a tema l'altro no) di concept-brodo allungato, in cui lo stesso leit-motiv torna una, due, n volte e se già alla prima non strabilia, di certo all'ultima stanca un po'. Peccato: "Time Flies" sarebbe un ottimo pezzo pop, non menasse il can per l'aia per undici minuti (ma il cut per il singolo dura la metà ed è più riuscito).
2. Il sound. Leccato come sempre - è quel che ai Porcupine Tree si chiede, dopotutto - è però anche appiattito su cliché poco incisivi. Accordi acustici tardo-floydiani, synth atmosferici, melodie sognanti e un po' alternative rock, gran dispiego di riverbero; il tutto sciorinato con grande perizia in una pallida imitazione del lirismo che fu. Gli assoli sono ricolmi di sustain, ma privi di guizzi, spunti memorabili - o che so, un disegno complessivo: non sembrano avere altra funzione che spingere i pezzi oltre la soglia dei cinque minuti!
Il bilancio è deludente: quello che, con un po' di pazienza e lavoro di forbici, sarebbe potuto essere un ottimo Ep, è invece un doppio scialbo e - a essere onesti - pure un po' noioso.
01/11/2009
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