L'arte del dj-kicks, del dj-set casereccio, del taglia e cuci in camera, tra carcasse di vinili consumati fino allo stremo e campionamenti ben custoditi, è da sempre un'arma a doppio taglio. L'attitudine a una qualsiasi forma di manierismo da masturbazione musicofila è costantemente dietro l'angolo. Occorre innanzitutto self-control.
In tal senso, James Holden non è di certo uno sprovveduto, né tanto meno l'ultimo arrivato in quanto a chirurgia sonora corporativista. Difatti, questo suo primo, atteso "Dj-Kicks" non tradisce le speranze di chi considera l'ex rampollo della label Border Community tra i maggiori talenti in materia. Basta poi dare un'occhiata ai pezzi scelti per l'occasione per sentirsi sempre bene accolti. Holden frulla l'impossibile: dagli immancabili Snaith e Hebden - veri e propri lumi per il ragazzo - ai Piano Magic, passando per l'amico Luke Abbott e per la leggenda techno James Ruskin.
Insomma, non ce n'è uno/a fuoriposto. Tutto gira a meraviglia secondo la vocazione del momento. Così, "The Sun Smells Too Loud" dei Mogwai collassa in un trambusto di propulsioni atonali, disperdendo a gocce le proprie energie. I "morbidi" Piano Magic vengono fusi a meraviglia nel tic-tac introduttivo ("Wintersport/Cross Country"), mentre la disco-music mutante di William T.Burnett aka Grackle incalza cibernetica. Le mura tremano al passaggio di "Olde Wobbly" dei Mordant Music, prima che l'allineamento trance-space trovi il suo asse ipnotico nel binomio Maserati/Caribou, posti uno dietro l'altro secondo un coagulo ben organizzato di beat programmati e inserti glitch. Chiudono il cosmic-synth tolkeniano dei misconosciuti Didier Pacquette, reso ancor più ancestrale dal buon James, e lo sconquasso noise di SS Pyramid Snake, a conferma dell'inafferrabilità selettiva di un maestro del software modulare e del collage a effetto.
15/01/2011