Qualora qualcuno avesse perso le tracce dei Blonde Redhead per tutto il decennio scorso e li ritrovasse oggi all'improvviso, avrebbe certamente più di qualche tentennamento prima di capacitarsi che la band che oggi licenzia il suo ottavo album è la stessa che negli anni 90 si collocava in quella temperie artistico-culturale newyorkese gravitante intorno al solco tracciato dai Sonic Youth.
Chi ha invece seguito passo dopo passo la parabola del terzetto formato dai gemelli Pace e contrassegnato dall'inconfondibile voce di Kazu Makino non si meraviglierà più di tanto all'ascolto di "Penny Sparkle", ottavo album della serie e terzo a essere pubblicato dalla storica 4AD. La storia musicale dei Blonde Redhead è stata infatti segnata, più che da brusche cesure, da transizioni continue, che hanno portato a un graduale accantonamento delle componenti più aspre degli esordi e alla correlativa accentuazione di quelle melodie agrodolci, peraltro mai del tutto estranee allo spirito originario della band.
Nessuna sorpresa, dunque, nel constatare in "Penny Sparkle" una sorta di chiusura del cerchio descritto in particolare a partire da "Misery Is A Butterfly" e consistente nell'ormai definitiva attestazione della band su sonorità di un pop elettronico liquido ed etereo, di tutta evidenza assimilabile alle rideclinazioni attuali delle esperienze synth-(dark-)wave degli anni Ottanta ma anche in qualche misura debitore nei confronti delle sognanti modulazioni dei Cocteau Twins.
L'ulteriore passo in questa direzione da parte della band newyorkese è evidente fin dalla location e dei produttori prescelti per questo lavoro, registrato sotto le cure degli svedesi Van Rivers e Subliminal Kid (Fever Ray) e, come afferma la stessa Kazu, in parte influenzato dalla Stoccolma nevosa e incantata nella quale si è trovata proiettata a catturare suoni e sensazioni mai così ovattate.
Se infatti nel precedente "23" riverberi e tappeti sintetici si sposavano ancora esplicitamente con le chitarre e comunque con brani dall'impeto ficcante, in "Penny Sparkle" le tastiere non solo si fanno più alte e rotonde, ma diventano protagoniste assolute di pulsazioni liquide e luminose ambientazioni dreamy. Eccezion fatta per lo straniamento da discoteca triste dell'iniziale "Here Sometimes" e per l'impetuoso crescendo sintetico di "Love Or Prison", non si tratta, tuttavia, di una mera operazione nostalgica, quanto piuttosto di un esito naturale di fascinazioni vintage in stile M83 ("Will There Be Stars", con Amedeo Pace alla voce) e dilatazioni temporali, che si sposano alla perfezione con le ammiccanti melodie di Kazu, eteree e carezzevoli come non mai, ormai distanti anni luce dai rabbiosi miagolii degli esordi.
Memorie dal passato riecheggiano invece nella costruzione a impulsi e rilanci di "Oslo" e nei due brani nei quali tornano percettibili i riverberi chitarristici, dapprima lavorati, prolungati ed esclusivamente funzionali all'atmosfera in "My Plants Are Dead", e quindi di nuovo protagonisti di un perfetto sincretismo tra passato e presente in "Everything Is Wrong", evidente anello di congiunzione con i residui impeti di "23".
Abbandonata ogni forma di irruenza espressiva, i brani di "Penny Sparkle" scontano forse qualcosa dal punto di vista dell'immediatezza d'impatto, conducendo tuttavia a compiutezza la svolta avvicinata passo dopo passo nel corso degli anni dai Blonde Redhead, adesso attestati nella dimensione (definitiva?) di un raffinato elettro-pop dalle tinte notturne, costellato da echi dreamy e misurate rielaborazioni eighties.
13/09/2010