Gli Autechre sono tornati. Gli alfieri di casa Warp dopo qualche tempo di silenzio si sono rimessi ai laptop, sfornando il loro decimo Lp. Per l'occasione, mamma Warp ha preparato le cose per bene: doppio vinile gatefold dal lussuoso e minimale packaging. Roba per gente di un certo livello.
Nelle ultime fatiche, ricordiamo come le ruvidezze in "Quaristice" o gli acidi granulari in "Untilted" la facessero da padrone, prove che avevano lanciato un punto interrogativo sul futuro degli Autechre. Con "Oversteps" si torna alle origini. Non più tratti harsh, ma distese elettroniche minimali, solcate da glitch e pattern sinistri. Ma quel che (non) sorprende è la capacità del duo di tentare ancora una nuova strada. Il tentativo però riesce solo a metà, andando a cozzare con una proposta che appare forse eccessivamente navigata.
Che ci sia comunque un gran mestiere lo si sente sin dalle epiche ondate dell'iniziale “r ess”, non distante dalle catarsi ambientali di Tim Hecker, o nei brontolii che sfrecciano nella successiva “ilanders1”. E deliziano pure i sapori orientali e gli specchi deformi di “see on see”, la cascata “redfall” o il permafrost che avanza della conclusiva “Yuop”.
Nel complesso, però, l'album, forse di eccessiva durata, risente di fantasmi che più che spaventare fanno sbadigliare. Si susseguono troppi riempitivi che attenuano l'impatto anche dei pezzi migliori, finendo un po' con l'allungare eccessivamente un brodo che altrimenti sarebbe stato davvero eccelso.
Skippando pezzi come “qplay” o “osveix3”, l'ascolto non potrà non trarne giovamento.
In ogni caso, gli Autechre si dimostrano ancora vivi e vitali. Nell'ora abbondante di "Oversteps", Sean Booth e Rob Brown da Manchester invertono la rotta intrapresa con le precedenti opere, riuscendo a tratti ancora ad affascinare.
20/03/2010